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LA STRATEGIA DI PAPA FRANCESCO NON É’ ESTEMPORANEA E POGGIA SU DUE SECOLI DI PRECEDENTI.

SBARCA NEI DUE PAESI-PREDA DEI MERCANTI DI MINERALI E CANNONI E LANCIA L’OFFENSIVA DI PACE APPOGGIATO DALLE ALTRE CONFESSIONI CRISTIANE. NON E’ PIÙ’ TEMPO DI FINEZZE TEOLOGICHE. VUOLE APPLICARE I VANGELI. PARADOSSALE IMBARAZZO TRA I CATTOLICI DI GOVERNO E SOLIDARIETÀ’ DAI PROTESTANTI.

Gli stati non allineati con la politica russa del governo americano suscettibili di produrre effetti “domino,” sono tre: India Turchia e Vaticano.

L’India si rifiuta ostinatamente di prendere posizione sul conflitto ucraino rievocando il movimento neutralista dei “non allineati” della guerra fredda capitanati da Jawaharlal Nehru, Tito, Gamal abd el Nasser e l’indonesiano Kusno Sukarno ( semplificazione di Sosrorihardjo) che ebbe grande successo tra i paesi del terzo mondo. Sterminata da assassini politici la dinastia Nehru-Gandhi l’attivismo diplomatico indiano langue, ma il rifiuto a schierarsi é netto.

L’accerchiamento politico della Turchia é iniziato con una serie di frizioni che si sono innestate sul preesistente conflitto curdo ( paradossalmente ereditato, via Israele, dall’URSS che l’aveva creato nel 1987 per disturbare il fianco destro dell’alleanza atlantica) per estendersi al settore delle forniture militari (l’estromissione dalla produzione degli F35 prima, il limbo sugli ammodernamenti degli F16 ora) e una serie di iniziative miranti a isolare i turchi in seno all’alleanza declassando indirettamente il fianco sud ( esistente )per potenziare l’ala scandinava ( potenziale) e culminato con cauti ammiccamenti para elettorali all’opposizione ( l’entrata in vigore in Svezia di una legge antiterroristica – richiesta da Erdogan- ma che andrà in vigore solo dopo le elezioni turche in maniera da non avvantaggiare il governo uscente), la chiusura dei consolati di otto paesi NATO ( Italia, Francia, Belgio, Olanda, UK, Svezia, Germania, USA, più la Svizzera) nelle città principali ( Ankara, Istanbul, Smirne, Alessandretta) pretestando pericoli di terrorismo per scoraggiare l’imminente stagione turistica fonte primaria di reddito del paese.

Più sofisticata, e appena iniziata, la fronda contro le insistenti esternazioni papali a favore della pace, scontate ma disturbanti, con una campagna di esaltazione della figura e ruolo di Benedetto XVI.

Ma la controffensiva vaticana é stata immediata, a suo modo violentissima e strategicamente brillante, realizzata con alleati impensabili e si é sviluppata nel continente che gli americani nell’ultimo decennio avevano costellato di basi militari e consideravano dover contendere solo alla Cina: l’Africa.

PERCHÈ L’AFRICA

Il 2 marzo 2022, un’Africa sconosciuta alle cancellerie occidentali si affacciò nella sala delle assemblee dell’ONU: al momento della votazione della risoluzione che deplorava “ l’aggressione militare russa all’Ucraina” e chiedeva “l’immediato ritiro delle truppe dal paese aggredito”, si é scoperto che il 50% dei paesi che non hanno votato la mozione era africano.

Su 35 paesi che non avevano votato a favore, 17 erano africani ( più la solita Eritrea che ha votato contro). Oltre a questi diciassette, otto altri paesi africani – collegati agli USA da motivi di assistenza- hanno giocato la carta dell’assenza al momento del voto.

Diciassette, più otto, più uno, fa ventisei paesi africani che hanno compiuto un sorprendente gesto di ribellione contro l’occidente, mostrando di aver più memoria e senso di giustizia di tutti i paesi europei che continuano stancamente a sostenere tesi ormai insostenibili.

In Africa, ha suscitato ironie la pretesa di usare due pesi e due misure per la Russia mentre non c’é quasi paese africano che non porti nelle sue carni i segni di un bombardamento, una invasione o una spedizione punitiva anglo o franco o americana oppure congiunta, fatta in barba ai principi dell’ONU, come é avvenuto in Siria, a partire dalla Libia di Mohammar Gheddafi, per risalire, attraverso gli interventi militari del Belgio in Congo ( e l’assassinio di Patrick Lubumba – eroe dell’indipendenza congolese – ammesso dalla CIA qualche anno fa), gli interventi francesi con mercenari in Biafra e in Ruwanda fino alla spedizione di Suez nel 1956 per limitarci a rimanere in Africa, in epoca post coloniale.

Il fatto nuovo é stato la spontaneità della reazione corale, che dimostra un rancore covato per due secoli ed ora esploso con l’approvazione popolare. Per saperne di più vedi il link del mio articolo del 2014 sulle crudeltà europee in Africa: https://corrieredellacollera.com/2014/05/06/i-rapimenti-di-donne-e-bambini-in-africa-sono-stati-introdotti-dallamministrazione-coloniale-e-denunziati-da-savorgnan-di-brazza-che-pago-il-suo-gesto-con-la-vita-pubblicato-il-suo-rapporto-dopo-10/

Un segno del nuovo equilibrio politico é rappresentato dall’invito del Burkina Faso ( miniere d’oro) alle truppe francesi di evacuare il paese entro 30 giorni.

Un altro ancora: in Etiopia, l’Abuna Mathias , patriarca della chiesa copta ortodossa ha scomunicato tre vescovi che vedano aderito – appoggiati dal governo centrale (presieduto da Abyi Ahmed, nativo dell’Oromo e premio Nobel per la pace ) – a uno scisma “nazionale” nello stato dell’Oromo ( ex Galla negli anni trenta) e, a seguito degli attentati ai fedeli che hanno causato decine di morti ( il governo ne ammette tre), ha querelato le autorità preposte alla sicurezza dello stato Oromo ( omissione atti d’ufficio) per non aver protetto i fedeli radunati nelle chiese assaltate. Rivolta morale impensabile fino a un anno fa. L’inviato dell’Abuna Mathias in Oromia é stato accolto da una folla oceanica.

Ancora uno : il 7 novembre scorso, é giunta la richiesta ufficiale dell’Algeria di aderire al gruppo BRICS ( Brasile, India, Russia, Cina e Sud Africa) che mira a soppiantare il dollaro nel commercio internazionale, rafforzato dalla vittoria di Lula in Brasile e che vede la credibilità mondiale del biglietto verde scesa al 60%, dall’80% degli anni 70.

L’ultima novità, ma solo per non annoiare: all’ONU si parla di allargare il Consiglio di sicurezza, con un seggio all’Unione Africana. Ormai tutti riconoscono che che l’assenza di un paese africano dal Consiglio sia un fatto scandaloso, ma solo adesso la musica sta cambiando. D’altronde all’atto della fondazione dell’ONU i paesi aderenti erano 51 con 11 membri del Consiglio di sicurezza e i paesi africani indipendenti quattro. Ora le Nazioni presenti sono 193 i membri del Consiglio 15 e i paesi sovrani d’Africa 54…

In questa situazione si é inserita la visita papale in Congo, (grande dieci volte l’Italia) un paese senza pace dal 1960, e all’ultimo nato, il Sud Sudan (due volte l’Italia e zeppo di petrolio), sorto dalla scissione del Sudan dopo guerriglia ultradecennale ora trasformatasi in guerra civile, dove, per mancanza di denaro contante, i miliziani vengono pagati in donne da usare a piacimento.

Francesco é stato ricevuto come un redentore con folle in preghiera, attente e plaudenti e autorità intimidite dal tono profetico del Pontefice. Semplice il messaggio: basta guerre, basta denari grondanti sangue, basta depredare l’Africa. Non sono stati fatti i nomi dei predoni. Li conoscono, li conosciamo tutti. L’assassinio dell’ambasciatore Luca Attanasio (sposato con una splendida fanciulla di origine marocchina e mussulmana, tre figli) del suo autista congolese ( Mustafa Milambo) e di un carabiniere di scorta (Vittorio Iacovacci) ha completato l’assalto dei martiri pacifisti al forziere delle multinazionali, spazzando via ogni differenza razziale e religiose.

Dalla generica richiesta di pace o almeno di una tregua in Ucraina – presentando alla processione del giovedì santo una famiglia ucraina ed una russa trascinare assieme una croce – siamo fulmineamente passati a colpire al cuore il capitalismo da rapina, lo sfruttamento selvaggio degli esseri umani, esponendo di fronte al mondo intero il movente : Diamanti, Uranio, Oro, Tungsteno, Cobalto, Coltan, Stagno e cento altre risorse indispensabili alla tecnologia, ai cellulari, all’industria spaziale, a chiedere, anzi a pretendere “ in nome di Dio” una pace immediata e “ su tutti i fronti di guerra.”

Prevedendo l’isolamento del Vaticano e attacchi al Pontefice da parte delle potenze dove hanno sede le società colpevoli di questi misfatti secolari, il Papa si é accompagnato, a sorpresa, con il moderatore della chiesa di Scozia e dell’arcivescovo di Canterbury Welby. La ingiunzione non é quindi venuta dal solo mondo cattolico, ma dall’intero mondo cristiano, salvo quegli ortodossi con cui l’occidente é in guerra, la cui posizione nel conflitto é scontata e che sarebbe stata facilmente criticabile.

I PRECEDENTI VATICANI

La posizione del Papa non é censurabile neppure sotto il profilo dottrinale. A parte che ha condannato l’aggressione russa fin dal 27 febbraio ed é andato personalmente dall’ambasciatore russo presso il Vaticano per chiedere udienza a Putin , ripete il 14 aprile la sua condanna ( “ L’Ucraina é stata aggredita e invasa”) e ha definito il Patriarca Kirill “ragazzo del coro ” di Putin.

La crisi di Cuba ha visto Papa Giovanni XXIII intervenire favorendo il negoziato tra il presidente USA Kennedy e il segretario generale del PCUS Nikita Krusciov. Poi, sempre per Cuba, quello il lavorio tra presidente americano Barak Obama e Fidel Castro che ha posto fine all’embargo che durava dal 1960.

Giovanni Paolo II e Ronald Reagan hanno collaborato attivamente per far cadere il muro di Berlino, ma questo non ha impedito al Vaticano di criticare l’invasione dell’Irak ( altra licenza poetica americana rispetto alla carta dell’ONU) sia nel 1991 che – in special modo- nel 2003. Il discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite nel 1965 va in questo senso, senza bisogno di scomodare Benedetto XV e le sue invocazioni contro la prima guerra mondiale. Posso capire l’imbarazzo di quanti si dicono cristiani e il timore di essere presi tra l’incudine elettorale e il martello americano, ma specie gli italiani, dovrebbero rileggersi il passo del concordato del 1929 in cui é previsto il diritto vaticano all’intervento in questa materia. Bisogna che anche Biden e Blinken – e chi per loro – si rassegnino: la difesa della pace e della vita umana fa parte, per dirla con parole che possono capire, del core business del Papato, per unanime riconoscimento.

L’ultimo appello di Francesco prima di lasciare Kinshasa é rivolto alla gente comune e non ai potenti:“Non lasciatevi manipolare da individui o gruppi che cercano di servirsi di voi per mantenere il vostro Paese nella spirale della violenza e dell’instabilità, così da continuare a controllarlo senza riguardi per nessuno” ( da “Avvenire” del 5 febbraio u.s.) mi ha ricordato l’inno dei giovani di Nuova Repubblica scritto da Randolfo Pacciardi, uomo di diversa cultura ma di identico sentire verso i suoi simili “ studenti ed operai/ borghesi e proletari/ chi vi divide impera / facendo i propri affari”. Deve essere il motivo per cui di questo Papa mi piace la comunicazione planetaria e trovo abbia ragione: il Cristianesimo non é una scienza. E’ una prassi.

MELONI: LA LUNA DI MIELE INTERROTTA ?

HA PRONUNZIATO LA PAROLA PROIBITA: PRESIDENZIALISMO, MA OFFRE UN COMPROMESSO CON UNA BICAMERALE.

La prima volta che udii Giorgia Meloni fu nella sala delle riunioni di UNIONCAMERE in piazza Sallustio a Roma.

Chiesi al capo della segreteria del ministro Alemanno, Biava, che mi sedeva vicino, come mai una ragazza con tanta facilità di espressione e chiarezza espositiva non l’avessero candidata alla direzione del movimento giovanile. Mi rispose con aria rassegnata “ sta con Gasparri” facendo un tutt’uno tra il Talmud e la logica delle correnti.

Non mi piacque invece il fatto che fosse poi candidata da Ignazio Larussa alla guida del suo partito, per antipatia verso quest’ultimo: in odio all’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini non inviò nessuno alla commemorazione di Randolfo Pacciardi che feci alla Camera dei Deputati, mentre l’ex Ministro della Difesa Parisi venne di persona, come Emilio Colombo.

Non mi aspettavo dunque che diventata primo ministro mettesse anzitempo i piedi nel piatto affrontando il tema della elezione diretta del capo dello Stato ( o comunque dell’esecutivo), interrompendo la tradizionale luna di miele dei cento giorni con l’opposizione e – presumo- con la presidenza della Repubblica che é stato il leit motiv di Pacciardi dell’ultimo quarto di secolo.

Mai dare per scontate le posizioni politiche immaginando collegamenti su basi tribali. La giovanotta con lo scilinguagnolo ha mostrato di avere contezza e rispetto di sé.

Cinquantotto anni dopo l’appello agli italiani di Maranini e Pacciardi, Cadorna, Tommaso Smith ( senatore della sinistra indipendente) Giuseppe Caronia, Ivan Matteo Lombardo, Mario Vinciguerra,Giano Accame, Rossi Longhi ( segretario Generale della Farnesina) e Mancinelli ( Capo di SM della Difesa), la parola magica riforma della Costituzione in senso presidenziale é stata pronunziata dal Presidente del Consiglio dei ministri in carica a nome della sua maggioranza.

Per molto meno, una parolina bofonchiata a mezza voce durante una intervista a un giornale, il Presidente della Corte Costituzionale Mauro Ferri, ex segretario del PSI, fu costretto a dimettersi due giorni dopo il misfatto.

Chi era favorevole alla riforma dovette interrarsi nelle catacombe per sfuggire al linciaggio: Paolo Ungari e numerosi studiosi crearono “l’Alleanza Costituzionale” che riunì una quarantina di intellettuali impossibilitati a fare outing alla luce del sole. Il preside della prestigiosa facoltà “Cesare Alfieri” di Firenze, lo storico Rosario Romeo , i costituzionalisti Crisafulli, Mazziotti, Caboara, e numerosi ex presidenti della Corte Cotituzionale, ( senza contare la conversione, dopo il settennato, di Giovanni Gronchi ) ammisero, che Pacciardi aveva ragione.

Giulio Caradonna, consapevole che sarebbe stato una presenza imbarazzante, presentò a Pacciardi un gruppo di Giovani tra cui Vittorio Sbardella e Enzo Dantini con un seguito di ragazzi entusiasti e desiderosi di uscire dall’isolamento politico. Furono ripagati con una coalizione di tutti i gruppi universitari ( incluso il MSI) che organizzarono – d’animo re e d’accordo- un broglio elettorale rimasto famoso anche se la magistratura, costretta a giudicare, li condannò a 15 giorni di galera e… 500 lire di multa.

IL CAMBIO DI PASSO

Fino a ieri sono stato scettico sulle possibilità di una riforma che assicurasse stabilità politica ai governi e l’elezione diretta di un personaggio capace di “ tagliare le unghie ai partiti e correnti”. Oggi sono costretto a tornare a sperare nella fine delle persecuzioni, anche cruente, cui fummo fatti segno.

Gli obbiettivi da raggiungere erano di far eleggere personaggi non selezionati da Tv o mass media e creare maggioranze stabili in cui il presidente non possa più sciogliere le Camere e queste licenziare il governo.

Oggi é perseguibile solo la stabilità governativa a tempo che é un valore in sé, mentre per selezionare un personaggio di valore etico-politico, bisognerà ricorrere a un processo di filtraggio preventivo, quale ad esempio un tempo minimo incomprimibile di preavviso di candidatura ( sei/otto mesi prima dell’elezione), l’indicazione di grandi elettori (cinque consigli regionali, tre provincie e cento comuni di cui almeno quattro con più di mezzo milione di elettori?).

Scegliere un ultracinquantenne senza limitazioni non basta più. Questo é certo e elezioni primarie si sono rivelate grottesche parodie democratiche.

La scelta di offrire alle opposizioni una commissione bicamerale e la disponibilità a forme di semi presidenzialismo sono una saggia manovra per attrarre una maggioranza molto ampia attorno al progetto.

L’aver scelto di attaccare immediatamente il nodo politico centrale, aiuta a eliminare il fattore tempo come elemento di rallentamento a disposizione degli avversari. Resta l’elemento resilienza del Quirinale che potrebbe voler resistere per non perdere l’eccessivo potere cumulato negli anni di surroga dei partiti in crisi, ma l’esempio della capacità di rinunzia al potere esaltato dalla morte di Benedetto XVI giunge a proposito per invitare Mattarella ad accettare il cambio di passo.

Lei potrebbe essere ricordata come chi il cambio l’ha realizzato e lui come chi l’ha favorito accettando le regole della Democrazia autentica sull’esempio del Pontefice morto oggi e non quelle della “ banda di briganti” di Ratzingeriana memoria.

L’INFORMAZIONE CORRETTA GLI ITALIANI L’HANNO UCCISA DA TEMPO E CON LEI LA DEMOCRAZIA. AD ESEMPIO….

ECCO COME I DC FECERO SCOMPARIRE IL RICORDO DI UN UOMO DALLA STORIA D’ITALIA PERCHE’ NON PIACEVA A PRETI E AMERICANI.

Immagino stia succedendo anche in Ucraina oggi : quando si trattò di combattere fu il primo tra i primi. I libri sulla Resistenza al fascismo si dividono in due categorie: le chiacchiere da bar, e i libri dello storico Paolo Palma che raccontano le imprese di Randolfo Pacciardi dall’altra.

Fu – lo dicono i rapporti di polizia dell’epoca- Randolfo Pacciardi la mente degli unici attentati alla vita del dittatore, fu l’unico – assieme ai decorati al valore raccolti in Italia Libera– a contestarlo fin sotto il balcone di Piazza Venezia; fu lui a fornire il passaporto falso a Sandro Pertini per permettergli l’attività clandestina; fu lui al comando del battaglione ” Garibaldi” in Spagna a fermare le divisioni fasciste a Guadalajara. Fu lui a ottenere l’assoluzione de ” La voce repubblicana” dall’accusa di diffamazione mossa da Italo Balbo per l’assassinio di Don Minzoni, dimostrandone, in tribunale, il coinvolgimento con un colpo di scena alla Perry Mason.

Una delle innumero censure fatte contro Pacciardi: La foto che il maestro Arturo Toscanini gli dedica ” Caro Pacciardi, i miei voti e i miei pensieri la seguiranno ovunque. Viva L’Italia!! ” da me consegnata all’Archivio della Camera, é stata espunta dalle foto nel libro pubblicato per l’occasione. Alla Biblioteca della Camera, la pagina del settimanale “ Folla” contenente una proposta di compromesso presentata da Andreotti, ( elezione diretta se dopo le tre tornate iniziali il presidente non ottiene la maggioranza qualificata), è stata tagliata. La promessa del presidente della commissione di vigilanza RAI ( Delle fave) di ammetterci alle tribune politiche TV nelle elezioni politiche del 1968 se ci fossimo presentati in almeno metà delle circoscrizioni, fu rimangiata. Moro scrisse auna lettera personale a tutti i direttori dei giornali chiedendo di non nominarci. E Fanfani disse a Pacciardi che protestava ” mica voglio che mi spacchi il partito”.La CIA mi mandò un loro agente a fingere di essere interessato.Volevano sapere dei rapporti ( inesistenti) con De Gaulle. Avevano dimenticato che fu mio padre a farglielo reclutare… Al 50* della guerra di Spagna, il presidente RAI, Quaroni, chiese come mai non avessero intervistato Pacciardi. Gli risposero che era malato. Bugia.

Se questa é la democrazia che volete difendere, difendetevela da soli.

Fu Pacciardi a partecipare attivamente alla Resistenza francese in Algeria e fu sempre lui – alla presenza di Enrico Fermi, Luigi Sturzo, Arturo Toscanini, Gaetano Salvemini, a pronunziare, al Carnegie Hall il 16 ottobre 1943, a nome di tutti i fuoriusciti italiani ,le gravi parole che lo segnarono: ” Avevate promesso, in caso di rivolta, non solo la pace giusta e onorevole per l’Italia, ma l’ingresso d’onore nella famiglia delle nazioni europee. Permettete invece che tutti gli avvoltoi internazionali calino sul corpo disfatto del nostro povero paese e razzolino tra i suoi brandelli sanguinolenti.”

Eminenti scrittori come Ernest Hemingway ( che parla di lui nel romanzo ” Di la dal fiume, tra gli alberi”) scrisse ai suoi lettori ” Quest’anno avete visto combattere il battaglione Garibaldicosicché sapete che ci sono ancora dei buoni combattenti italiani. Li avete visti calmi, sereni e valorosi, truppe brillantine mai ve ne furono; e Pacciardi allegro e bello nell’azione, come deve essere stato Ney.”

G A Borgese (che sposò Elisabetta, la figlia di Thomas Mann) ebbe una cattedra di letteratura all’Università di Chicago dopo aver scelto anch’esso l’esilio, dice di Randolfo: ” La prima delle sue idee è che la libertà è azione, e che, suprema delle azioni, quando l’ora scocca, è la battaglia. Randolfo Pacciardi, quest’uomo di legge e di lettere, dal viso gentile e dalla parola elegante, crede fortemente nella Milizia e a questa credenza ha dedicato la vita. Egli crede che il destino del popolo italianodipende in gran parte dalla stima che gli italiani avranno di sei dalla stima che gli altri popoli riterranno dovuta all’Italia. Da questa credenza sorge un compito difficile…..

…. Pacciardi é uno che ha affrontato il compito. Egli si batte alla testa di quelli che si battono. Tutti sanno che la battaglia di Guadalajara fu perduta dagli italiani di Mussolini. Pochi sanno che la battaglia di Guadalajara fu vinta con gli italiani di Pacciardi. Ma ciò che egli ha fatto verrà in crescente luce:ciò che egli farà, se gli sarà concesso di fare, dissiperà molto di ciò che rimane nell’ombra. E’ sua convinzione che non vi può essere restaurazione se non nell’onore della lotta. E’ sua certezza che gli italianiste si sono dati da sé la servitù, da sé si devono dare la libertà.”

Tornato dall’esilio dopo venti anni e divenuto il vice di Alcide De Gasperi nei governi della Ricostruzione, si accorse ben presto che non era quella la Repubblica per amore della quale aveva buttato al vento la sua giovinezza. Propose una serie di correzioni e completamenti alla Costituzione e nel giro di una notte divenne fascista…

Fu allora che si mise in moto la macchina del fango, con comunisti e fascisti – ciascuno per i suoi motivi- a coalizzarsi contro di lui, mentre i DC tiravano un sospiro di sollievo. Si erano accorti che era diventato un pericoloso maestro di democrazia e decisero di sabotarlo.

L’Osservatore Romano ( in realtà il fratello di Biagio Agnes , DG della Rai), riuscì a infilare un trafiletto che dichiarava inaccettabile la nascita di un secondo partito cattolico ( cinquanta deputati DC, più nove PSDI e tre PRI volevano votare contro il primo Governo Moro e costituire un gruppo).

Desistettero tutti tranne Pacciardi che mise agli atti della Camera la sua protesta contro l‘intervento del Vaticano: ” Signor Presidente, desidero soltanto richiamare l’attenzione della Camera su un fatto nuovo che mi pare eccezionalmente grave, avvenuto in questi ultimi giorni, direi anzi in queste ultime ore, L’organo di uno statiche almeno come stato deve essere considerato estero, ha indotto con una pressione scoperta, un gruppo di deputati che avevano già dichiarato che non avrebbero votato la fiducia al Governo, a cambiare parere ( proteste al centro)

Presidente: Onorevole Pacciardi, siamo in sede di dichiarazione di voto.

Pacciardi: Si, lo so. Questo è uno degli elementi che motivano il mio voto. Vi è stata- dicevo- una scoperta pressione morale verso un gruppo numeroso di colleghi che avevano già dichiarato che non avrebbero votato la fiducia al Governo. Invece, dopo la dichiarazione la intimazione del giornale ricordato, hanno cambiato parere e voteranno a favore del Governo. E’ singolare che ciò avvenga durante la prima esperienza di un Governo a partecipazione socialista.

Io penso però che questi gesti, questi interventi avviliscono la dignità del Governo, della Camera, e anche della nazione libera e indipendente. Perciò, elevando la mia protesta, dichiaro di votare, come avevo annunciato, contro il Governo. (Applausi, Commenti).

Poi, per tenere separati, almeno pubblicamente, i DC( Scalfaro, D’Amato, Gonella; Bettiol, Pella, Vedovato, Scelba, Alessi,Buffone,Zolla, ecc e i PSDI capitanati da Paolo Rossi, si inventarono ben tre fantasiose storie storie di Golpe, rapimenti ecc. che finirono nel nulla ma servirono per ghettizzare Pacciardi e i suoi amici.

Unica a prendere posizione per difenderlo anche pubblicamente, fu la figlia di De Gasperi, Maria Romana.

La nuova era delle bugie, che oggi dilagano ovunque, fu inaugurata con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e il contemporaneo aumento delle tariffe elettriche. Se non ricordo male, il 30%. In cambio tremila pugliesi della circoscrizione elettorale dell’on Moro furono assunti nel nuovo ente. Sono andati , tutti, in pensione nel 2000. Sono giunti a sessanta anni di età senza affanni e preoccupazioni e senza nemmeno dover votare per il loro benefattore che ha avuto il fatto suo anzitempo.

Dopo questa breve vicenda che ha occupato la vita politica intera, vi meravigliereste se vi dicessi che la censura con cui Facebook mi ha colpito con risibili pretesti ( e mi ha ripetutamente impedito di presentare ricorso), mi lascia indifferente?

La metterò nel cassetto delle esperienze fasulle e delle ipocrisie inutili. Come la Chiesa cattolica, il giorno in cui scoprii il settimanale Nuova Repubblica affisso tra i giornali messi all’indice all’ingresso della chiesa di Bagnoregio una domenica in cui un amico era riuscito a trascinarmi. Gliene sono ancora grato.

IL VOLTO DELLA GUERRA CIVILE RUSSO- UCRAINA E LA SUA DURATA.

QUANDO GLI ANGLOSASSONI PARLANO DI FOSSE COMUNI, CAMPI DI CONCENTRAMENTO E DISTRUZIONI DI CASE, SE NE INTENDONO. SANNO MENO DI NEUTRALITA’ E RISPETTO DELLE ALLEANZE.

Si parla spesso della guerra civile di Spagna del 1936 per invocare analogie con la situazione ucraina attuale. Si cercano parallelismi blasfemi tra i volontari che accorsero da ogni parte d’Europa e dalle Americhe in difesa della Repubblica spagnola ( il fior fiore dell’intellighenzia di ogni paese, tutti disinteressati, molti morti, nessun prigioniero, alcuni poi famosi come: André Malraux; John Dos Pasos; Ernest Hemingway, Randolfo Pacciardi, Iljia Ehrenburg, Marta Gelhorn, ).

Nulla a che vedere coi sottufficiali istruttori inglesi di oggi, che, per salvare la pelle, come ogni onesto mercenario professionista reduce dalla Siria, dallo Yemen e dall’Afganistan é pronto per lo scambio di prigionieri e l’incasso del bonus.

La somiglianza tra i due conflitti si limita alla eterna tentazione degli Stati Maggiori di testare ” sul campo” l’efficacia tecnica di nuove armi – tipo il Javelin – il missile anticarro che si impenna per colpire i mezzi corazzati dall’alto – la zona meno protetta – dotato di una doppia carica esplosiva che scoppia in differenziata: la prima per neutralizzare la mini carica esplosiva posta dietro le piastre di protezione della torretta che svia la prima esplosione; la seconda carica cava giunge così a diretto contatto, e distrugge il carro.

Gran successo. Peccato che ne siano stati prodotti solo seimila annualmente.

In Spagna, ad esempio, i tedeschi testarono la tecnica di bombardamento in formazione che distrusse Guernica e i russi i primi carri armati sovietici classe T.

E’ all’addetto militare francese a Madrid – colonnello Henri Morel – si deve la prima relazione sugli effetti psicologici di un bombardamento su persone ( lui stesso) in ambienti non fortificati. Ammise, pur essendo un reduce di guerra, dopo un bombardamento aereo italiano, di essere rimasto oltre un’ora inebetito, benché incolume ( rapporto al 2eme bureau del 22 ottobre 1937 “lezioni tattiche della guerra di Spagna”).

Le mitragliatrici furono invece collaudate da Lord Kitchener nella campagna del Sudan contro il Mahdi ( morto mesi prima)del 1898. A Ondurmann, le perdite umane sudanesi furono enormi ( in un giorno, tra morti e feriti oltre ventimila popolani sommariamente armati che attaccavano con vecchie sciabole, falci e archibugi spinti dal fervore religioso) contro perdite irrisorie dello schieramento britannico: 46 di cui oltre la metà soldati e graduati egiziani . Ufficiali inglesi caduti: tre.

Il razzismo innato degli inglesi impedì loro di capire che la mitraglia avrebbe avuto effetto anche sui bianchi e offrì inconsapevolmente alla mitraglia una intera generazione di inglesi e francesi che ne venne sterminata pochi anni dopo sui campi della Marna, della Somme e di Verdun.

Più simili all’attuale, i conflitti immediatamente precedenti la guerra mondiale, come ad esempio il conflitto anglo-boero ( e , in parte la guerra italo-turca in Libia che vide il primo uso del bombardamento aereo con un tenente dei bersaglieri che tirò un paio di bombe a mano su un accampamento beduino).

In sud Africa, si inaugurarono, i campi di concentramento per donne e bambini dei boeri che continuavano la guerra ad oltranza. Gli bruciavano le fattorie e i familiari venivano lasciati morire di inedia e di fame e di malattie, al punto che una eroica donna inglese Emily Hobhouse condusse una feroce campagna contro il governatore locale Alfred Milner, accusandolo – dopo un giro di ispezioni grazie alle sue conoscenze altolocate – di aver istituzionalizzato questi trattamenti inumani, le fosse comuni ed altre forme di brutale inciviltà che oggi vengono rimproverati a Israele e ai russi, per piegare i coloni riottosi al volere di sua maestà e allo sfruttamento britannico delle miniere d’oro.

Alfred Milner, Alto Commissario e Governatore della Colonia del Capo dal 1897 promosse la guerra contro i Boeri per conquistare le due repubbliche governate dai coloni bianch di origine olandese dello Stato Libero di Orange e della Repubblica del Sud Africa del presidente Paul Kruger.

Gli appetiti inglesi su quelle terre nacquero nel 1867 con la scoperta della più grande vena d’oro mai trovata nel Transvaal.

La conquista condotta con mano ferma e senza scrupoli fruttò all’Inghilterrauna nuova perla perll’impero e a Milner il titolo di Visconte. Cecil Rodhes, l’uomo più ricco del mondo alla sua morte delegò a Milner la gestione delle sue immense ricchezze perché le usasse per salvaguardare l’impero. e la supremazia della razza bianca. L’ex presidente degli USA Bill Clinton é stato un borsista della Fondazione Rodhes.

I due si ritroveranno su opposte barricate anche in occasione del primo conflitto mondiale di cui Milner fu poi uno degli artefici, assieme a Georges Clemenceau, entrambi legati anche dalla comune corrisposta passione per Lady Violet Cecil, nuora di Lord Salisbury, il primo ministro.

Anche qui, ci fu una errata valutazione della cavalleria a causa della carica di Kimberly che portò alla luce per ragioni di propaganda due dei protagonisti ( i generali John French e Douglas Haig) che poi comandarono le truppe inglesi sul continente credendo di essere ancora alle prese con contadini boeri e che il cavallo fosse l’arma risolutiva per eccellenza. Contro questi idee incrostatesi in menti anguste, si levarono prevalentemente donne di carattere provenienti dalla buona società come la già citata Emily Hobhouse e Charlotte Despard ( nome da sposata, in realtà la sorella del generale French), pacifista, sindacalista e comunista.

Assisi: un momento della manifestazione straordinaria ” marcia per la pace” organizzata in questi giorni ad Assisi. La marcia ricorda i ” fioretti di San Francesco” sulla perfetta letizia che iniziano spesso con ” Andando una volta santo Francesco da Perugia ad Assisi a tempo di verno ed il freddo grandissimo fortemente il crucciava…” Ora si marcia con meno letizia e senza comunicati sui media, ma la fame di pace affligge ugualmente un largo strato della popolazione italiana.

Le azzittarono col trucco inventato da Milner in Africa della ” guerra di difesa perché aggrediti”.E continuano ancora oggi che il testimone dei Sassoni é passato agli USA dove Lady Violet Cecil trasferì, dopo il 1945 la sua rivista “ National Interest“. In pratica la lotta tra imperialismo e pacifismo é stata essenzialmente una lotta tra menti femminili inglesi, di cuore e di carattere.

Il coraggio e l’audacia sul campo di battaglia – riservato ai maschi- non furono però più l’elemento decisivo delle battaglie con l’arrivo del nuovo secolo. Il primo conflitto mondiale – come il secondo- furono vinti dai paesi con maggiore capacità di produzione industriale protetta.

All’alba del nuovo secolo – il XXI – le armi decisive stanno rivelandosi l’elettronica e la comunicazione ( e il loro abbinamento). Ecco perché l’Ucraina sembra essere vittoriosa contro un colosso industrial-militare di vecchio tipo. Ecco perché chi sta collaudando di più i nuovi metodi ( incluso il cecchinaggio dei comandanti, impiegato per la prima volta contro lo sbarco ” di prova ” della brigata canadese a Dieppe nel 1942 dai tedeschi, che indusse gli USA a mettere sul retro degli elmetti – invece che sul davanti- le insegne di grado dei comandanti) sono gli anglosassoni e chi sta imparando di più, a caro prezzo, sono i russi, come avvenne nella campagna di Finlandia ( 1939) di cui Curzio Malapararte ci ha lasciato reportages interessanti e battute indimenticabili, come la differenza con l’Italia (“i finlandesi sono praticanti ma non credenti, gli italiani sono credenti, ma non praticanti” per sottolineare che l’Italia era non belligerante, e faceva solo chiacchiere e proclami).

IL NEGOZIATO DI ISTANBUL E IL FANTASMA DELLA NEUTRALITÀ

Fedeli alla vecchia tradizione USA che finiscono per provocare proprio i fenomeni che vogliono esorcizzare, gli americani, con l’annunzio della possibile adesione alla NATO di due stati tradizionalmente neutrali quali Svezia e Finlandia, hanno aperto l’ennesimo vaso di Pandora: quello della neutralità, su cui si sta dibattendo anche a Istanbul nei giri negoziali tra Ucraina e Russia, mediati dalla Turchia di Erdogan che, con questa mossa, si é differenziata dalla posizione degli altri partner NATO senza rompere con l’Alleanza Atlantica.

Autrice feconda, Micheline Calmy-Rey già ministro degli Esteri e presidente della Confederazione svizzera, nonché presidente del Consiglio d’Europa, offre con questo libro una visione inedita dell’idea di neutralità che chiama ” neutralità attiva” e consistente nella promozione attiva dell’idea e presi di pace invece che del pavido ed egoistico ripiegarsi su se stessi in cerca di una impossibile conservazione in un mondo ormai multipolare. Con una prefazione dell’ex Presidente francese Francois Hollande e contributi dei notissimi scrittori svizzeri Jean Ziegler e Roger Koppel, l’autrice propone all’Europa una funzione che gli burocrati di Bruxelles non hanno mai saputo ideare, benché sia in perfetta linea con l’ispirazione che ha creato l’istituzione, non nata per determinare il prezzo dei fagiolini e dei cavoletti …di Bruxelles.

Su 193 paesi del pianeta, gli stati neutrali sono una ventina e due tra questi sembrano sul punto di tradire la loro quasi secolare neutralità per aderire al blocco NATO nella vana ricerca di una sicurezza che non potranno comunque avere vista la vicinanza di confine con il presunto probabile avversario. Contenti loro….

Nel nostro caso, come Europei, abbiamo la scelta di onorare i più nobili motivi per cui l’Europa ha visto la luce ( mai più altre guerre sul nostro continente) o di obbedire alle pressanti richieste di una fazione USA in via di disfacimento dato che l’attuale presidente viene ormai visto come un ” one term President” privo di carisma, seguito e capacità di governo che a novembre gli elettori probabilmente non rinnoveranno.

Tornando al conflitto in corso, la strategia generale é mutuata dall’inquadramento fornito dall’ambasciatore Friederich Werner von der Schulemburg, per lunghi anni( dal 1934 fino alla guerra) ambasciatore a Mosca ed in seguito a capo del dipartimento 13 del Ministero degli Esteri tedesco che amministrava i territori conquistati a est.

Perfetto conoscitore del russo, era nato ed era stato allevato costì, sostenne – assieme al colonnello Claus von Stauffenberg, del quale condivise il destino dopo l’attentato a Hitler, che la Germania avrebbe potuto sconfiggere la Russia solo con l’aiuto dei russi trasformando la guerra in guerra civile e a tal uopo reclutò e portò in linea con la Wehrmacht oltre 250.000 uomini, appartenenti alle varie etnie su cui oggi anche gli USA intendono far leva, fino a che Hitler proibì il reclutamento di altri volontari russi. Speculando sul fatto che le ” altre etnie” non fossero da considerare russe il reclutamento continuò, ma in sordina fino a che i due, coi tremila complici antinazisti della “ Swarze Kapelle“, non finirono sulla forca.

Lo scontro sia ormai arenato in una sorta di replica tecnologica del primo conflitto mondiale: trincee, fango, fame e scontri ” corpo a corpo” tra persone che addirittura si conoscono, assumendo sempre più i contorni di una guerra civile. Una proxy war con a contrastare la Russia, un avatar di Joe Biden che non vuole concludere una trattativa perché non può e che non può vincere perché, fino a che la Russia avrà la superiorità aerea i rifornimenti più significativi ( artiglieria pesante, aerei da caccia) non avranno alcuna possibilità di giungere al fronte.

Resta intatta la possibilità che il parallelo con Hitler si spinga fino a segrete intese con possibili cospiratori ( Medvedev, Nebiulina ecc) , ma é inutile speculare sui segreti che non si cono c’erano che tra un secolo come sta avvenendo oggi per la Germania degli anni quaranta. Resta la carta dell’allargamento del conflitto ad altre etnie ( Georgia, Cabardinia, Moldova, Turkestan).

Si arriva così al capitolo più delicato della affidabilità degli USA come alleati. Su questo tema darò a giorni alle stampe un mio elaborato sulla fine ingloriosa del comando ABDA ( American , British, Dutch, Australian area) che fu il primo tentativo di creare una forza multilaterale per contrastare l’offensiva giapponese ( altro paese definito aggressore, mentre oggi, dopo ottanta anni, tutti gli storici riconoscono che gli USA li stavano strangolando limitando la loro possibilità di espansione e approvvigionamento petrolifero:

Nello scontro, contrariamente a quanto in promessa e in premessa, le indie olandesi non vennero difese e si lasciò distruggere quanto rimaneva della flotta olandese d’oltremare, dando la colpa al Maresciallo Archibald Wavel ( inglese) incaricato di una missione impossibile, non rifornito e al cui comando vennero sottratti mezzi USA che continuarono a rispondere direttamente a Washington per poi essere gli unici siuperstiti della sconfitta navale pi dolorosa del conflitto.

A questo ” tradimento” andrebbe aggiunta una lunga linea di stati e governanti coi quali gli USA hanno iniziato guerre per poi abbandonarli al loro destino ( Vietnam, Panama, Irak, eccetera)

Il tradimento più significativo é stato l’aver ” schiodato” l’Inghilterra dal Vicino Oriente, più con rudezza che con savoir faire:

Ancora un libro , ahimè in inglese, per illustrare in 380 pagine la storia di come gli USA scacciarono dai paesi arabi e dall’Iran ogni influenza britannica inviando come rappresentante personaggi come John Landis che ” consideravano come nemico principale, non la Germania, ma l’Inghilterra” a favore della quale dichiaravano di essere scesi in campo.

Prego il lettore di notare che tutte le fonti citate sono di origine atlantica e anglosassone, escludendo ogni fonte che potrebbe essere intesa come faziosa o parziale e interessata. Con queste premesse é ovvio che la guerra ucraina durerà molto. Quando scoppiò la guerra civile in Libano, previdi venti anni. Durò diciassette e mi scuso per l’approssimazione. Questa, rischia di durare altrettanto, a meno che non riesca l’intesa con i cospiratori interni alla Russia i cui nomi non conosco ma che é facile immaginare.

MAZZINI GIUSEPPE : ANCORA PROSCRITTO IN ITALIA.

PER I 150 ANNI DALLA MORTE DI MAZZINI NON L’HANNO NEMMENO NOMINATO E LA RAI HA RIFIUTATO ANCHE UN RICORDO. PREFERISCONO LA REGINA ELISABETTA.

Hanno fatto i conti senza Amazon e la sua capacità di produzione editoriale.

Un software molto articolato é messo a disposizione del pubblico: ci metti dentro il contenuto che vuoi, gli aggiungi una copertina, metti un prezzo di vendita e tre giorni dopo ti mandano la prima copia del libro per approvazione.

Fatta la correzione delle bozze e rispedita, nel giro di una settimana ti arrivano le copie che hai ordinato – se ne hai ordinate- e vedi il libro nella vetrina di Amazon.it a disposizione di chiunque voglia acquistarlo.

Dopo un periodo, se vende, lo mettono nella vetrina internazionale.

Detto, fatto, Ecco il libro che ha una storia: edito per la prima volta dal repubblicano Randolfo Pacciardi nel 1925, poi riedito, dopo la guerra nel 1949 con alcune aggiunte, l’ho ristampato nel 1998 con l’aggiunta di una commemorazione di Mazzini fatta da Pacciardi a Genova per i centocinquanta anni della nascita.

Ora l’ho ristampato e rimesso in vendita su Amazon con menzione dei 150 anni dalla morte e l’amaro commento che il profeta dell’Unità italiana e di quella europea – e della promozione della donna e dei suoi diritti – viene dimenticato in patria, mentre é uno dei titoli più studiati dagli storici anglosassoni…

Noi osanniamo quella vecchia ciabatta della regina Elisabetta, il principe di Monaco e presto il granduca del Lussemburgo.

Eccovi la copertina del libro e un elenco parziale dei cittadini d’Europa che hanno speso parole e ragionamenti su Mazzini: da Sun Yat Sen a Bakunin , da Salvemini a De Gasperi, a Sturzo e Saponaro.

Da Garibaldi a Nathan. Da Ghisleri a Francesco De Vita, al professor Tramarollo fondatore della Associazione Europea degli Insegnanti ( AEDE). Lo trovate su amazon.it.

Quando io era giovane e non aveva che delle aspirazioni, cercai un uomo che mi potesse consigliare e guidare nei miei giovani anni, io lo cercava come l’assetato cerca l’acqua.

Quest’uomo io lo trovai, lui solo vegliava quando tutti dormivano. Egli é sempre rimasto mio amico pieno d’amore per il suo paese, pieno di devozione per la causa della libertà.

Quest’uomo é il mio amico: Giuseppe Mazzini. Al mio maestro! Al maestro di tutti!

Giuseppe Garibaldi

L’ INTERVISTA IMPOSSIBILE DI MARCO NESE SULLA CRISI DELLA REPUBBLICA.

A TRENTA ANNI DALLA MORTE DI RANDOLFO PACCIARDI, MARCO NESE, PER ANNI GRANDE INVIATO DEL CORRIERE DELLA SERA, ATTINGENDO AGLI ATTI PARLAMENTARI DA LA PAROLA AL DEPUTATO CHE PER PRIMO – RINUNZIANDO ALLE LUSINGHE E DA SOLO- DENUNZIO’ LA DITTATURA DEI PARTITI CHE HANNO PORTATO ALLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA.

UNA ANALISI IMPIETOSA E COMPLETA. UNA COMPLETA LEZIONE DI STORIA PATRIA ORMAI INSOLITA IN TEMPI DI DECADENZA MORALE E POLITICA. IL CORRIERE DELLA COLLERA ANTICIPA IL TESTO CHE E’ IN STAMPA E VERRA’ PUBBLICATO IL PROSSIMO OTTOBRE.

Ecco l’Intervista

Ho fatto decine di interviste. Forse centinaia. Mai però mi era capitato di dialogare con un uomo che non è più fra noi.

Ma è possibile ottenere risposte da chi ha abbandonato questo mondo? Sì, è possibile se quest’uomo ci ha lasciato azioni coraggiose e comportamenti esemplari, se di lui sono rimaste parole chiare che rivelino senso morale, pensiero cristallino e una fede mai tradita. Tutte qualità che descrivono la figura e la personalità di Randolfo Pacciardi. A volte le sue parole cristallizzate negli atti suonano perfino profetiche. E allora ascoltiamolo.
Ecco, mi pare di vederlo, in piedi, statuario, a Montecitorio nel 1963 quando in aula si discute della formazione del governo di centrosinistra.

Sentiamo cosa dice.


“Il mio discorso è di netta opposizione a questo governo. Ho visto un battaglione di ministri e sottosegretari, ne avevamo dappertutto, davanti, di fianco, di dietro, invadevano tutta la Camera. Mentre domandate austerità al Paese, date scarsa prova di senso dello Stato presentandovi con una compagine così complessa e numerosa. Mi è venuta in mente la dea Artemide che era rappresentata non con due seni, ma con parecchi filari di seni, credo fossero venti, un terzo di questo governo. Ho pensato che quella fosse proprio l’immagine dello Stato come se lo prefigura il governo di centrosinistra. Cioè come un dispensiere di latte per tutti”.


Mi perdoni, onorevole, capisco che il centrosinistra non le piace, ma le chiedo di precisare meglio questo concetto del latte per tutti.


“Significa riempirsi di debiti. I figli e i figli dei nostri figli pagheranno per i debiti che fa questo governo. Un governo con programmi a lunga scadenza per cui chi governerà in seguito avrà solo il compito di amministrare i debiti. Anche le industrie si trovano di fronte a questo dilemma: o vendersi allo straniero, come in gran parte sta succedendo, oppure condannare l’Italia a essere la cenerentola del progresso economico europeo”.


Da questo deriva la sua opposizione?


“Ma certo. Ci opponiamo alle statizzazioni, nazionalizzazioni, programmazioni, tutte coercizioni. Chi vuole la sua redenzione, se la conquisti. La leva del progresso, della civiltà è affidata ai cittadini e non si deve aspettare dallo Stato”.


Lei mi perdonerà se a volte riassumo un po’ il suo discorso. Lo faccio solo per chiarezza e brevità. Dunque, questo governo di centrosinistra al quale lei si oppone è presieduto da Aldo Moro. Mi sembra di aver capito che lei avesse stima dell’uomo, una stima ora svanita.


“Persona colta, Moro. Tempo addietro usava un linguaggio diverso, parlava in modo semplice, usava parole chiare. Per mettere insieme un governo dove siedono cattolici e socialisti ha faticato un mese ed è riuscito nell’impresa inventando un linguaggio nuovo, fumoso, che dice e non dice. Gliel’ho rinfacciato, gli ho detto: questo vostro incedere con passo felpato onorevole Moro fra Cristo e Satana avrà ripercussioni che forse voi non immaginate. Avete creato un vostro stile del tutto diverso da quello di dieci o quindici anni fa. Avete imparato a dire cose che non dicono niente, o cose polivalenti che possono essere interpretate in cento modi. Per interpretare i vostri discorsi sarebbe necessaria una classe di sacerdoti o di tecnici, come si faceva nell’era pagana per interpretare gli oracoli o i responsi delle sibille”.


E le persone comuni cosa capiscono di questo linguaggio oracolare?


“Niente. Siamo in presenza di una classe politica che si sta sempre più insensibilmente allontanando dal Paese. Portano nello Stato i cavilli della curia. Siamo pressappoco ai regimi parlamentari del medioevo”.


Quei primi governi di centrosinistra non sono durati a lungo. Un paio d’anni.


“Sì, ed hanno aggravato la situazione economica. Hanno creato una tremenda incertezza negli operatori, hanno creato una crisi cosiddetta congiunturale. Un biennio di centrosinistra ci ha lasciato un disastro. E Moro lo ha ammesso. Il 4 agosto 1964, quando ha spiegato le ragioni della crisi del suo governo, è stato onesto. Ha detto la verità. Un discorso malinconico ma chiaro e serio. Ma come se ci presentasse l’inventario di altri governi, non il suo. Non si è mai visto che i giri di vite fiscali siano un incentivo alla produzione”.


In quell’occasione, lei fece notare con disappunto che l’arrivo dei socialisti al governo aveva penalizzato i liberali.


“Un vero e proprio ostracismo al partito liberale. Quell’antiliberalismo segna un rigurgito di vendetta storica contro il nostro Risorgimento. Il partito repubblicano non può rassegnarsi a fare da prezzemolo in questo minestrone clerico-socialista. Vorrei ricordare che De Gasperi allontanò dal governo comunisti e socialisti, il Paese gli credette e la Dc ebbe la maggioranza assoluta”.


Una Repubblica da riformare. Ci sono le condizioni?


“C’è qualche cosa che si muove in questa Italia che sembrava infrollita e rassegnata dinanzi alle bubbole buddiste di Aldo Moro e di una classe politica che si crede dirigente e che non è altro che rimorchiata”.


Dando vita a Nuova Repubblica, cosa si proponeva?


“Innanzitutto ricostruire lo Stato italiano ridotto a una condizione di poltiglia che giorno per giorno si decompone: pensiamo a uno Stato semplificato e ordinato, decente e onesto, pulito, controllato, che sia il supremo regolatore della convivenza di tutti gli italiani. Enti, uffici, posti di comando, stanze dei bottoni vengono distribuiti con nauseante imbarazzo alla luce del sole. Il centrosinistra ha elevato a regime il sottogoverno. Bisogna disfare le sette per rifare lo Stato”.


Come definirebbe il governo?


“Il governo rappresenta la Nazione e non i partiti. In Italia si è venuta formando una partitocrazia che non ha nulla a che fare con la democrazia, è una dittatura, un’oligarchia anonima peggiore di tutte le altre perché non assume le sue responsabilità. Il potere appartiene a questi organismi privati esterni che sono i partiti. Noi non possiamo farne parte. Sarebbe il colmo se dopo aver combattuto diventassimo sudditi e schiavi di queste baronie moderne. Questa è la Repubblica dei compari, sempre gli stessi, in tutti i governi”.


Lei però è stato ministro.


“Con De Gasperi sono stato ministro della Difesa. Erano i primi anni di questa Repubblica e non si avvertivano i difetti del sistema perché al governo c’era, appunto, un uomo come De Gasperi che non ha mai voluto trattare coi partiti. Avevo buoni rapporti con i democristiani. Nel 1959 Andreotti diventò ministro della Difesa e mi mandò un biglietto in cui mi annunciava, appunto, che andava alla Difesa. Diceva di essere “fiducioso nel tuo consiglio e nella tua collaborazione”. Erano altri tempi. Ma poi tutto è cambiato. E allora che Parlamento è, dove decidono tutto i capi dei partiti? Ricordo il senatore Merzagora dire che tanto varrebbe chiudere il Parlamento e fare un sinedrio ristretto per registrare la volontà dei partiti”.


La sorprende che i cattolici abbiano accettato di governare coi socialisti?


“Diciamo che ci sono cattolici che vogliono mescolare il sacro col profano e sollecitano l’autorità della Chiesa per puntellare il loro malfermo e poco commendevole dominio. Ma se io fossi Papa risponderei come fece Papa Leone quando il giovane imperatore luterano lo pregò di partecipare alle alleanze politiche. “Non tentare il Signore Dio tuo”, lo liquidò Papa Leone”.


Questo suo atteggiamento critico le procura attacchi feroci.


“Ah, certo. La partitocrazia si difende e attacca. Sento dire che ho fini personali, che voglio fare il de Gaulle, che sono qualunquista, che sono fascista. Lo dicono proprio quelli che durante il fascismo partecipavano alle più brutte manifestazioni del regime, compresi i comunisti. Sono proprio i profittatori del regime fascista che sono passati armi e bagagli nel regime partitocratico, sono essi che ci insultano”.


Torniamo indietro negli anni. Durante il fascismo lei riparò in Svizzera.


“Lugano. E’ passato tanto tempo. Trascorsi in terra elvetica sette dei miei anni di esilio. Ci sono tornato dopo la nascita della Repubblica. Avevo bisogno di poter parlare agli svizzeri e ai loro figli non come facevo allora, con la voce irata o lamentosa dell’esule, costretto dalla mia missione a portare discordie anche tra loro, ma come rappresentante di una libera Nazione venuto a festeggiare eventi di storia per molti aspetti comune. É stata l’occasione per chiedere indulgenza ai cittadini svizzeri verso i quali le passioni di allora mi portarono a essere unilaterale o addirittura ingiusto”.

La Svizzera ha significato molto per i dissidenti italiani.


“Tutti i proscritti del Risorgimento passarono per quelle terre, Ugo Foscolo, Pellegrino Rossi, Santorre di Santarosa, il Conte Porro, Gabriele Rossetti, i fratelli Ugoni, Giovanni Berchet, Pietro Giannone, Luigi Angeloni, Filippo Buonarroti, Biolchi, Tadini, Passerini, Prandi, la principessa Trivulzio-Belgioioso, il marchese Bossi, De Prati, Conte Pecchio e i Nathan, Rosales, Melegari, Picchioni, Bellerio, Cironi, Deboni, Mamiani, Gioberti, i fratelli Ciani, i fratelli Ruffini, Dall’Ongaro, De Mester, La Cecilia, Garibaldi, Grillenzoni, Vannucci, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini”.


Patrioti di varie ideologie.


“Moderati, rivoluzionari, monarchici, repubblicani, cattolici, anticlericali, federalisti e unitari, pensatori e uomini d’azione, aristocratici di alto lignaggio e popolani oscuri, ebbero in Svizzera le loro passioni, le loro lacrime, i loro slanci, i loro contrasti. Le tipografie pubbliche e clandestine, i giornali, le ville e talvolta i sotterranei furono al servizio della grande cospirazione. Al mio ritorno in Roma dopo diciotto anni di esilio, il primo pensiero fu scrivere un articolo in elogio della Svizzera”.


Parliamo di un altro capitolo del suo esilio, il periodo passato in Spagna al comando della Brigata Garibaldi durante la guerra civile. Sulla strada per Valencia, nel febbraio del 1937, durante la battaglia del fiume Jarama per difendere un ponte dalle milizie di Francisco Franco, lei subì ferite molto serie alla testa. C’è un filmato in cui si vede lei sanguinante mentre viene sorretto dal futuro leader socialista Pietro Nenni. La voce narrante di quel filmato è nientemeno che Ernest Hemingway. Dice che gli Italiani, specialmente nella battaglia di Brihuega, persero più uomini che in Etiopia.


“Dopo essere rimasto ferito, raggiunsi Parigi per farmi medicare. Ero in convalescenza nella capitale francese, ma decisi di tornare in Spagna e nel marzo del ’37 guidai la battaglia di Guadalajara, una città a 58 chilometri a nordest di Madrid”.


Quella fu una battaglia strana, combattuta da Italiani che si battevano contro altri Italiani in terra spagnola.


“Ed è finita con la vittoria per le armi repubblicane. La grande battaglia di Guadalajara, iniziata da quattro divisioni di Mussolini, si risolse in una sconfitta per i fascisti. I resti del corpo di spedizione fascista furono inseguiti sulle strade e sui monti. Come comandante del battaglione Garibaldi potei parlare a Radio Madrid di questa grande battaglia di Guadalajara che seguiva di pochi giorni la grande battaglia del Jarama”.


I fascisti sembravano sicuri di poter vincere.


“Credevano che l’armata repubblicana fosse esausta e senza riserve. Quattro divisioni italiane con centinaia di carri d’assalto, cannoni, mitragliatrici e camion speravano di prendere alla gola Madrid. Pensavano che ci avrebbero sconfitti. Noi eravamo molti esuli dispersi dal fascismo, molti erano venuti direttamente dall’Italia. Avevamo costituito un battaglione che aveva preso il nome di Garibaldi. Abbiamo ripreso l’idea garibaldina di rendere libera l’Italia da tutti i servaggi, dare forza e coraggio al proletariato italiano per conquistare da solo la liberazione economica e la libertà civile. Mentre il fascismo consumava tutte le risorse italiane in una beota religione della forza e in avventure internazionali dove rischiava da pazzo la rovina del Paese. Volevamo liberarci del fascismo, dopo l’Italia dell’Impero, dopo l’Italia del Papato, volevamo l’Italia del Popolo, tendente anch’essa ad un prestigio universale. Prestigio delle istituzioni libere, della redenzione della plebe, il prestigio dell’arte, dell’intelligenza, dei traffici, del lavoro, della pace”.


Dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, l’Italia si trovò sotto il controllo degli Alleati.


“Già, gli Alleati. Non tutto è andato per il meglio. Io fui chiaro. Dissi: Voi, governo inglese e americano, avevate preso impegni solenni verso il popolo italiano; avevate promesso di sostenerlo, nel caso in cui si rivoltasse contro il fascismo. Si è rivoltato. E tutti sanno come lo avete sostenuto. Avete perduto quaranta giorni nelle trattative col Re e con Badoglio che, come primo atto del loro nuovo regime di stato d’assedio, avevano fatto dimettere il comandante del Corpo d’armata di Milano perché non aveva avuto cuore di sparare contro il popolo e i capi della rivolta popolare”.


Cosa si aspettava?


“Bisognava mettere in disparte la monarchia, ci voleva un Comitato nazionale o un governo provvisorio formato da uomini non compromessi. Invece di essere prigioniero in un campo di concentramento, Badoglio è stato nominato capo del governo. Il governo ha lasciato confondere l’Italia fascista con l’Italia antifascista. In quel periodo l’Italia aveva bisogno di alte coscienze morali per risollevarsi dal fango e dal dolore”.


Questo tragico aspetto non è stato compreso dagli Alleati.


“Non hanno compreso che il responsabile della guerra non era un solo uomo. Con Mussolini era responsabile il Re, era responsabile lo Stato maggiore, era responsabile il principe Umberto. Se abbiamo l’ingiusta fama di essere un popolo imbelle, lo dobbiamo in gran parte a una casta militare piemontese, ristretta, boriosa e cogliona, che ha perso sempre tutte le guerre. Il Risorgimento si è fatto a forza di sconfitte monarchiche e vittorie popolari e garibaldine”.


Tuttavia verso gli Alleati, gli americani in particolare, bisogna essere riconoscenti.


“Non c’è dubbio. Se non ci fosse stato Roosevelt noi saremmo stati ancora a lungo sotto il tallone tedesco. Gli Stati Uniti hanno il supremo interesse di aiutarci a guarire il nostro continente malato e il solo modo di guarirlo radicalmente dalla sua follia guerriera è quello di organizzare gli Stati Uniti d’Europa”.


L’idea mazziniana dell’Unione europea.


“Non c’è alternativa. E’ possibile immaginare mondo in cui il problema europeo non sia risolto nel suo complesso? Tutte le soluzioni prospettate, all’infuori della Unità federale dell’Europa, saranno soluzioni incerte e pericolose. Per noi Italiani esisterà sempre il grave problema della mancanza di materie prime, ma nell’unità federale europea la cosa si risolverebbe: le materie prime che ci mancano ce le ha la patria europea. Le frontiere nazionali sono diventate anacronistiche. L’altro secolo fu il secolo delle unità nazionali, adesso è il secolo delle unità continentali. Ma anche qui mi è sembrato che negli Stati Uniti non tutti abbiano le idee chiare”.


A cosa si riferisce?


“L’America in fondo è stata vittima dell’inguaribile pazzia del nostro Continente. Avrebbe dovuto comprendere. Ma il ministro del Tesoro Morgenthau ha parlato di deindustrializzare la Germania e farne un Paese agricolo. Un progetto folle da pace di Cartagine che equivale alla distruzione della Germania e all’affamamento dell’Europa. Pensare di assicurare la pace e la sicurezza in Europa dividendo i tedeschi, disperdendoli in mezza Europa, ma questo sarebbe il modo sicuro per creare un altro nazismo”.


Torniamo alla sua attività politica. Lei rifondò il partito repubblicano al rientro dall’esilio.


“Il sistema italiano non può che essere repubblicano. E la federazione europea non può che essere popolare e democratica, cioè repubblicana. L’assurdo hitleriano era quello di costituire un’unità europea cesarea o napoleonica. Ora, ci sono due mondi, quello occidentale che ha avuto le sue rivoluzioni liberali e la sua civiltà capitalistica. Poi c’è la Russia. Dall’incontro dei due mondi in senso sociale è possibile scorgere non il tramonto dell’Occidente, ma una salutare risultante storica che concili definitivamente il socialismo con la libertà”.


Secondo lei è possibile coniugare socialismo e libertà?


“Mazzini vide questa conciliazione nelle organizzazioni autonomistiche degli Stati, non imposta dall’alto, ma conquistata dal basso, attraverso la redenzione delle plebi, questa visione è ancora viva e moderna”.


Come valuta l’esperienza mazziniana della Repubblica romana del 1849?


“Dopo pochi mesi che la bandiera tricolore era salita sul Campidoglio, i repubblicani italiani ebbero una pugnalata alla schiena: i soldati delle repubblica francese, affiancati da altri tre eserciti invasori, imposero di ammainarla. In quei pochi mesi il governo repubblicano di Roma disegnò una Costituzione, sotto il tiro dei fucili e lo schianto delle bombarde, che resta un monumento di sapienza civile. Il governo repubblicano decretò l’autonomia più completa per i Comuni, riformò la giustizia, sopprimendo in particolare il Tribunale del Sant’Uffizio e istituendo i giurati per i giudizi penali; rese libero l’insegnamento, abolendo tutte le tasse scolastiche, comprese quelle per conseguire i più alti titoli accademici, creò una banca di Stato, che doveva promuovere l’agricoltura e il commercio, divise le terre demaniali in lotti enfiteutici redimibili da assegnare alle famiglie dei più poveri coltivatori. E stabilì il principio che tutti hanno diritto alla casa”.


Un insegnamento per i posteri.

“Sicuro. A Sant’Elena, un condottiero di eserciti, Napoleone, si vantava di aver dato alla Francia il gusto della gloria per un secolo. Ebbene, Garibaldi e Mazzini hanno dato all’Italia il gusto eterno della gloria. Ma non della gloria mendace, delle guerre, delle conquiste, della potenza, degli imperi. La gloria bensì delle libere istituzioni civili, delle competizioni nell’arte e nella scienza, nei commerci e nel lavoro, nelle missioni e nelle iniziative”.


Cosa intende quando parla di rivoluzione sociale?


“Il Cristianesimo ci aveva proclamati figli di un solo Dio, tutti fratelli, tutti uguali. Ma in cielo, non in terra. Una rivoluzione spirituale che rovesciando dai loro marmi gli dei pagani ci disse tutti figli di un solo dio, cioè tutti fratelli, tutti uguali, e così furono gettate le basi della società democratica. Il Rinascimento italiano aveva riportato sulla terra il senso della dignità umana. Le rivoluzioni politiche inglese, americana, francese avevano proclamato i diritti dell’uomo, diritti politici, diritti giuridici. Ma se noi pensiamo che non si può conciliare la libertà con la monarchia pensiamo anche che non si può conciliare la libertà con la fame. Questo è il senso della rivoluzione sociale”.


Una rivoluzione sociale che, in base alle sue parole, non mi sembra che possa coincidere con la rivoluzione sovietica.


“Lo dissi alla Camera in modo chiaro nel 1956 quando i carri armati sovietici invasero l’Ungheria. Avevamo l’impressione che il gruppo comunista fosse un po’ smarrito, che una certa crisi di coscienza toccasse gli uomini di quella parte. Invece no. Non abbiamo notato perplessità. E io debbo dire con estrema umiliazione di aver ascoltato il discorso più cinico che abbia mai udito nella mia vita”.


L’irascibile Giancarlo Pajetta si urtò molto per queste sue espressioni.


“Sì, mi insolentiva dandomi del tu. E al richiamo del Presidente dell’aula disse: allora lo chiamerò signore, mister Pacciardi. E io dissi: fa bene, ella infatti un signore non lo è”.


Be’, Pajetta fu sempre un po’ impertinente.


“Ma io ricordai a lui e a tutti i colleghi parlamentari che il 10 febbraio 1947 fu firmato a Parigi il trattato di pace con l’Ungheria. Firmatari di questo patto erano le potenze alleate e l’Unione Sovietica da una parte e l’Ungheria dall’altra. Nel primo paragrafo dell’articolo 2 di questo trattato si legge: “L’Ungheria prenderà tutte le misure necessarie per far sì che tutte le persone che si trovano sotto la giurisdizione ungherese, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua, di religione, godano dei diritti umani, delle fondamentali libertà, comprendenti le libertà di parola, di stampa, di pubblicazione, di culto religioso, di opinione politica e di pubbliche riunioni”. Il trattato fu firmato da Ungheria e Unione Sovietica. A rileggere oggi queste parole abbiamo il senso esatto della scandalosa ipocrisia che sta dietro a certe firme e certe accettazioni di trattati. In realtà per anni l’Unione Sovietica ha violato costantemente queste clausole del trattato di pace”.

Un regime spietato.


“Criminale. Su chi aspira alla libertà, l’Unione sovietica si abbatte col peso bruto e schiacciante della sua forza militare, come in Ungheria. Ogni volta che ai dirigenti sovietici è venuto anche il semplice sospetto che i comunisti di questi sventurati Paesi che, per ironia quasi insultante si chiamano democrazia popolare, il sospetto che non fossero abbastanza obbedienti alle direttive del Cremlino, sono stati incarcerati o ammazzati come cani. Almeno questo è pacifico perché lo ha detto anche Krusciov. Una spaventosa tirannide si è abbattuta su questi popoli ai quali gli alleati, Russia compresa, avevano promesso la libertà. Si è abbattuta spesso addirittura sui comunisti e a volte specialmente sui comunisti che non fossero giudicati dai dirigenti di Mosca abbastanza servili verso l’Unione sovietica. Una scandalosa parodia di processi che ben conosciamo. Una morte orribile li attendeva prima di essere fucilati o impiccati e dopo essere stati sottoposti a innominabili torture che li riducevano come stracci, sono stati indotti a dichiarare che erano spie, agenti dello straniero, traditori, dovevano perfino farsi rinnegare dai più sacri affetti, farsi rinnegare dai propri figli”.


In realtà i fatti d’Ungheria qualche crisi di coscienza l’hanno creata in alcuni comunisti.


“E meno male, perché i particolari della sanguinosa ed eroica lotta di liberazione del popolo magiaro esaltano ogni cuore umano: sono di quelle rare pagine della storia che, in questa atmosfera di opportunismo e di viltà che spesso ci circonda, fanno ancora credere nel genere umano e nei supremi valori dell’esistenza umana. Però vorrei dire che Giuseppe Mazzini aveva previsto tutto”.


Cosa aveva previsto?


“Solo giudicando la dottrina comunista, aveva immaginato e tristemente profetizzato quale sarebbe stata la fine. Nel 1849 scrisse: “Avrete la più tremenda tirannide che l’uomo possa ideare sulla terra. Tirannide. Essa vive nelle radici del comunismo e ne invade tutte le formule. Come nella fredda, arida, imperfetta teorica degli economisti, l’uomo non è nel comunismo che una macchina per la produzione. La sua libertà, la sua responsabilità, il suo merito individuale, l’incessante aspirazione che lo sprona a nuovi modi di progresso di vita svaniscono interamente. Una società pietrificata nelle forme, regolata in ogni particolare non ha luogo per l’io. L’uomo nell’ordinamento comunista diventa una cifra, un numero primo, secondo, terzo, decreta un’esistenza di convento monastico senza fede religiosa, il servaggio dell’evo medio senza speranza di riscatto”.


Dopo questa sua autentica requisitoria alla Camera, i comunisti non gliel’avranno perdonata.


“Per i comunisti ieri ero l’agente degli americani, oggi sono passato al servizio degli inglesi, ma io sono stato invece sempre al servizio della mia coscienza e ho sempre sposato tutte le cause che mi sono sembrate giuste”.

Passiamo ad un argomento che a lei sta molto a cuore, l’Unità d’Italia.


“Ne ho parlato nel 1961, in occasione del primo centenario dell’Unità. Sono andato a celebrarlo a Reggio Emilia, una terra dove fermentarono le prime audacie rivoluzionarie quando l’Italia, dilaniata, spezzata, avvilita da secoli di dominazione straniera, cominciava, brancolando fra i sepolcri a ricercare sé stessa. Nella terra che ebbe la temerità di proclamare la sua prima Repubblica, a furor di popolo nel 1796. Dove per felice ventura si alzò prima che altrove il tricolore italico che fu simbolo del nazionale riscatto”.


Sì, però lei si è chiesto perché celebriamo l’Unità d’Italia come se fosse avvenuta nel 1861.


“In realtà, erano ancora distaccate Venezia e Roma e per poco Messina e Gaeta ancora presidiate dalle milizie borboniche. Allora perché facciamo cominciare l’Unità dal 1861? Si potrebbe pensare malignamente che il governo voglia dare solennità al 1861 per toglierla al 1870, quando l’Italia fu unita davvero con Roma capitale. Il 14 marzo 1861 la Camera dei deputati all’unanimità vota il disegno di legge preparato da Giorgini, nipote di Manzoni, secondo il quale il re Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di re d’Italia. Il 27 marzo 1861 la Camera vota un ordine del giorno che auspica che sia resa all’Italia Roma, acclamata come capitale dall’opinione pubblica nazionale. Insomma l’Italia era fatta ed era ormai nell’ordine fatale delle cose l’unione di Venezia e Roma. Lo intesero a Roma stessa dove le opere di Verdi davano pretesto a imponenti manifestazioni patriottiche. Lo intesero a Venezia dove per incanto si chiusero i negozi come nelle giornate di festa. Allora, ecco la data del 1861, noi tutti sentiamo che l’evento ci appartiene”.


I patrioti che resero possibile l’Unità professavano ideologie a volte contrastanti.


“I cattolici pensano a Rosmini e a Gioberti, al Tommaseo e a Manzoni e agli oscuri sacerdoti che risolsero l’arduo conflitto della loro coscienza, votandosi alle cospirazioni e alle battaglie per la patria. I liberali ai Balbo, ai D’Azeglio, ai Ricasoli e al più grande di tutti, Cavour, che seppe come disse il Ferrari “diplomatizzare” la rivoluzione popolare e così trasformata e incanalata di porla all’Europa retriva della Santa Alleanza. I socialisti pensano a Carlo Pisacane e alle tendenze sociali che, come nella rivoluzione francese, sono in grembo di ogni rivoluzione politica. I monarchici pensano a Vittorio Emanuele II che malgrado tutto lo stesso eroe della rivoluzione popolare giudicò sempre migliore dei suoi consiglieri e senza transigere con la sua fede invento il binomio “Italia e Vittorio Emanuele”. I repubblicani pensano a Mazzini, a Garibaldi e alla lunga schiera di patrioti, di eroi, di martiri che risvegliarono l’Italia”.


Divisioni ideologiche che permangono ancora oggi.


“I risentimenti di oltre un secolo fa si sono placati. Possiamo tuffarci nelle grandi memorie della storia, onorarle come tappe di un progresso comune e senza rinunziare alle rispettive credenze per l’avvenire. Vorrei si potesse dire al momento del trapasso quel che Camillo Prampolini disse di Angelo Manini: E’ morto come visse, repubblicano, lontano dal rumore della vita pubblica, sdegnoso di onorificenze e di favori, quasi ignorato, senza altro compenso per i sacrifici e le lotte sostenute, fuorché l’acre piacere di aver compiuto un difficile dovere, e le intime ebbrezze inenarrabili che una fede intensa prodiga ai privilegiati che la posseggono. Così furono gli uomini che fecero l’Italia, i grandi e i piccoli, i maestri, gli eroi, i condottieri e gli umili combattenti. Ricordarli in un’epoca di crisi, di meno puro disinteresse, di meno ferreo stile e carattere, di meno salde credenze, significa respirare un’atmosfera di alta purezza e spiritualità”.


Per secoli non si è parlato di Unità d’Italia. Come mai?


“L’idea dell’Unità d’Italia, come forza politica e storica, come filosofia e come azione, è recente. Prendiamo Dante che pure s’innalza gigante dal Medioevo e annunzia il Rinascimento e in certe auree visioni, specialmente nel metro del giudizio, è moderno (pensate a Catone che era pagano, repubblicano e suicida, cioè aveva tanti titoli per andare all’inferno e Dante lo pone a guardia del Purgatorio, dove l’umano spirito si purga e diventa degno di salire al cielo). Dante segna i confini d’Italia “sì come a Pola presso del Carnaro che Italia chiude e i suoi termini bagna”. Tuttavia Dante politicamente è tutto del Medioevo, ha la passione e gli odi della città e l’idea dell’Impero, non l’idea dell’Unità nazionale. Sulla casa dove Machiavelli scrisse Il Principe, a San Cassiano, una lapide ricorda che egli meditò e difese la libertà dell’Italia. In realtà egli ebbe l’idea municipale, l’idea dello Stato certamente, ma non della Nazione”.


Quando si prende coscienza della necessità di una Patria unita?


“Tutto l’Illuminismo italiano, quasi contemporaneo di quello francese, il Verri, il Beccaria, il Gioia, il Romagnosi, il Pagano, il Filangeri, diffuse idee unitarie e fermenti di rinascita, ma non ebbe precisa l’idea nazionale. I poeti sì, il Foscolo, l’Alfieri, il Leopardi sentirono nell’anima gli sdegni, i furori, il supremo e sconsolato lamento della Patria in catene, ma si sa che i poeti sono anche profeti”.


Allora quando fiorisce il sentimento unitario?


“L’idea, la passione, la fede, la filosofia dell’unità nazionale, la sistematica concezione del Risorgimento nazionale, nel quadro di un Risorgimento europeo e universale, fu incontestabilmente di Giuseppe Mazzini. Quando altri patrioti come Cesare Balbo la definivano “un sogno da scolaruzzi di retorica” e Gioberti pensava ad una confederazione di Stati sotto la presidenza del sommo Pontefice e lo stesso Cavour, tutto concreto e realizzatore e incapace di abbandonarsi a sogni idealistici, fino a dopo il 1848, la considerava almeno prematura e inattuale e perciò, ripeto la sua drastica definizione, “una corbelleria”. Bisogna leggere lo Statuto della Giovine Italia e il giuramento degli affiliati. Là sono le linee direttive del nostro Risorgimento. Là sono le linee profetiche dell’Italia presente e del suo avvenire. La rivoluzione sarà nazionale, sarà politica, sarà sociale. E poco dopo, con la costituzione della Giovine Europa, fu detto: La rivoluzione sarà europea e, la spirale sempre più si svolge, con la costituzione dell’alleanza repubblicana universale, sarà umana perché una è l’umana famiglia”.


Quindi, dopo l’Unità d’Italia, il sogno è l’Unità d’Europa.


“E’ indispensabile. Basta considerare che non era trascorso un secolo dall’Unità d’Italia e già il Continente di cui facciamo parte, scosso nel giro di una sola generazione da due guerre mondiali, distrutto e vicino al tramonto, ritrovava la via della rinascita nella superba indicazione degli apostoli del nostro Risorgimento: gli Stati Uniti d’Europa. Come tutte le vie rivoluzionarie, non è facile. Abbiamo tentato l’Unità europea facendo leva sulla necessità di una comune difesa, e abbiamo fallito. Percorriamo allora la via più lunga dell’integrazione economica che fra ostacoli e resistenze inevitabili ci condurrà a creare fatalmente un primo grande nucleo europeo politicamente e economicamente organizzato in un’unità federale che non vuole sopprimere le patrie, ma vuole esaltarle e potenziarle in un comune destino”.


Sul piano nazionale, le divisioni ideologiche sono ancora evidenti. Lei stesso diceva che molti sono disinvoltamente passati dal fascismo all’antifascismo
.


“La Repubblica sarà davvero il regime di riconciliazione nazionale se i nostri avversari saranno capaci di anteporre la lealtà democratica e il superiore bene della Nazione alle passioni faziose. La stessa distinzione tra fascisti e antifascisti potrebbe fra poco non avere più ragion d’essere, esclusi naturalmente i criminali e i profittatori. Noi che siamo repubblicani antichi e, ci sia permesso di dirlo, senza macchia, ci faremo propugnatori di una più vasta e radicale amnistia di quella che è stata annunciata”.


In visita sulla collina desertica di El Alamein, lei ha dato un grande esempio di conciliazione.


“Ho manifestato i sentimenti che dovremmo nutrire tutti. Il cimitero di El Alamein, che accoglie i caduti di quella zona, ha l’assistenza di un gruppo di ex combattenti sotto la guida impareggiabile di Caccia Dominioni, che viveva nel cimitero stesso con i suoi collaboratori. Caccia Dominioni fu valoroso combattente in Africa e poi partigiano nel Nord, fu arrestato e ferito gravemente durante la guerra di liberazione. La sua tragedia personale sulla quale si è innalzato per compiere una missione di alta spiritualità e carità, è un poco la tragedia della Nazione italiana. Anch’essa l’ha superata per formare nuovamente, dalle rovine e dai cimiteri, una famiglia nazionale unita, che riprende anche su quelle terre, ma in forme pacifiche e civili, la sua missione nel mondo. L’Italia può stendere l’oblio sulle proprie sventure e onorare i suoi morti”.


C’è chi non smette di far notare che quei morti combattevano dalla parte sbagliata.


“Lunga e complessa è la vita di un popolo e anche questi morti sono un capitolo della sua storia. In quel cimitero sventola il tricolore, sotto quella sabbia c’è sangue italiano. Forti della riconquistata libertà, fermamente decisi a non ripetere gli errori del passato, noi non ci sentiamo qui di giudicare. Dobbiamo inchinarci, onorare e piangere con devota umiltà. Un ufficiale inglese ha deposto anch’egli una corona al cimitero italiano, a nome del suo governo. Il capo della Nazione egiziana ha aggiunto i suoi fiori e il suo cordoglio, noi stessi ci siamo recati a rendere omaggio anche ai morti della Germania, dell’Inghilterra e dei suoi alleati. Su quelle sponde fatali è tornata la pace e la concordia. Non ci si avvicina a quelle croci, perennemente scosse dal vento del deserto, senza fare ai morti, a tutti i morti, il giuramento di costruire un mondo migliore”.


Veniamo alle questioni economiche. Quali iniziative considera prioritarie?


“Affrontiamo i problemi del Mezzogiorno. I problemi del latifondo e delle industrie agrarie e marinare. I problemi della scuola. I problemi delle autonomie locali. I problemi delle comunicazioni. Non trattiamo il Mezzogiorno come una zona coloniale per prelevare questurini come ha fatto la monarchia e ogni apparenza di contrasti sparirà. Il Mezzogiorno, dagli eroi della Repubblica Partenopea fino ai picciotti di Garibaldi, fino ai santi scugnizzi della liberazione di Napoli, è stato sempre una riserva di patrioti. Soltanto i farneticamenti passionali di una monarchia moritura, circondatasi di squadre di lazzaroni, potevano mettere in dubbio un bene ormai assoluto e irreversibile: l’Unità d’Italia”.


Come vorrebbe cambiare l’organizzazione statale?


“Napoleone ci regalò le prefetture. Andavano bene forse per la Francia. Non sono state utili per l’Italia. Abbiamo bisogno di un’amministrazione semplice, economica, intelligente, che restituisca l’iniziativa e la responsabilità agli Enti locali. Il popolo deve abituarsi a sentire lo Stato vicino, a sentire che lo Stato è lui, non una specie di ente soprannaturale e inaccessibile, un nume irato complicato e nemico”.


Però si va proprio contro la semplificazione.


“Ed è un errore. Faccio l’esempio dell’agricoltura. Ci sono schiere di mediatori, compreso lo Stato, di professori, di ispettori; controllori si sono inseriti fra l’agricoltura e il Paese istituendo il più grosso flagello parassitario che abbia mai colpito un settore produttivo. Enti di sviluppo. La partitocrazia ha figliato l’entocrazia e sono insieme un’altra gramigna della terra e dello Stato. Tutto è mediato, controllato, accentrato. Ma l’accentramento statale delle ricchezze non crea né il socialismo né il comunismo, ma la loro forma spuria e corrotta, il capitalismo di Stato. Dobbiamo arrivare alla partecipazione agli utili dell’impresa per i lavoratori, al loro accesso al capitale azionario ed anche alla corresponsabilità nella direzione dell’azienda”.


Mi perdoni, ma la vostra rappresentanza politica non è tale da poter influire sulle scelte governative.


“Però, il più grande aiuto ci viene ogni giorno dai nostri avversari coi loro intrighi, con la loro mediocrità, con le loro debolezze, coi loro scandali, le loro ruberie, col loro disordine, con la loro incoerenza, il trasformismo, le loro esperienze economiche avventate. Hanno creato una situazione economica drammatica. Debiti iperbolici. Come faranno i Comuni a pagare le aree concesse per l’esproprio. E che inflazione provocherà una massa di miliardi che i Comuni non hanno?”.


Vorrebbe cambiare anche qualche aspetto della Costituzione?


“Ci sono delle incongruenze nella Costituzione. Ad esempio, il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio supremo delle Forze armate e il Consiglio superiore della magistratura. Li presiede come capo o come membro, sia pure primus inter pares? Se li presiede come capo, che cosa avverrebbe il giorno in cui con una votazione fosse messo in minoranza? Poi ci sono alcuni aspetti della Costituzione che sarebbe stato meglio trascurare”.


A cosa si riferisce?


“Per esempio le Regioni. Il governo era partito dicendo che le Regioni non si fanno. Non si fanno senza la garanzia che socialisti e comunisti si mettano d’accordo negli importanti poteri regionali. Facile comprendete quali conflitti si verificherebbero con il governo centrale. Si è finito per concludere che le Regioni bisogna farle lo stesso. I comunisti si sono impegnati moltissimo per le Regioni. Li capisco. Potrebbero prendere il governo in cinque Regioni. Con cinque Regioni in mano, i comunisti avrebbero le leve per disorganizzare questo Stato che una volta chiamavano borghese, capitalistico. Qualsiasi Stato che ammette e ha l’ordinamento regionale ha un potere speciale, cioè un potere forte e stabile al centro, benché democratico”.


Un potere centrale forte rappresentato dal capo dello Stato che voi vorreste far eleggere dal popolo.


“Sì, vogliamo che il Presidente della Repubblica sia eletto dal popolo e non dai partiti. Il regime, per sé stesso, non può fare miracoli. Ma il Presidente della Repubblica deve installarsi al Quirinale non per ripetervi i fasti del re, ma per dare l’esempio di un’amministrazione onesta, parsimoniosa ed austera. Insegnare che il diritto si aspetta da qualcuno, da qualcosa, da Dio, dalla società, dallo Stato. Il dovere no, il dovere è l’uomo”.


E i partiti che ruolo avrebbero?


“Anche nella Repubblica presidenziale esistono i partiti, cioè associazioni libere di cittadini che si raggruppano secondo determinate concezioni filosofiche, politiche e sociali per proporre al popolo soluzioni e candidati alle cariche pubbliche. Il capo dello Stato nomina il governo scelto fuori del Parlamento, e se composto da parlamentari, essi si devono dimettere dalla loro carica. La Camera è eletta a suffragio universale, ma il numero dei rappresentanti del popolo dev’essere ridotto. Il Senato dovrà essere composto da rappresentanti della cultura, della tecnica, delle forze di produzione e sindacali. Così perderebbero importanza le clientele politiche che sono penetrate all’interno dell’apparato democratico”.

E gli elettori avrebbero una rilevanza maggiore.


“Esatto. La critica che noi muoviamo a questo regime, a questa Costituzione è che in definitiva il grande assente è il popolo. Democrazia viene da demos che vuol dire popolo. Ma qui siamo sostanzialmente a una oligarchia partitocratica. Il presidente del Consiglio non sceglie i suoi collaboratori, accetta quelli che gli offrono i partiti che li designano in base alle loro correnti senza alcun riguardo alla competenza. Il presidente del Consiglio deve perdere i tre quarti del suo tempo non a governare il Paese ma a governare i suoi ministri. E non dimentichiamo che la composizione di un governo di centrosinistra, già di per sé difficile da governare, comporta una grave incertezza in politica estera. Nel giro di pochi anni la Cina come potenza atomica sarà una realtà. Il suo immenso territorio, il numero quasi incommensurabile dei suoi abitanti le fanno ritenere che forse è la sola Nazione che potrebbe sopravvivere a un cataclisma universale. L’avvenire ci imporrà una scelta in politica estera. E con il centrosinistra questa scelta sarebbe al di fuori delle nostre alleanze e dell’interesse nazionale. Non si può restare legati a patti di difesa del mondo libero e poi comportarci come un Paese disimpegnato”.

LA CONTRAPPOSIZIONE TRA GOVERNO E PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA videointervista ad Antonio de Martini da ” La Finanza sul web”

Molti, a partire da Eugenio Scalfari e Sabino Cassese, gridano allo scandalo ed invocano un intervento risolutivo del Presidente della Repubblica per fermare il ciclone Salvini ed il “governo scassaburocrati” loro amici. Continua a leggere

FINALMENTE ON LINE TUTTO L’ARCHIVIO PRIVATO DI RANDOLFO PACCIARDI

Oltre cinquemila fotografie che sono un ritratto sociologico degli anni del miracolo economico italiano e degli anni del Buon Governo ( 1948-1953). Una manna per i ricercatori e per i vecchi militanti “repubblicani storici.”

la pagina del sito internet dell’Archivio storico della Camera dei Deputati dedicata all’archivio privato dell’On. Randolfo Pacciardi (http://archivio.camera.it/s/pubblicazioni/fascicoli_di_documentazione/randolfo_pacciardi).

passa parola.

25 APRILE: LA DICHIARAZIONE DEL COMANDANTE MILITARE DELLA RESISTENZA GENERALE RAFFAELE CADORNA CHE NESSUNO RICORDA MA CHE OBAMA RIPRENDE DISERTANDO LA SFILATA DELLA VITTORIA IL 9 MAGGIO A MOSCA. di Antonio de Martini

il 25 aprile l’ho sempre vissuto come un giorno di festa: primavera e vacanza a scuola. Crescendo ho capito che aveva  due altri aspetti: uno di politica internazionale e uno nazionale.

Sul piano internazionale, il mondo intero la ha vissuto come la fine della Guerra e delle sofferenze, un po come la notizia di Vittorio Veneto che diede il la alla pace anche nel primo conflitto mondiale anche se si trascinò per qualche giorno in Europa e per quattro mesi in Estremo Oriente. Continua a leggere

MAURO MITA CI HA LASCIATI SOLI.

Domani alle 10 ( vedi fondo pagina nuova data) si terranno i funerali nella chiesa di S Cipriano a piazza Millesimo ( via Torrevecchia).
È stato il primo repubblicano a seguire Randolfo Pacciardi nel 1964 dichiarandosi a favore della Repubblica Presidenziale. Continua a leggere