Rumen Radev annunzia che il 3 febbraio scioglierà il Parlamento
Tempi duri per il partito socialista bulgaro ostile a rifornire l’Ucraina di munizioni d’epoca sovietica e carburanti diesel per i mezzi corazzati. Si piazza primo alle elezioni, ma non riesce a formare un governo. Le elezioni hanno avuto luogo a aprile, luglio e settembre 2021 e a ottobre 2022. la prossima tornata é prevista per il 2 aprile 2023.
Nella foto: Rumen Radev, Presidente della Repubblica di Bulgaria, ha annunziato che scioglierà il Parlamento il prossimo 3 febbraio, per la quinta volta in due anni.
In questo lasso di tempo, il paese é stato gestito da governi interinali che hanno rifornito l’Ucraina del 40% delle munizioni ( di epoca sovietica quindi introvabili per UE e USA) impiegate in questo primo anno di guerra. Ora che l’allargamento del conflitto é una delle opzioni in ballo, si cerca di ottenere un viatico democratico per una formula di governo in grado di vantare un pedigree democratico.
La Bulgaria é – oltre all’Ucraina– anche uno dei collegamenti politici americani con la guerra di Siria, alla quale ha fornito tutto l’armamento necessario, dato che il paese dispone di una fabbrica licenziataria dei mitragliatori Khalashnikov, l’arma più diffusa del pianeta – in particolare nei paesi arabi e del terzo mondo, per la sua semplicità di impiego e manutenzione.
La manovra va letta nel quadro dell’unrest dei Balcani che si cerca di placare con operazioni “democratiche” ( anche in Romania dove sono stati licenziati i tre importanti dirigenti dei servizi segreti senza spiegazioni) e nel Balcani occidentali con le recenti dichiarazioni della premier italiana Giorgia Meloni invocante l’integrazione di Sloveni, Bosniaci, Serbi, Croati e Montenegrini nella Unione Europea.
In realtà la Serbia, considerata la pecora russa dell’area, non la vuole nessuno, anche per via della Unione doganale con la Russia che aprirebbe una via all’interscambio senza controlli tra UE e Russia.
IL PARTITO FILO CURDO PRESENTERÀ A METÀ’ GIUGNO UN SUO CANDIDATO INDIPENDENTE E PUNTA AD ESSERE DECISIVO AL BALLOTTAGGIO.
La corte costituzionale turca ha deciso: niente contributo statale all’HDP , il partito col 10% dei voti, accusato di essere la propaggine politica del PKK ( partito curdo dei lavoratori, classificato come terrorista dai governi turchi succedutisi dal 1987) e dall’UE, nonché dagli USA).
Un procuratore della Corte ha colto la palla al balzo chiedendo la messa fuori legge del partito che si vede negare il finanziamento statale di 29 milioni di dollari, un terzo dei quali avrebbe dovuto incassare il 10 gennaio. L’HDP ha trenta giorni di tempo per proporre appello.
Per completare l’accerchiamento, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, già incriminato per insulti alla Commissione Elettorale , si é visto recapitare un’inchiesta per corruzione per aver dato un incarico di lavori, senza gara, a una ditta quando era a capo di una circoscrizione della città. L’obbiettivo é interdirlo dai pubblici uffici dato che é considerato il candidato più papabile alla successione presidenziale.
La reazione politica dell’HDP non si é fatta attendere: ha annunziato di riprendere la sua libertà d’azione e rompere l’intesa con gli altri cinque partiti dell’opposizione “ parlamentarista” anche in risposta alla mancata solidarietà nella vicenda.
La ripresa della libertà di manovra apre nuovi scenari ai fini dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica che si terrà a metà giugno.
Finora, l’alleanza “a sei”- ma in particolare col partito kemalista ( CHP) che ha il 25% dei suffragi- aveva permesso alla opposizione di strappare all’AKP ( il partito di Erdogan) l’amministrazione delle principali città del paese ( Istanbul, Ankara, Smirne) , ma l’atteggiamento persecutorio del governo nei confronti del partito curdo e la mancata solidarietà dei partner dell’opposizione al commissariamento di una cinquantina di sindaci HDP ( accusati di filo terrorismo) ha spinto Hisyar Ozsoy, vice presidente del partito filo curdo a commentare la rottura che “non si può negare la solidarietà al partito e contemporaneamente aspirare ad assorbirne i voti.”
la nuova analisi politico-elettorale é che né il governo né l’opposizione raggiungeranno il quorum richiesto per l’elezione presidenziale e il 10% dei votanti dell’HDP saranno a quel punto decisivi per il ballottaggio.
Un’occhiata al profilo degli elettori del partito filo curdo mostra somiglianze con l’elettore tipo dell’AKP sia per fascia d’età che per tendenze conservatrici e nazionaliste, al punto che – in oriente tutto é possibile- si apre una prospettiva duplice di alleanza: i cinque dell’opposizione hanno già ripreso il corteggiamento interrotto, ma non é escluso che Erdogan promulghi una indulgenza plenaria nell’intento di assicurarsi il rinnovo, ma potrà farlo più facilmente se otterrà l’estradizione dalla Svezia della trentina di “terroristi” richiesti per dare via libera all’adesione svedese alla NATO che usufruirebbero anch’essi di provvedimenti di clemenza.
Le vie della Democrazia sono come quelle della Provvidenza: imperscrutabili.
TRA NATO, U.E. E UCRAINA QUALE SARA’ IL VASO DI COCCIO?
Videointervista al sottoscritto di VisioneTV di ieri che sembra una replica all’intervista al capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone che dice ” il paese é pronto” ( non dice le Forze Armate…) ma non dice pronto a che cosa.
Ammiraglio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone. Capo di Stato Maggiore della Difesa. In carica da sei mesi.Ha comandato il COMSUBIN ( forze speciali) . ed é stato a capo della Marina. Pilota da caccia e di elicottero e comandante dell’aviazione navale. La collaborazione interforze e interalleata non ha segreti per lui.
L’articolo cinque del trattato NATO fu concepito perché gli USA si impegnassero, automaticamente o quasi, a difendere l’Europa dall’aggressione sovietica. Invece é stato usato per farci intervenire in Afganistan come truppa ausiliaria degli USA contro un’orda di pastori spacciati per terroristi.
Non era una guerra difensiva e non l’abbiamo nemmeno vinta. La base giuridica del nostro intervento militare in Afganistan era che – In base all’articolo 5 del trattato NATO, applicato per la prima volta dalla sua esistenza- gli Stati Uniti d’America erano “stato aggredito” ( ma certamente non dall’Afganistan).
Su ventuno assalitori diciannove erano sauditi, uno libanese e comunque nessun afgano.) e l’intero dispositivo militare concepito per difendere l’Europa si é attivato per sguarnire di truppe il continente, violare sia la Costituzione italiana (art 11) e quella tedesca che proibiva interventi all’estero; favorire la costituzione di una forza multilaterale a conduzione statunitense mirante a occupare un paese di circa quaranta milioni di abitanti col pretesto che “ospitava terroristi ricercati”.
Anche questa asserzione é falsa. Non é mai stato spiccato un mandato di cattura internazionale a carico di Osama Ben Laden o del Mullah Omar, pur avendo arrestato, in giro per l’Asia e L’Europa – Italia inclusa- circa 750 persone rinchiuse nella base militare di Guantanamo ( a Cuba), nessun capo di imputazione é stato formulato a loro carico. A diciannove anni di distanza dalla cattura ( e detenzione) degli stessi, non si é proceduto nemmeno alla contestazione di un capo d’accusa. Poiché Guantanamo non é territorio degli Stati Uniti, nessun magistrato é mai intervenuto, fino a che un avvocato é riuscito a incardinare un giudizio in Florida contro i guardiani che procedevano alla alimentazione forzata di alcuni detenuti che protestavano col digiuno. Il ( la ) giudice trovò regolare ala procedura di ingozzare a forza i prigionieri quattro volte al giorno con un imbuto.
Tutti temi che oggi vengono trattati per analizzare la situazione afgana, ma che io preferirei oggi analizzare sotto il profilo NATO. Il trattato transatlantico nacque per interessare le aree occupate dagli alleati vincitori della seconda guerra mondiale alla data del 1 aprile 1948 ed era stato concepito come alleanza difensiva di fronte alla minacciosi attribuita a Stalin e alla Unione Sovietica che aveva dimostrato di perdere sei milioni di uomini senza che la nazione perdesse coesione o il governo autorevolezza.
Per rendere più ” operativa” l’alleanza, gli Stati Uniti videro con favore anche l’idea di creare una Comunità Europea di Difesa( CED) in analogia con la CECA ( Comunità Carbone e Acciaio), L’EURATOM e il Consiglio d’Europa e questa coincidenza di intenti federativi si protrasse fino alla morte di Stalin nel 1953 ( a marzo). A quel punto l’unità di intenti si spostò verso il disinteresse e il partito gollista francese affondò il progetto di esercito comune ( 1954) che finì nel dimenticatoio.
Ecco un media inglese degli anni sessanta che trattava della guerra segreta tra Francia e USA e che portò alla defezione di Arnaud de Borchegrave capo centro dello SDECE a Washington
L’arrivo di De Gaulle al potere ( 1958) scatenò una guerra segreta con gli USA e l’Inghilterra che culminò nella uscita della Francia dal dispositivo militare NATO (1966, ma rimase nel Patto Atlantico); nella cattura del più alto funzionario francese nella NATO per spionaggio a favore della URSS ( il dr Pasqua) e nella rinunzia di Nixon a mantenere la convertibilità del dollaro con l’oro che segna l’inizio della fine del dominio post bellico USA. Il comando NATO si trasferì da Parigi alla periferia di Bruxelles. Segno di competizione con l’UE, perché logica strategica avrebbe voluto una posizione inglese o spagnola e logica politica la Germania. La Francia di Sarkozy rientrò nel dispositivo militare atlantico ( 2009)argomentando che ” non potevamo restare soli”, ma le frizioni e l’emulazione continuano e Macron ha riscoperto l’Europa non essendo riuscito ad ottenere il comando militare dell’alleanza.
Ora che la Francia attraversa uno dei suoi flussi periodici marziali, spinta dalla necessità di conservare il suo impero coloniale e consapevole che dal 1940 ad oggi non ha più vinto una battaglia perdendo brandelli d’impero in Asia, Macron cerca di risuscitare il fantasma della CED a dispetto della NATO di cui sarebbe un doppione, ma che sancirebbe la supremazia francese per via dell’armamento nucleare che ala sola ad avere dopo l’uscita della Gran Bretagna. L’idea in sé non sarebbe malvagia se preceduta dalla integrazione delle rispettive politiche estere e dalla unanimità dei paesi membri. Mentre è parzialmente comprensibile la nascita della moneta comune condivisa da19 paesi su 28, la creazione di un esercito cui contribuirebbero solo alcuni paesi creerebbe un caos politico, militare e di educazione e formazione ( basti pensare a Elettronica, telecomunicazioni e distribuzione delle truppe sul territorio
COSA CAMBIEREBBE ? NULLA SE NON IN PEGGIO.
In buona sostanza, si creerebbe un nuovo comando che andrebbe a giustapporsi a quelli già esistenti, senza eliminarne alcuno. L’esempio più calzante – e meno convincente- sarebbe la ricostituzione dell’area ABDA ( American, British, Dutch, Australian ) creato nel 1941/42 affidato al generale Wavel ( inglese) che fu descritta da Churchill nelle sue memorie come “un enorme numero di telegrammi” e che incassò tutte le sconfitte in Asia nella primavera del 1942 quando fu sciolta. Un altro tentativo di integrazione militare fu fatto negli anni 60 per creare una Forza Multilaterale NATO principalmente aeronavale e che naufragò anch’esso. Comando ABDA,
Gli ostacoli di sempre sono stati il controllo dei missili nucleari e il comando della coalizione. I missili tattici potevano essere gestiti anche a livello brigata, ma il comando strategico della coalizione capace di decidere se spedire missili a lunga gittata ( scatenando così rappresaglie verso il territorio USA) doveva restare in mani americane.
Servirebbe quindi una strategia chiara e condivisa tra tutti, in quanto la NATO, sorta in funzione antirussa, guarda – o dovrebbe guardare- a est e fronteggiare il ” patto di Varsavia” che fu sciolto trenta anni fa. Alcuni suoi partner ora fanno addirittura parte della NATO. Tentativi nuovi di trovare una mission comune a tutti i partner, sono falliti, vuoi per opposizione Germanica e Turca all’operazione Libia, che per ostruzionismo francese all’intervento in Irak nel 2003, che per la svogliatezza degli altri meno coraggiosi ma ugualmente stanchi.
La perdita di credibilità e leadership statunitense non ha fatto che aumentare nel decennio che ci ha preceduto e la sequela di sconfitte politiche ( Siria, Irak, Libano, Somalia, Yemen, Turchia,) subite non ha migliorato la situazione. Molti ormai sono i partner occidentali che si chiedono se la leadership del mondo libero possa ancora essere affidata agli Stati Uniti. In questo contesto, voler riformare la NATO o eseguire una sostituzione surrettizia – più debole- con un esercito o un corpo di spedizione a intervento rapid europeo, non sia un’idiozia partorita da geronti italiani con attitudine genetica all’ambiguità e al tradimento.
In questo momento storico, L’Unione Europea non ha nemici, ma corteggiatori e gli USA non hanno più alleati ma é circondata da avversari dichiarati e potenziali, tra cui l’Europa che guarda ai mercati dell’est e ha capito che l’emigrazione é diventata un tallone d’Achille. Senza prima chiarire all’interno e all’esterno dell’Unione questi due punti, ogni ristrutturazione é inutile e la sua direzione strategica é minata dalla perdita di credibilità accumulata nel decennio scorso e indebolita dalla uscita del Regno Unito dalla UE.
Fin da piccolo sono stato abituato a non minacciare mai. La minaccia è una confessione di incapacità a immaginare cosa succederà e quindi ci si prefigura una reazione e , per scongiurarla, i deboli proferiscono minacce inattuabili. Continua a leggere →
Gheddafi, dopo aver spaccato la NATO e la UE , rischia di far affondare anche l’ONU che – con le sue risoluzioni – produce regolarmente effetti contrari a quelli che si propone e si mostra ormai palesemente succuba degli interessi USA. Continua a leggere →
Appena il Mediterraneo si metterà al bello, riprenderà il flusso migratorio dall’Africa per via di mare – specie dal Maghreb – verso le nostre coste. Oltre alle solite motivazioni umanitarie, adesso si potrà invocare anche l’asilo politico.
D’altronde, se non c’è lavoro in Tunisia, dove cercarlo se non da noi? La risposta è impiantare un grande cantiere in loco e guadagnarci.
Se non c'è lavoro in Tunisia, lo si cerca altrove.
L’immigrazione, diminuita di oltre il 60% nel corso del 2009 riprenderà a salire. I punti di partenza più probabili sono le coste tunisine, visti i recenti eventi. La polizia, inevitabilmente ridimensionata dal nuovo regime, mancherà dell’autorevolezza necessaria a tenere in pugno la situazione.
Poiché sento già nelle orecchie i soliti amici dire ” Giusto, ma qual’è la terapia”?
Eccola:
Si tratta di creare un grande progetto, della valenza quasi del canale di Suez, da condursi con bassa intensità tecnologica per poter impiegare il massimo di mano d’opera. Continua a leggere →