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E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO: DALLA RUSSIA ALL’INDIA, DALL’AZERBAJAN ALLO YEMEN.

Nel ventesimo anniversario dell’attacco all’Irak, Il Presidente cinese XI Jinping ha piazzato tre “ banderillas” sul dorso del toro americano distratto dal panno rosso: la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, la visita di Stato a Mosca ad onta del “ mandato d’arresto” CPI a Putin e la visita in Cina dell’ex presidente di Taiwan.

A conclusione, la ciliegina sulla torta : “ Nessun paese può dettare l’ordine mondiale,” vecchio o nuovo che sia. Non si poteva dir meglio.

L’annuncio della ripresa dei rapporti diplomatici tra sauditi e iraniani con la mediazione cinese, mi ha ricordato la battaglia di Valmy contro la prima coalizione.

Non successe praticamente nulla, cannoneggiamenti lontani, una scaramuccia con quattrocento morti, ma gli storici l’hanno identificata come il momento in cui la rivoluzione francese fece il suo ingresso in Europa.

Il compromesso Iran-Arabia ha identica valenza. Ha dato diritto di cittadinanza alla politica di rifiuto dell’uso della forza, alla scelta indiana della neutralità e rivitalizzato i paesi non allineati a partire dall’Azerbaijan ultima recluta. La prossima tentazione potrebbe averla la Turchia.

Con questa mossa. La Cina é comparsa sul palcoscenico del mondo mediorientale come autorevole arbitro imparziale, partner affidabile e patrono dell’idea di sicurezza collettiva. Non c’é stato bisogno di sconfessare le politiche dei vari Kerry, Bush, Obama, Clinton, Trump, Biden. A ricordarli, é rimasto solo Netanyahu, sconfessato dall’ex capo del Mossad Efraim Halevy ( su Haaretz) che propone un appeasement con l’Iran con toni che riecheggiano Kissinger.

Con la visita a Mosca XI Jinping ha delegittimato la pagliacciata della Camera Penale Internazionale, ormai specializzatasi nei mandati di arresto a carico dei nemici degli Stati Uniti ( Hissen Habré, Gheddafi, Milosevic, ) e gestita da un mercante di cavalli pakistano tipo Mahboub Ali.

Poi, con la prossima visita di dieci giorni dell’ex presidente di Taiwan, Ma Ying Jeou, ha mostrato di non aver bisogno di dar voce al cannone per affermare la consustanziazione tra l’isola e il continente e di considerare superato l’uso della forza in politica estera, inutile l’accerchiamento dell’AUKUS nel Pacifico, assennando con questo un colpo contemporaneo anche alla mania russa di imitare servilmente gli americani anche – e sopratutto- nei difetti.

Da giovedì, Putin dovrà scegliere tra l’accettazione dei dodici punti del piano di pace cinese e l’isolamento internazionale. La strategia sarà però quella cinese che considera la guerra uno strumento obsoleto e non la brutalità cosacca vista finora.

Come potrà l’ONU rifiutare il ruolo di sede arbitrale del mondo che la Cina gli offre senza squalificarsi definitivamente ? I paesi del Vicino e Medio Oriente, dopo i pesantissimi tributi di sangue pagati per decenni, sono ormai tutti consapevoli e convinti della inutilità delle guerre – dirette come con lo Yemen o per procura come con la Siria- e della cruda realtà delle rapine fatte a turno a ciascuno di loro:Iran, Irak, Libia, Siria, con la violenza e agli altri paesi dell’area con forniture , spesso inutili, a prezzi stratosferici: Katar, Arabia Saudita, o col selvaggio impadronirsi di risorse minerarie come col Sudan e la Somalia.

Certo, senza il conflitto in atto che ha predisposto alcuni schieramenti ( specie africani) e senza la capacità di mobilitazione di quindici milioni di uomini, la voce della Cina non risuonerebbe alta come rischia di accadere, ma anche con questo accorgimento, assieme alla discrezione assoluta di cui hanno goduto i colloqui di Pechino, l’effetto sarebbe minore, ma ugualmente evocativo in un mondo che non sente il bisogno di una dittatura a matrice primitiva.

Ora Biden, tra un peto e l’altro, dovrà decidersi a leggere i dodici punti di XI e smettere di litigare con Trump sul costo di una puttana, oppure affrontare il mondo intero col sostegno di Sunak e Meloni.

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UN SONDAGGIO DEL COUNCIL FOR FOREIGN RELATIONS SUL PRIMO ANNO DI GUERRA. APRIRE IL CONFRONTO.

BIDEN HA CONQUISTATO I GOVERNI EUROPEI A PREZZO DEL RESTO DEL MONDO. IL SONDAGGIO HA DOMANDE AMBIGUE, NON INTERVISTA MOLTI PAESI “ FILO RUSSI” AFRICA E AMERICA LATINA OLTRE CHE IL MONDO ARABO E NON DEFINISCE TERMINI COME “ AVVERSARIO” , MA EMERGE UGUALMENTE LA VOLONTA’ DI “ NON GUERRA” E “ NON BIPOLARISMO” . MENO CHE MAI “UNIPOLARISMO”. IL NUOVO RUOLO MONDIALE DI INDIA E TURCHIA .

United West, diviso dal resto: l’opinione pubblica globale a un anno dalla guerra della Russia contro l’Ucraina

Timothy Garton Ash

Ivan Krastev

Mark Leonard

SOMMARIO

VAI IN CIMA

  1. Riepilogo
  2. Introduzione
  3. Ferma la guerra contro vinci la guerra
  4. Non fare tutto sulla democrazia
  5. Ulteriore ascolto
  6. Frammentazione v polarizzazione: cosa definirà il prossimo ordine mondiale?
  7. India e Turkiye come grandi potenze (ri)emergenti
  8. Conclusione: Il paradosso dell’unità occidentale e della disunione globale
  9. Metodologia
  10. Informazioni sugli autori
  11. Ringraziamenti

Riepilogo

  • Un nuovo sondaggio suggerisce che la guerra della Russia contro l’Ucraina ha consolidato “l’Occidente”; i cittadini europei e americani hanno molte opinioni in comune sulle principali questioni globali.
  • Gli europei e gli americani concordano sul fatto che dovrebbero aiutare l’Ucraina a vincere, che la Russia è il loro avversario dichiarato e che il prossimo ordine globale sarà molto probabilmente definito da due blocchi guidati rispettivamente dagli Stati Uniti e dalla Cina.
  • Al contrario, i cittadini di Cina, India e Turkiye preferiscono una rapida fine della guerra anche se l’Ucraina deve concedere il territorio.
  • Anche le persone in questi paesi non occidentali, e in Russia, considerano più probabile l’emergere di un ordine mondiale multipolare di un accordo bipolare.
  • I decisori occidentali dovrebbero tenere conto del fatto che il consolidamento dell’Occidente sta avvenendo in un mondo post-occidentale sempre più diviso; e che potenze emergenti come India e Turkiye agiranno alle proprie condizioni e resisteranno a essere coinvolte in una battaglia tra America e Cina.

Introduzione

Un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina, non c’è dubbio che la guerra sia un punto di svolta nella storia mondiale. Il conflitto ha sfidato i presupposti più basilari degli europei sulla loro sicurezza, ha riportato lo spettro del confronto nucleare nel loro continente e ha sconvolto l’economia globale, lasciando le crisi energetiche e alimentari nella sua scia.

Eppure, mentre l’aggressione della Russia è un evento di importanza globale, le persone in diverse parti del mondo l’hanno vissuta e interpretata in modi diversi. Secondo un ex consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro dell’India, “per molte parti del mondo, un anno di guerra in Ucraina ha fatto meno per ridefinire l’ordine mondiale che per metterlo ulteriormente alla deriva, sollevando nuove domande su come affrontare le sfide transnazionali urgenti”. In contrasto con l’opinione in Occidente, le persone in molti paesi non occidentali sembrano credere che l’era post-guerra fredda sia finita. Non si aspettano che il prossimo ordine internazionale sia caratterizzato dalla polarizzazione tra due blocchi guidati dagli Stati Uniti e dalla Cina; invece, vedono come più probabile una frammentazione in un mondo multipolare.

I risultati chiave di un nuovo sondaggio globale multi-country indicano che, un anno dall’inizio della guerra della Russia all’Ucraina, gli Stati Uniti e i suoi alleati europei hanno riacquistato la loro unità e il loro senso di intenti. Ma lo studio rivela anche un ampio divario tra l’Occidente e il “resto ” quando si tratta dei loro risultati desiderati per la guerra e di diverse comprensioni del perché gli Stati Uniti e l’Europa sostengono l’Ucraina. Il sondaggio si è svolto nel dicembre 2022 e gennaio 2023 in nove paesi dell’UE e in Gran Bretagna, e in Cina, India, Turkiye, Russia e Stati Uniti (i paesi CITRUS, per utilizzare la scorciatoia del progetto Europe in a Changing World dell’Università di Oxford). I suoi risultati suggeriscono che l’aggressione della Russia in Ucraina segna sia il consolidamento dell’Occidente che l’emergere dell’ordine internazionale post-occidentale annunciato da tempo.

Ferma la guerra contro vinci la guerra

Il nuovo consenso tra i governi europei è che solo una vittoria ucraina fermerà la guerra di Putin. Anche se un numero significativo di cittadini europei desidera ancora che la guerra finisca il prima possibile, il sondaggio sembra mostrare una chiara tendenza nell’ultimo anno a preferire l’Ucraina alla vittoria anche se il conflitto dura qualche tempo più a lungo. Allo stesso modo, gli americani credono che l’Ucraina debba riconquistare il suo territorio se si vuole garantire una pace duratura.

Al contrario, le persone nei paesi non occidentali hanno una chiara preferenza per la fine della guerra ora, anche se ciò significa che l’Ucraina debba rinunciare al territorio. In Cina, una pluralità di coloro che gli è stato chiesto (42 per cento) concorda sul fatto che il conflitto tra Russia e Ucraina deve finire il prima possibile, anche se significa che l’Ucraina dà il controllo delle aree del suo territorio alla Russia. Questo desiderio di porre fine alla guerra presto è ancora più forte in Turkiye (48 per cento) e in India (54 per cento). Vale la pena notare, tuttavia, che quasi un terzo delle persone in entrambi questi paesi preferirebbe che l’Ucraina recuperi tutto il suo territorio, anche se ciò significa una guerra più lunga o più ucraini uccisi e sfollati.

La crescente ostilità degli europei nei confronti della Russia si riflette nella loro preferenza a non acquistare combustibili fossili russi anche se si traduce in problemi di approvvigionamento energetico. Questa è l’opinione prevalente in ciascuno dei nove paesi dell’UE intervistati, con una media del 55 per cento di questi cittadini dell’UE che lo sostiene. Al contrario, solo il 24 per cento è favorevole a garantire l’approvvigionamento energetico senza ostacoli continuando a comprare dalla Russia.

Non fare tutto sulla democrazia

I pubblici non occidentali studiati differiscono dai pubblici occidentali non solo nei risultati che desiderano per la guerra, ma in ciò che pensano del perché gli Stati Uniti e l’Europa stanno aiutando l’Ucraina.

Il presidente Joe Biden ha inquadrato la guerra come una lotta tra democrazia e autoritarismo e ha cercato di usare la difesa della democrazia come un grido di battaglia in patria e all’estero. Negli Stati Uniti, il linguaggio della leadership del “mondo libero” è tornato.

Mentre le figure occidentali possono rappresentare il conflitto in questi modi per unificare l’Occidente, non offre un modo sicuro per fare appello ai cittadini dei paesi non occidentali. Al contrario: secondo molte persone al di fuori dell’Occidente, i loro paesi sono anche democrazie – e sono forse anche le migliori democrazie. Alla domanda su quale paese si avvicina di più a una “vera democrazia”, il 77 per cento in Cina risponde “Cina”; il 57 per cento degli indiani risponde “India”. Le risposte sono meno chiare in Russia e Turkiye, ma, tuttavia, la risposta più frequente dei turchi è il loro paese (36 per cento). Il sondaggio rileva che il 20 per cento dei russi assegna il riconoscimento alla Russia, che è anche la migliore risposta sostanziale. (Tuttavia, quasi un terzo degli intervistati in Russia non ha scelto alcun paese come avente una vera democrazia.)

Altri risultati del nostro sondaggio suggeriscono inoltre che le persone in Cina, India e Turkiye sono scettici sulle affermazioni sulla difesa della democrazia.

Molti in Cina affermano che il sostegno americano ed europeo all’Ucraina è guidato dal desiderio di proteggere il dominio occidentale. E per la stragrande maggioranza dei cinesi e dei turchi, il sostegno occidentale all’Ucraina è motivato da ragioni diverse dalla difesa dell’integrità territoriale dell’Ucraina o della sua democrazia.

Tra le potenze emergenti, l’India è un’eccezione, dove (simile agli Stati Uniti) più della metà degli intervistati indica una di queste due ragioni per spiegare la solidarietà occidentale. Tuttavia, la mancanza di democrazia in Russia non impedisce agli indiani di avere una visione generalmente positiva di quel paese: il 51 per cento lo descrive come un “aiale” e un ulteriore 29 per cento lo vede come un “partner”.

Il sondaggio rivela che la guerra di aggressione di Vladimir Putin e i suoi fallimenti militari durante il conflitto non sembrano aver indotto le persone nei paesi non occidentali a declassare la loro opinione sulla Russia o a mettere in discussione la sua forza relativa. La Russia è un “aale” o un “partner” per il 79 per cento delle persone in Cina e il 69 per cento in Turkiye. Inoltre, circa tre quarti in ciascuno di questi due paesi e in India credono che la Russia sia più forte, o almeno altrettanto forte, rispetto a come dicono di averla percepita prima della guerra.

Ulteriore ascolto

Podcast “Mark Leonard’s World in 30 minutes” – Mark Leonard, Timothy Garton Ash e Ivan Krastev discutono i principali risultati dell’ultimo sondaggio di opinione dell’ECFR in questo episodio.

Frammentazione v polarizzazione: cosa definirà il prossimo ordine mondiale?

Uno dei risultati più sorprendenti dell’indagine riguarda le diverse idee sul futuro ordine mondiale. La maggior parte delle persone sia all’interno che all’esterno dell’Occidente crede che l’ordine liberale guidato dagli Stati Uniti stia scomparendo.

In modo paradossale, la nuova unità dell’Occidente in risposta all’aggressione della Russia non segnala una resurrezione di un ordine internazionale guidato dall’America. Solo il 9 per cento delle persone negli Stati Uniti, il 7 per cento nei paesi dell’UE intervistati e il 4 per cento in Gran Bretagna vede la supremazia globale americana come la situazione più probabile tra un decennio.

Invece, in Europa e in America, l’opinione prevalente è che il bipolarismo stia tornando. Un numero significativo di persone si aspetta un mondo dominato da due blocchi guidati dagli Stati Uniti e dalla Cina. I ricordi della guerra fredda probabilmente modellano il modo in cui americani ed europei vedono il futuro.

Nel frattempo, fuori dall’Occidente, i cittadini credono che la frammentazione piuttosto che la polarizzazione segnerà il prossimo ordine internazionale. La maggior parte delle persone nei principali paesi non occidentali come Cina, India, Turkiye e Russia prevede che l’Occidente sarà presto solo un polo globale tra i tanti. L’Occidente potrebbe essere ancora il partito più forte, ma non sarà egemonico.

La visione più popolare in Russia e Cina è quella di aspettarsi una distribuzione più uniforme del potere globale tra più paesi, vale a dire che emerga la multipolarità. Anche più del 20 per cento dei turchi e degli indiani si aspetta questo. Questo nonostante il fatto che più indiani prevedino il dominio degli Stati Uniti, mentre le risposte in Turkiye sono quasi equamente divise tra l’anticipazione dell’egemonia americana, l’egemonia cinese, un mondo bipolare e la multipolarità.

Tutto sommato, per il 61 per cento delle persone in Russia, il 61 per cento in Cina, il 51 per cento in Turkiye e il 48 per cento in India il futuro ordine mondiale sarà definito dalla multipolarità o dalla dominanza cinese (o altra dominanza non occidentale). Questa opinione è condivisa negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e negli Stati dell’UE intervistati, rispettivamente, solo il 37 per cento, il 29 per cento e il 31 per cento delle persone.

India e Turkiye come grandi potenze (ri)emergenti

Nel tipo di scenario mondiale bipolare atteso da americani ed europei, il ruolo di paesi come l’India e il Turkiye potrebbe essere stato di scafatto che – per quanto riluttanza – saranno costretti a definire la loro lealtà e prendere posizione.

Ma il sondaggio suggerisce che questo non è il modo in cui questi paesi vedono se stessi o il loro ruolo nel prossimo ordine internazionale. In un mondo sempre più frammentato e polarizzato, paesi come l’India e la Turkiye sembrano attratti dal sovranismo fluttuante, dove ogni conflitto tra superpotenze diventa un’opportunità per affermare la propria rilevanza e capacità di prendere decisioni sovrane.

India

L’India è il paese globale più importante di questa persuasione – e i suoi cittadini sembrano avere una chiara nozione del posto del loro paese nel mondo. Gli intervistati al sondaggio in India si distinguono nel descrivere sia gli Stati Uniti (47 per cento) che la Russia (51 per cento) come un “ale” – il che è probabilmente in parte perché, per loro, la Cina è un “avversario” (39 per cento) o un “rivale” (37 per cento). Anche le percezioni dell’Unione europea e della Gran Bretagna sono prevalentemente positive: gli indiani li vedono come un “ally” o un “partner”.

La maggior parte del pubblico indiano percepisce quasi tutti gli altri poteri – compresi gli Stati Uniti (70 per cento), la Russia (63 per cento), la Cina (53 per cento), l’UE (67 per cento), la Gran Bretagna (63 per cento) e l’India stessa (68 per cento) – come “più forti” di quanto dicono di pensare prima della guerra totale della Russia all Sono gli unici ad avere una tale visione di tutti gli Stati Uniti, la Russia, l’UE, la Gran Bretagna e il proprio paese.

Gli indiani sembrano sentirsi positivi sul futuro. Le loro principali risposte quando gli viene chiesto di descrivere il loro paese sono che è “in aumento” (35 per cento), “forte” (28 per cento) e “pace” (18 per cento). Solo una piccola percentuale crede che sia “in calo” (8 per cento) o “debole” (7 per cento). A titolo di confronto, il 31% degli americani e dei britannici caratterizza il proprio paese come “in declino”.

L’India è anche, come notato, l’unico paese CITRUS in cui l’opinione prevalente è che gli Stati Uniti (28 per cento) e l’Europa (36 per cento) sostengano principalmente l’Ucraina per difenderla come democrazia – questo potrebbe riflettere il senso di sé dell’India come la più grande democrazia del mondo.

Turkiye

Più vicino all’Europa, Turkiye si considera svolgere un ruolo simile a quello a cui l’India aspira a livello globale. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha usato il conflitto per affermare il ruolo del suo paese come attore inevitabile nella politica europea. È riuscito ad essere sia un fornitore cruciale di armi per l’Ucraina che uno dei partner economici più fidati della Russia.

Il pubblico turco ha una visione del mondo comparabile, vedendo quasi tutti prevalentemente come un “partner”, che si tratti degli Stati Uniti (51 per cento), della Cina (47 per cento), della Russia (55 per cento) o dell’UE (53 per cento). Quando si tratta delle percezioni di altre popolazioni su Turkiye, queste opinioni sono ricambiate. Turkiye è considerata principalmente come un “partner” in Russia (60 per cento), Cina (38 per cento) e India (39 per cento) – anche se un terzo dei cinesi e degli indiani descrive il paese come un “rivale” o un “avversario”.

In Occidente, la gente vede anche per lo più Turkiye come un “partner”. Tuttavia, una percentuale sorprendentemente alta di intervistati negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nell’UE – tra il 40 e il 50 per cento – afferma di non sapere come definire Turkiye. La ragione di questa incertezza occidentale deriva probabilmente dalla ostentazione da parte di Turkiye della sua nuova politica estera sovrana pur rimanendo, almeno sulla carta, un membro della NATO.

Conclusione: Il paradosso dell’unità occidentale e della disunione globale

Durante la guerra in Iraq del 2003, importanti intellettuali europei come Jacques Derrida e Jürgen Habermas hanno cercato di definire l’identità politica dell’UE in contrasto con quella degli Stati Uniti. Hanno celebrato il potere civile dell’Europa come l’ultimo contrappunto alla potenza militare americana. Nell’ultimo decennio, e in particolare dopo gli anni di Trump negli Stati Uniti, le nozioni di sovranità europea e autonomia strategica si sono nuovamente spostate nel cuore dei dibattiti europei. Ma la realtà è che l’invasione su larga scala della Russia dell’Ucraina ha confermato la rinnovata centralità del potere americano per l’Europa, con miliardi di dollari spesi per mantenere lo sforzo bellico, che ha sostenuto l’unità attraverso l’Atlantico su sanzioni e posizioni diplomatiche nei confronti della Russia e ha dato una nuova prospettiva di vita alle istituzioni guidate dall’Occidente come la

Questa realtà non è passata inosservata al pubblico globale. Le potenze emergenti considerate in questo studio spesso vedono l’Europa e l’America come parte di un unico Occidente. Il settantadue per cento delle persone in Turkiye, il 60 per cento in Cina e il 59 per cento in Russia vedono poca differenza tra le politiche dell’UE e degli Stati Uniti nei confronti dei loro paesi (senza dubbio alla delusione del presidente Emmanuel Macron e di altri campioni dell’autonomia strategica europea). Detto questo, come notato, rimangono ancora alcune importanti sfumature, in particolare quando si tratta della posizione degli Stati Uniti e dell’Europa in India e Cina.

Ora è chiaro che, contrariamente alle aspettative del Cremlino, la guerra ha consolidato l’Occidente, piuttosto che indebolirlo. Se il rischio di una scissione transatlantica esiste ancora, viene dall’interno: una possibile vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane del 2024 potrebbe essere più minacciosa per l’unità occidentale di qualsiasi cosa che la Russia sia stata finora in grado di raccogliere.

L’Occidente potrebbe essere più consolidato ora, ma non è necessariamente più influente nella politica globale. Il paradosso è che questa nuova unità sta coincidendo con l’emergere di un mondo post-occidentale. L’Occidente non si è disintegrato, ma il suo consolidamento è arrivato in un momento in cui altre potenze non faranno semplicemente come vuole.

I leader occidentali e le società occidentali sono pronti per questo nuovo mondo? I nostri sondaggi mostrano che molte persone in Occidente vedono il prossimo ordine internazionale come il ritorno di un bipolarismo di tipo guerra fredda tra Occidente e Oriente, tra democrazia e autoritarismo. In questo contesto, i decisori negli Stati Uniti e nell’UE potrebbero sentirsi inclini a considerare paesi come l’India e il Turkiye come stati oscillanti che possono essere cacciati a schierarsi con l’Occidente.

Ma le persone in quei paesi si vedono in modo molto diverso: come grandi potenze emergenti che possono schierarsi con l’Occidente su alcune questioni ma non su altre. A differenza dei giorni della guerra fredda, oggi i principali partner commerciali non sono di solito i propri partner di sicurezza. Anche quando le potenze emergenti sono d’accordo con l’Occidente, spesso manterranno buone relazioni con la Russia e la Cina. Questo è anche ciò che il Brasile sta facendo attualmente: il presidente Lula parla a favore della conservazione della neutralità del suo paese nei confronti dell’Ucraina e della Russia, per evitare “qualsiasi partecipazione, anche indiretta”, anche se accetta che la Russia “stava torto” nell’invaso il suo vicino.

Potrebbe deludere gli europei che i governi e i pubblici in luoghi come l’India e la Turchia tendano a vedere l’aggressione della Russia attraverso il prisma del loro interesse nazionale piuttosto che i principi universali. Ma non dovrebbero essere eccessivamente sorpresi. Molte nazioni non occidentali hanno avuto i loro momenti di delusione nel modo in cui i paesi occidentali hanno trascurato crisi che erano esistenzialmente importanti per questi attori. Parlare di ipocrisia occidentale è più acutamente visibile nel trattamento differenziato esteso ai rifugiati provenienti dall’Ucraina e dalla Siria, ma questa è solo la punta dell’iceberg per quanto riguarda molte potenze emergenti.

A nostro avviso, l’Occidente sarebbe bene a trattare l’India, la Turkiye, il Brasile e altre potenze comparabili come nuovi soggetti sovrani della storia mondiale piuttosto che come oggetti da trascinare sul lato destro della storia. Questi paesi non rappresentano un nuovo terzo blocco o polo nella politica internazionale. Non condividono un’ideologia comune tra di loro. In effetti, hanno spesso interessi divergenti o concorrenti. Sanno di non avere l’influenza globale degli Stati Uniti o della Cina. Ma certamente non si accontentano di adattarsi ai capricci e ai piani delle superpotenze. E il loro pubblico sostiene tale approccio, come dimostrato, per esempio, dalla loro riluttanza a considerare i problemi relativi all’Ucraina come una delle loro attività. Piuttosto che aspettarci che sostengano gli sforzi occidentali per difendere lo sbiadimento dell’ordine di guerra post-cold, dobbiamo essere pronti a collaborare con loro nella costruzione di uno nuovo.

La vittoria dell’Ucraina nella guerra sarà fondamentale per la forma del prossimo ordine europeo. Ma è altamente improbabile che ripristini un ordine liberale globale guidato dagli Stati Uniti. Invece, l’Occidente dovrà vivere, come un polo di un mondo multipolare, con dittature ostili come la Cina e la Russia, ma anche con grandi potenze indipendenti come l’India e la Turchia. Questo potrebbe finire per essere la più grande svolta geopolitica rivelata dalla guerra: che il consolidamento dell’Occidente sta avvenendo in un mondo post-occidentale sempre più diviso.

Metodologia

Il sondaggio e l’analisi contenuti in questo documento politico sono il risultato di una collaborazione tra il Consiglio europeo per le relazioni estere e il progetto Europe in a Changing World del programma Dahrendorf presso il St Antony’s College, Università di Oxford.

Questo rapporto si basa su un sondaggio di opinione pubblica delle popolazioni adulte (di età pari o superiore a 18 anni) condotto alla fine di dicembre 2022 e all’inizio di gennaio 2023 in dieci paesi europei (Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Portogallo, Romania e Spagna) e in cinque paesi al di fuori dell’Europa (Cina, India, Turkiye Il numero totale di intervistati è stato di 19.765.

In Europa, i sondaggi sono stati effettuati per ECFR come sondaggio online attraverso Datapraxis e YouGov in Danimarca (1.064 intervistati; 3-11 gennaio), Francia (2.051; 3-12 gennaio), Germania (2.017; 4-11 gennaio), Gran Bretagna (2.200; 4-10 gennaio), Italia (1.599; 4-12 gennaio), Polonia (1.413; 3-20 gennaio), Portogallo (1. In tutti i paesi europei il campione era rappresentativo a livello nazionale dei dati demografici di base e del voto passato. Nel Regno Unito, il sondaggio non riguardava l’Irlanda del Nord, motivo per cui il documento si riferisce alla Gran Bretagna.

Al di fuori dell’Europa, i sondaggi sono stati condotti dalla Gallup International Association (GIA) attraverso partner locali indipendenti come sondaggio online negli Stati Uniti (1.074; il 17 gennaio; attraverso Distance/SurveyMonkey), Cina (1.024; 3-17 gennaio; Distance/Dynata) e Turkiye (1.085; 3-19 gennaio; Distance/Dynata); e attraverso La scelta delle indagini face-to-face negli ultimi due paesi è stata diretta dalla tesa situazione politica e sociale interna in Russia e dalla scarsa qualità di Internet nelle città più piccole dell’India. In Turkiye e negli Stati Uniti, il campione era rappresentativo a livello nazionale della demografia di base. In Cina, il sondaggio includeva solo relatori provenienti dagli agglomerati di Shanghai, Pechino, Guangzhou e Shenzhen. In Russia, solo le città di più di 100.000 abitanti sono state coperte. E in India, le aree rurali e le città di livello 3 non erano coperte. Pertanto, i dati provenienti da Cina, Russia e India dovrebbero essere considerati rappresentativi solo per la popolazione coperta dal sondaggio. Ultimo ma non meno importante, considerando l’ambito del sondaggio e il questionario, i risultati della Russia e della Cina devono essere interpretati con cautela, tenendo presente la possibilità che alcuni intervistati si siano sentiti costretti a esprimere liberamente le loro opinioni.

Informazioni sugli autori

Timothy Garton Ash è professore di studi europei all’Università di Oxford e co-dirige il progetto Europe in a Changing World. Il suo nuovo libro, Homelands: A Personal History, viene pubblicato questa primavera.

Ivan Krastev è presidente del Centro per le strategie liberali, Sofia, e membro permanente presso l’Istituto per le scienze umane di Vienna. È l’autore di Is It Tomorrow Yet?: Paradoxes of the Pandemic, tra molte altre pubblicazioni.

Mark Leonard è co-fondatore e direttore del Consiglio europeo sulle relazioni estere. Il suo nuovo libro, The Age of Unpeace: How Connectivity Causes Conflict, è stato pubblicato da Penguin in brossura il 2 giugno 2022. Presenta anche il podcast settimanale “World in 30 Minutes” dell’ECFR.

Ringraziamenti

Questa pubblicazione non sarebbe stata possibile senza lo straordinario lavoro del team Unlock di ECFR. Gli autori vorrebbero ringraziare in particolare Pawel Zerka e Gosia Piaskowska, che hanno individuato alcune delle tendenze più interessanti e svolto un lavoro scrupoloso sui dati che sono alla base di questo rapporto, così come Marlene Riedel e Nastassia Zenovich, che hanno lavorato alla visualizzazione dei dati. Adam Harrison è stato un editore ammirevole. Andreas Bock ha guidato la sensibilizzazione strategica dei media, mentre Lucie Haupenthal e Michel Seibriger sono stati cruciali nel coordinare gli sforzi di advocacy. Susi Dennison, Josef Lolacher e Anand Sundar hanno fatto suggerimenti sensibili e utili sulla sostanza. Gli autori desiderano inoltre ringraziare Paul Hilder e il suo team di Datapraxis per la loro paziente collaborazione con noi nello sviluppo e nell’analisi del sondaggio di cui si fa riferimento nella relazione. Nonostante questi molti e vari contributi, qualsiasi errore rimane di proprietà degli autori.

Questo sondaggio e analisi sono stati il risultato di una collaborazione tra l’ECFR e il progetto “L’Europa in un mondo che cambia” del programma Dahrendorf presso il St Antony’s College dell’Università di Oxford. L’ECFR ha collaborato con la Fondazione Calouste GulbenkianThink Tank Europa e il Centro internazionale per la difesa e la sicurezza su questo progetto.

Il Consiglio europeo per le relazioni estere non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni ECFR rappresentano solo le opinioni dei singoli autori

GEOPOLITICA DELLA GEOLOGIA SIRIANA E TURCA

DANNI E VANTAGGI OTTENUTI DAI PAESI , GOVERNI E PROFUGHI COLPITI DAL SISMA.

Tutto é stato detto e scritto sull’ondata di sofferenze e disagi abbattutisi su Turchia del sud est e Siria del Nord ovest. Ora é tempo di trarre le somme ed esaminarne gli effetti economici e politici.

Erdogan e Assad possono , nel segreto delle rispettive alcove ammettere di essere stati politicamente e militarmente miracolati: l’area colpita dalla catastrofe collima a un km presso con la zona di inaffidabilità politico-militare che li affliggeva. La Turchia vede dimezzata la zona in cui i suoi oppositori avevano la maggioranza e votavano per il leader filo curdo Demirktash e Assad ha visto colpiti quasi tutti i villaggi controllati dai jihadisti insediati nella zona di Idleb. Aleppo, la lealista, coi suoi trenta morti, é sufficientemente colpita da aver diritto agli aiuti, ma non tanto quanto i poveri villaggi dei suoi dintorni.

La campagna di relazioni pubbliche pacifiste ad oltranza fatta nell’ultimo anno ha fruttato una partecipazione planetaria di aiuti giunti persino dalla Mongolia e dal Burkina Faso.

L’impatto, a una prima valutazione, costa almeno 80 miliardi di euro di patrimonio devastato ( il 10% del PIL turco) e probabilmente si assesterà sul 15-17 % .

Quel che la stampa mondiale ha omesso di dire é che si tratta della zona più depressa del paese, dove la riforma agraria non aveva ancora prodotto effetti e nessuna area veramente produttiva é stata colpita, salvo ( immagino ma non ho notizie) l’oleodotto che sbuca ad Iskenderun (Alessandretta) nell’omonimo sangiaccato che affaccia sul golfo di Adana.

Il planetario plebiscito di solidarietà, che si é esteso fino a rivali geopolitici tradizionali come la Grecia e Israele, ha smantellato il lavorio sotterraneo dei paesi NATO che miravano da un anno a far sentire ai turchi tutta la riprovazione per le ormai frequenti prese di distanza di Erdogan e sui veti posti alla partecipazione Svedese ( meno per la finlandese) al Patto Atlantico. La proposta di blocco nelle forniture di F16 del Senatore Cruz, rimane sospesa ma imbarazza e l’uscita del segretario Generale NATO Jens Stoltenberg durante la visita ad Ankara, “ Questo é il momento di dire si alla Svezia nella NATO” é risuonato come un ululato di uno sciacallo sulle macerie di un paese.

Un altro coyote si é affacciato alla TV italiana a proposito della Siria, ventilando la possibilità che il siriano Assad possa “ sfruttare politicamente” gli aiuti dandoli prima ai suoi adepti. Ma come? Non hanno detto fino allo sfinimento che la Siria era tutta contro il regime Baathista? Sono stati smentiti da tutti i patriarchi delle chiese d’oriente che hanno invitato a togliere le sanzioni al paese. Sono almeno centomila voti alle elezioni americane.

Il ministero del tesoro USA é stato quindi costretto a emettere un nuovo regolamento che sospende per centottanta giorni ogni tipo di sanzione esistente a carico della Siria. Un’altra notizia sfuggita ai reporter senza vergogne della nostra stampa.

L’isolamento politico della Siria, ha subito anch’esso gravi danni: per la prima volta in un decennio, un aereo Saudita con venti tonnellate di aiuti é atterrato in Siria e altri ne seguiranno. Sbloccata l’Arabia Saudita, liberi tutti. La solidarietà interaraba ha fatto il resto: aiuti stanno giungendo dal piccolo e disastrato Libano, aiuti e squadre di soccorso dalla Giordania e dall’Irak si sono aggiunti alla Russia che é giunta per prima come avvenne da noi per il terremoto di Messina del 1908.

Il riavvicinamento già iniziato da tempo con la Turchia, adesso ha un terreno di sviluppo nella comune sventura. Dei nemici che hanno appoggiato l’aggressione la Siria, tre hanno smesso l’appoggio. Restano USA, UK, Francia ( che pure ha mandato una squadra) e Canada. Nemici lontani, direbbe Al Jawahyri.

Nullo “l’effetto rancore” verso i rispettivi governi delle popolazioni colpite: stavano già molto male prima del terremoto presi nella morsa della guerra e del freddo. La casa non gliela aveva distrutta il terremoto, ma i bombardamenti aerei russi e americani e israeliani. A migliaia vivevano già sotto le tende. Nelle scorse settimane avevo pubblicato sulla mia pagina facebook foto di profughi siriani minorenni in balia del gelo. Adesso hanno compagnia e qualche coperta in più. Anche per loro , in fondo, é stato un affare.

ECCO le foto di profughi minorenni che ho pubblicato su facebook nelle scorse settimane ben prima del terremoto. Come potete constatare il loro status non può che migliorare e mi ricorda qualche frase del Manzoni sulla Divina provvidenza.

LA QUESTIONE CURDA. IL SOLITO COSTOSO BAZAR?

DURA ORMAI DA OLTRE UN SECOLO E SERVE DA ALIBI AD OGNI AVVENTURA POLITICA E MILITARE NEL VICINO E MEDIO ORIENTE. ORA METTE ALLA PROVA LA STRATEGIA E COESIONE DELLA NATO

I Curdi non hanno mai avuto uno stato, perché la stragrande maggioranza non l’ha mai voluto. Non ne capiscono l’utilità e le funzioni. Vivono in clan e non vogliono padroni. Sono in gran parte nomadi e grazie al nomadismo difendono il loro stile di vita tradizionale, in questo simili agli iraniani.

Quando vessati, o ricercati dalle autorità, migrano in uno dei quattro stati di cui occupano una porzione ( Iran, Irak, Siria e Turchia). Il nomadismo e la latitanza, ne hanno spinte frazioni fin verso est – in Armenia- e ovest – in Libano.

Nessuno sa quanti siano, ma tutti si sbizzarriscono a dare i numeri che variano da 15 a 30 milioni a seconda della convenienza politica dei valutatori.

Il centro del Vicino Oriente si trova ad est della Mesopotamia, é un altopiano ed é abitato dai curdi. Vengono definiti ” una popolazione Indo europea” che vuol dire che non sono semiti come gli arabi e gli ebrei e – contrariamente agli iraniani- sono sunniti.

Quando col XIX secolo e la scoperta del petrolio gli europei iniziarono a praticare il ” divide et impera” , furono scoperti e valorizzati dai tedeschi prima ( contro gli inglesi), dai russi poi ( contro la NATO) ed infine dagli israeliani in cerca di contrappesi geopolitici agli arabi. Ma procediamo con ordine…

UN PO DI STORIA

Dai tempi di Dario e Ciro ( VIII secolo a.c.) i popoli dell’altopiano furono leali sudditi e soldati degli imperi che si sono succeduti nell’area, fino a che con la battaglia di Cialdiran ( 23 agosto 1514) che segna la massima espansione turca verso est, il territorio abitato dai curdi venne diviso in due tra gli imperi safavide e ottomano.

La situazione restò inalterata – turchi e persiani non si sono più combattuti da allora – fino alla fine della prima guerra mondiale (1918) quando le potenze vincitrici si spartirono il territorio ricco di petrolio.

Da quel momento, dopo un periodo di euforia post bellica in cui alla Società delle Nazioni si parlò di un Kurdistan indipendente, come vaticinato dai tedeschi perché si armassero contro gli inglesi che occupavano l’Iran, l’area abitata dai curdi risultò divisa in quattro: Iran, Siria e Irak – i due stati satellite di Francia e Inghilterra – e Turchia, dato che nessuno volle proseguire la guerra contro la neonata Repubblica turca di Mustafa Kemal che aveva dimostrato di voler combattere e aveva sconfitto in Anatolia greci e francesi e la cui guardia personale era composta da un battaglione curdo.

Dopo la seconda guerra mondiale, con l’ingresso della Turchia nella NATO ( a seguito della sua partecipazione nella guerra di Corea a fianco degli USA) la questione curda non si risvegliò fino a metà degli anni 80 , quando, istigati dall’URSS e in funzione anti NATO, il PKK ( partito curdo dei lavoratori) insorse in armi contro la Repubblica turca promuovendo azioni di guerriglia usando la tattica di rifugiarsi nei paesi vicini dopo le incursioni.

l più grosso sforzo per sedentarizzarli lo fece lo Scià Reza I, padre dell’ultimo regnante di Persia, ma la possibilità di spostarsi in uno dei paesi vicini, li ha sempre protetti anche contro queste “razionalizzazioni.”

I Curdi hanno combattuto contro ognuno dei paesi ospitanti, spesso contemporaneamente, finanziati da chi li combatteva in casa propria e usava a sua volta i curdi del vicino con finalità di disturbo analoghe.

Hanno preso le armi contro i turchi in Turchia (su mandato dell’URSS in funzione anti NATO), ma poi, su mandato siriano, quando la Turchia varò il grande piano agricolo dell’est costruendo molte dighe – 32 – minacciando, come poi avvenuto, di ridurre di oltre il 40% del gettito dell’Eufrate e dando il via alla crisi agricola che é stata una delle cause del conflitto in atto.

Il rapporto con gli israeliani, iniziato in funzione anti irachena ed ereditato poi dagli USA ha prodotto anche cocenti delusioni per via degli stop and go  ( specie nel 1991 e nel 2003) e dei finanziamenti a singhiozzo che seguivano l’andrivieni degli interessi USA.

Grazie alla lunghezza del conflitto siriano (per ora 12 anni) e della riluttanza israeliana e americana a intervenire direttamente con truppe proprie, una qualche stabilità di collaborazione sembra essere stata trovata, ma ha suscitato dubbi e sospetti della Turchia che dovrebbe considerare nemici i curdi del PKK e amici gli stessi guerriglieri se abbigliati come miliziani delle forze democratiche curde di indipendente siriana…  

Fino a poco tempo fa, il solo paese con cui i curdi erano in pace era l‘Iran col quale condividono anche la struttura della lingua, benché – secondo la narrativa USA- dovrebbero essere in frizione in quanto sunniti. Oggi, il 90% dei partecipanti alla recente rivolta repressa nel sangue in Iran, é risultato di etnia curda e su di essi si é abbattuta la repressione degli Ayatollah, annullando l’ultimo rifugio oltrefrontiera di cui disponevano. Incassati i quattrini degli americani e l’amnistia degli Ayatollah, non c’é ragione che la situazione non torni tranquilla.

LA SITUAZIONE OGGI

Con i turchi esiste un residuo di guerra ex URSS gestito dal PKK ( partito curdo dei lavoratori) e da Abdullah Ocalan che tutti conosciamo per essere stato consegnato ai turchi da un altro avanzo del comunismo questa volta italiano.

Coi siriani esiste uno stato di pace, di guerra e di cooperazione ad un tempo: cooperano per difendere i villaggi curdi dall’ISIS e dai turchi che cercano di penetrare in territori siriani. Cooperano anche con gli USA per mantenere viva la leggenda dell’esercito libero siriano, zeppo di curdi e carente di arabi siriani. Non si tratta di incoerenza, bensì di residui di lealtà personali acquisite negli anni dai vari capi clan. L’idea base é che gli americani vanno sfruttati, coi siriani ci si arrangia comunque. Coi turchi no.

Sui curdi rimasti sull’altopiano, troneggiano le due famiglie egemoni da sempre: i Talabani che dominano nella zona di Erbil e i Barzani  che comandano nella capitale Sulmanya.

Un tentativo di impadronirsi di Mossul (e zone petrolifere adiacenti) e zone adiacenti, fu frustrato dal nuovo esercito iracheno.

La chiave di lettura della intera vicenda  è che i curdi, in realtà detestano il centralismo e lo combattono. Loro stanno sugli altopiani e gli arabi in pianura. Perché obbedirgli? 

Noi europei, crediamo che combattano per la democrazia, sconosciuta da queste parti, e ci stanno simpatici perché le foto delle soldatesse curde sono tutte  belleSono modelle israeliane fotografate per la propaganda anti Assad pagata dallo zio Sam.

In Svezia, rifugio gradito fino a ieri anche ai turchi perché lontano, gli esuli si sono organizzati, ormai sono centomila e – grazie alle superiori capacità di empatia tipiche dei levantini – radicati anche politicamente. Da bravi mediorientali idolatrano le bionde queste li apprezzano per l’attaccamento alla prole e la notizia che la Svezia richiede di associarsi alla NATO ha scatenato la fantasia mercantile di turchi e curdi che intendono sfruttare questa opportunità per ottenere vantaggi da tutte le parti in causa facendo sospirare indefinitamente la loro approvazione gli uni e sabotandola gli altri.

In realtà, per gli USA é un fatto di coerenza della loro narrativa anti russa, ma l’apporto militare svedese (e finlandese) é certamente minore di quello turco. Militarmente i Turchi possono reggere con oltre un milione e mezzo di uomini e il controllo degli stretti, il fronte sud della NATO mentre la Svezia esce da due secoli di neutralità durante la quale ha fornito all’ONU funzionari e caschi blu in gradite zone semitropicali.

Per i russi é importante propagandisticamente che la Scandinavia resti ufficialmente neutrale anche se sanno che é schierata con l’occidente (segnatamente gli inglesi) da sempre. Sono come l’Ucraina: di fatto sono già NATO, formalmente evitano di ostentare.

Nella realtà, la vicenda é stata sottovalutata dagli Europei del Nord e gli USA, pensando che Erdogan volesse solo mercanteggiare a fini elettorali e sopravvalutata da Erdogan che deve aver deciso che era il contenzioso che gli avrebbe risolto la vita.

Avrebbe sistemato in contemporanea la vicenda degli S400 russi ( comprati, irritando gli USA, per assicurarsi la supremazia aerea), la vicenda dell’ammodernamento dell’aeronautica con gli F16, sanando le casse dello stato con Putin e assicurandosi la rielezione a maggio. La campagna elettorale USA nel 24 e il recente terremoto hanno complicato la situazione, al punto che persino il cautissimo Consiglio supremo della Difesa italiano ha recentemente emesso un comunicato chiedendo più attenzione e il rafforzamento del fianco destro ( se preferite il fronte sud) della NATO rispetto al nord pompato per ragioni di polemica anti russa.

In questa differenza di valutazione tra i due più forti eserciti dell’Alleanza Atlantica potrebbe inserirsi la Russia con, ad esempio, una donazione di dieci tonnellate annue di oro per due lustri e la fornitura semi gratuita di greggio e gas per dieci anni, in cambio di un raffreddamento – già avviato da noi – con l’occidente.

Scompaginerebbe la NATO, comprometterebbe il controllo occidentale degli stretti e del Levante, costerebbe meno di una guerra e cambierebbe la carta geopolitica del mondo, chiudendo la porta dell’Asia agli USA e aprendo quella del mediterraneo alla Russia.

LA STRATEGIA USA NEL MONDO RACCONTATA DA GEORGE FRIEDMAN NEL 2015 E DA ME NEL 2022

George Friedman é il miglior analista strategico vivente negli USA, fondatore e direttore per parecchi lustri dell’agenzia STRATFOR che ha offerto i migliori approfondimenti fino a che l’ha diretta personalmente.

Nel 2015 in una conferenza a Chicago, tra esperti, ha spiegato la strategia generale degli Stati Uniti per mantenere l’egemonia mondiale. Ecco in inglese, con sottotitoli in francese, in un filmato You tube estratti della sua visione, mai contestata da alcuno. Lascio a lui il compito della illustrazione dei principi che considero realistica e solidamente fondata.

Una prova di quanto qui detto e previsto é certamente il conflitto ucraino e il successivo atteggiamento americano nei confronti della Unione Europea e della Brexit. Se ne deduce che interpretare correttamente gli avvenimenti e le scelte riguardanti il conflitto ucraino é di importanza vitale per noi e per il futuro del continente.

CAPIRE LE LEZIONI DELLA NUOVA GUERRA UCRAINA

L’alluvione di chiacchiere, sovente mendaci, vanitose o inconcludenti, specie in Italia da parte di coloro che non sono riusciti a collocarsi come esperti di pandemia, ha impedito a una pubblica opinione distratta dall’endemico qualunquismo, di ascoltare le poche considerazioni logiche e a mente fredda sulle ragioni dello scontro, sulle strategie e sulle tattiche impiegate e identificare, distinguendo, quali siano gli interessi rispettivamente degli USA, dell’Europa ( EU) e dell’Italia.

Si naviga a vista, annaspando tra l’etica a buon mercato e la speranza di non essere creduti. Sempre più vero il detto che ” é difficile far capire qualcosa ad un uomo quando il suo stipendio dipende dal non capire.”

Di conseguenza abbiamo i “no war “che si affiancano ai “no vax” e i possibilisti che non comprano più i quotidiani per non farsi imbottire di comunicati – diretti e indiretti- emessi da scarti di leva anche professionale, privi di esperienza militare, digiuni di geografia, di storia e privi di conoscenza delle lingue più utili ( inglese, ucraino e russo), senza quindi accesso diretto alle fonti.

I cattolici, guerrafondai per non perdere il posto in Rai, stati messi in fuori gioco dall’intervento del Papa e i fautori della NATO hanno strillato tanto tempestivamente e tanto in falsetto da far capire a tutti che i ragazzi del coro erano stati istruiti con cura, ma con tonalità da stadio.

Proviamo a mettere ordine nel buio in cui brancoliamo noi italiani ?

GLI ANTEFATTI

Per facilitare la comprensione di fatti e antefatti sfuggiti ai più, ecco qui sotto, a disposizione per consultazione, una serie di links di questo blog ( ma ce ne sono anche altri che mi sono stancato di radunare. Potete cercarli clikkando in alto a sinistra nella finestra ” cerca”) che vi riportano al 2014 e alle omissioni dei media italiani. La crisi era prevista e prevedibile, l’intervento armato russo più volte minacciato. Nessuno se ne é preoccupato. Nessuno ha capito che una guerra in Europa, avrebbe significato la perdita dell’ubi consistam della Unione Europea, diventata l’avatar della NATO.

La disinvolta smentita al primo solenne ” mai più guerre in Europa” pronunziato dal 1945 in poi da ogni singolo politico del continente, implica fatalmente una perdita di credibilità anche dell’altro “ mai più” che in questi giorni riecheggia per ogni dove sulla shoà. Presto tradiranno anche quello.

https://corrieredellacollera.com/2014/02/25/ucraina-prima-pedina-della-teoria-del-domino-o-prova-di-una-nuova-yalta-a-geometria-variabile-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/02/28/ucraina-tra-usa-e-russia-con-germania-mezzana-dalla-ribellione-alla-secessione-a-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/02/15/la-sfida-usa-russia-per-lucraina-intanto-pagano-i-paesi-brics-con-svalutazioni-selvagge-brasile-india-cina-sud-africa-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/14/la-russia-riponde-allamerica-con-una-proposta-globale-di-sfruttamento-economico-sostenibile-dellasia-sebastopoli-e-ormai-come-sagunto-ma-questa-volta-io-tifo-per-annibale-di-antonio-de-marti/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/02/crisi-ucraina-in-crescendo-per-supplire-alla-impossibilita-militare-di-intervento-n-a-t-o-e-soddisfare-la-fazione-bellicista-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/08/ancora-su-ucraina-italia-stati-uniti-ma-scomodiamo-carl-schmitt-e-la-grande-bellezza-scegliete-di-antonio-de-martini-e-massimo-morigi/

Le ragioni della scelta del punto di attacco all’impero russo

A) La ragione principale é che l’Ucraina si prestava come zona di scontro ideale per via dell’esistenza di una resistenza ed un odio sordo accumulati durante gli anni della industrializzazione forzata che ha distrutto la piccola proprietà agricola e il latifondo, per dare vita a grandi complessi industriali ormai cadenti; l’esistenza di reduci della guerra mondiale che avevano combattuto con la Wehrmacht e anche con le SS contro l’odiato Stalin (oltre 250.000 uomini, ottocentomila se consideriamo logistica e retrovie), la continuità nel tempo dell’organizzazione Gehlen e dei partigiani nazionalisti, che fornirono subito dopo la concessione dell’indipendenza, una base storica e politica all’aspirazione, legittima, dell’Ucraina ad allontanarsi dalla sua ex potenza coloniale. Meglio avere il padrone a novemila Km da Kiev che a novecento. Il contrasto tra queste due Ucraine ha fornito il brodo di coltura dello scontro cui ha contribuito la generale corruttela del paese, la sua relativa vicinanza a Mosca, gli errori politici di Nikita Krusciov che fece tutta la sua carriera politica come segretario del partito ucraino e che cercò di ammansire gli ucraini con particolari riconoscimenti e annacquare il loro nazionalismo con attribuzioni di territori russofoni ( Crimea e e Donbass ) all’Ucraina con una rettifica delle frontiere verso est immettendo alcuni milioni di russi. Riteneva impensabile una secessione.

Anche il fatto che l’urto militare sia stato iniziato – e maldestramente- dai russi ha giovato alla narrativa propagandistica americana, lungamente preparata e ammirabilmente dispiegata.

B) I rapporti privilegiati dell’URSS ( che fu il primo paese a riconoscere il nuovo stato ebraico) con lo stato di Israele e il via vai creatosi con l’autorizzazione all’emigrazione, rese il paese facilmente permeabile in entrambi i sensi quella frontiera rispetto ad altre ( es il Caucaso) da parte di elementi estranei. Anche la presenza sul territorio ucraino di significative minoranze polacche , rumene e ungheresi facilitavano la creazione di spinte centrifughe.

C) la vicinanza – a partire dal 1990/91- delle frontiere occidentali e segnatamente quella polacca.

D) La riconosciuta validità della “ strategia Schulenburg“, dal nome del capo del “Dipartimento 13” del ministero degli esteri del Reich incaricato di amministrare i territori russi occupati che ha costituito un precedente. Si legga ( editore SugarCo) “Fra Hitler e Stalin” di Hans von Herwarth, segretario di Schulenburg miracolosamente scampato alla forca.

Schulenburg, dopo anni di vita in Russia, dove era nato, elaborò e mise in opera l’idea che “per battere i russi, servono altri russi e ogni guerra alla Russia, per riuscire deve essere trasformata da guerra in guerra civile”. La strategia ebbe successo, tanto che Hitler ne frenò il reclutamento per eccesso di riuscita perché – contrastava con la filosofia nazista degli untermenschen slavi – e, scoperto che Friederik Schulenburg ( e il suo interfaccia militare Claus Von Stauffenberg) erano anche l’anima dell’attentato del 20 luglio 1944 , impiccò tutti, fornendo un alibi antinazista postumo agli USA per utilizzare le reti clandestine create durante la guerra dai tedeschi.

In questa mia intervista a un canale you tube di qualche settimana fa, cerco di illustrare la situazione.

n parole povere entrambi i contendenti sul terreno hanno accettato la sfida ed entrambi hanno fallito nella speranza di realizzare vittorie lampo. Siamo allo stallo. Nel primo conflitto mondiale i contendenti impiegarono quattro anni ad accorgersene.Nel secondo i tempi si allungarono per via dell’imposizione della resa senza condizioni che costrinse a combattere fino alla fine. Oggi si cerca di prolungare la guerra fornendo armi e illusioni all’Ucraina, ma evitando il coinvolgimento diretto.

Lo scopo degli USA é provocare un salasso di uomini e denari fatale alla Russia, farla diventare – uso le parole che Winston Churchill pronunziò a proposito nelle rappresaglie provocate dagli inutili attentati del SOE britannico – “ il popolo più odiato d’Europa” con drammatici resoconti di “bombardamenti sulla popolazione inerme” ( che però la propaganda dipinge come intrepido e destinato alla vittoria) e soprattutto – come spiegato da Friedman nel suo video– per scavare un abisso di morti e inimicizia tra la Germania e la Russia che abbinando tecnologie e risorse naturali relegherebbero gli USA a potenza di terza fila.

COSA SUCCEDE ADESSO: L’ALLARGAMENTO?

Nel suo sforzo di far durare la guerra gli USA rischiano di estenderla in direzioni non volute distruggendo quel che resta della Unione Europea, già mutilata della secessionista Gran Bretagna, certamente incoraggiata dal governo d’oltreatlantico. Altri sono pronti a seguire, come il gruppo di Visegrad ( filo britannico, composto da Repubblica Ceca ( che ha appena eletto presidente ìl’ex comandante NATO, Slovacchia, Polonia e l’Ungheria) e l’Italia che litigando con pretesti speciosi con la Francia, tendono a isolare Francia e Germania che sono state il nucleo motore della maldestra costruzione europea che va smantellata per evitare che seguano la Germania nella marcia verso est. Quanto conti l’Europa per gli USA, é dimostrato dall’ormai famoso ” fuck Europe” della plenipotenziaria del Dipartimento di stato, Victoria Nuland intercettata durante la predisposizione del governo filo NATO uscito dalla ” rivolta di piazza Maidan.

Continuare ad alimentare la guerra anche con sole armi e denari, comporta – oltre al pericolo di sfaldamento della coalizione occidentale – il rischio concreto di essere bombardati proprio come é accaduto nei giorni scorsi all’Iran che é apparso – negano, ma non vengono creduti – come il fornitore di armi ( Droni a basso costo e in gran numero per saturare le difese elettroniche) della Russia. Chi la fa, l’aspetti e l’anello più debole della NATO ( siamo chiamati a Bruxelles, ” l’anello di spaghetti”) siamo noi italiani.

Le punzecchiature polemiche di Putin e Medvevdev all’Italia servono a polemizzare senza attaccare la Germania che viene trascinata quasi a forza nel campo occidentale, mentre Svezia e Finlandia , consce di rappresentare un possibile prossimo fronte, hanno di molto raffreddato il loro entusiasmo verso l’adesione alla NATO e hanno inscenato roghi del Corano – e ammesso ufficialmente di finanziare il PKK – per passare la patata bollente del rifiuto a Erdogan che pur di essere protagonista accetta anche parti di ” cattivo”. La Turchia, bastione militare dell’ala destra dello schieramentoNATO, é già ostentatamente neutrale e l’unica che si adopera per trovare scappatoie negoziali. Al pericolo di allargamento dello scontro al contenzioso Serbia-Kosovo, ho dedicato un articolo tre giorni fa. In Israele sono ripresi gli scontri cruenti coi palestinesi e il Papa , quando invoca la cessazione delle ostilità ormai chiede tregua ” su tutti i fronti”.

IL RIDIMENSIONAMENTO USA?

Per parte loro, i russi hanno dato cenno, prima di volontà di prolungamento dello scontro con il reclutamento di 300.000 riservisti, adesso di prepararsi all’allargamento del conflitto con la chiamata alle armi di altri cinquecentomila uomini, ma dettaglio trascurato volutamente dagli occidentali, l’allarme nucleare lo ha dato alle truppe del Pacifico, dando a intendere che mira a rappresaglie casomai verso gli Stati Uniti e non verso l’Europa.

Gli resta da capire che gli USA non possono essere colpiti nel portafoglio, dato che stampano dollari senza limiti, ma che devono essere colpiti nell’immagine e nel prestigio come fece Ben Laden con un attacco nel cuore di Manhattan.

La Marina americana si vanta di essere la regina degli oceani come l’Inghilterra di un tempo, ma non vedo nuovi Nelson all’orizzonte. Il comandante della V flotta USA ( di stanza a Bahrein) si é suicidato di recente e la flotta del Pacifico é in ristrutturazione dopo una serie di incidenti degni della scoperta della tomba di Tutankamon.

Una iniziativa, la meno cruenta possibile, che chiuda il canale di Panama separando flotte e oceani, oppure nello stretto di Hormuz ( golfo persico) che interrompa il 30% dei flussi di greggio del mondo, distruggerebbe la politica dell’embargo e il presto dell’America in uno con le residue speranze di Biden di restare alla Casa Bianca.

SCELTE PER L’EUROPA E L’ITALIA.

Tra una Europa strutturata come oggi e gli USA, credo la scelta di giocare la carta americana sia obbligata, a condizione che sia a fronte di contropartite militari, politiche ed economiche concrete e non promesse all’inglese.. Diversa sarebbe la situazione in cui il direttorio franco tedesco si rendesse conto della necessità di riconoscere l’importanza politica, strategica ed economica di spostare il baricentro verso il sud e il mediterraneo con un ruolo centrale a Italia, Spagna, eTurchia, nonché al Maghreb che secoli di corteggiamento e le presenti risorse minerarie rendono omogeneo con noi.

L’Italia potrebbe intanto dare un segnale di serietà rinunziando da subito all’accordo con Inghilterra e Giappone per progettare l’aero da combattimento del futuro. Che senso ha dire che siamo un paese serio che tiene fede alla parola con gli alleati, quando si progetta “l’aereo del futuro” con due paesi estranei alla UE mentre si progetta contemporaneamente di “diventare l’hub energetico del centro europa? Che senso ha privarsi di una delle cinque( inadeguate e insufficienti) batterie antiaeree con cui dovremmo difendere l’intero territorio italiano per regalarla a un paese che viene bombardato da oltre un anno ( stando a quanto detto dai media)…Che senso ha annunziare previsioni economiche quando si sono sbagliate tutte quelle fatte negli ultimi venti anni? Che senso ha che il Consiglio supremo di Difesa chieda alla NATO un rafforzamento dell’ala sud dell’alleanza quando in contemporanea mandiamo i nostri carri armati nel nord Europa e i nostri aerei in Romania?

Ecco , la nostra presidente del Consiglio Meloni, fa bene a non voler scimmiottare il fascismo, ma dio ci salvi se intende (o intendono?) scimmiottare il ” La guerra continua” di Pietro Badoglio buonanima.

LA GUERRA UCRAINA: QUANTO SARA’ LUNGA?

CHI VUOLE CHIUDERLA E CHI NO. I PRO E I CONTRO

Il mese di gennaio 2023 é stato particolarmente prolifico per la RAND Corporation sul tema della guerra ucraina. I temi sono sempre più delicati: ” OPERATIONAL IMPERATIVE” é un tentativo maldestro di indirizzare l’escalation dell’avversario verso una rappresaglia circoscritta e rivela il timore che – cercando di estendere il conflitto- si ottenga invece una escalation qualitativa verso un conflitto nucleare contro gli USA e l’altro, ” AVOIDING A LONG WAR” sembra una risposta a quanti insistono per far cessare lo scontro. La RAND insiste sui vantaggi di un prolungamento, evidentemente ignara , o noncurante, della frase di SUN ZU ” La guerra é simile al fuoco, quando si prolunga mette in pericolo chi l’ha provocato”. Al solito, trovate i link qui sotto per farvi una opinione personale leggendo i rapporti. spero di provvedere presto a una traduzione imperfetta.

https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA1996-1.html

https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

La RAND CORPORATION , certamente a seguito delle pressioni papali ( oltre un miliardo di cattolici nel mondo e una crescente influenza sul mondo ortodosso – oltre 200 milioni di fedeli e la prospettiva di un concordato con un miliardo e quattrocento milioni di cinesi- che viene indicato con uno sbrigativo ” other western capitals” di certo non quelle che riforniscono armamenti) ha risposto a due importanti preoccupazioni del governo americano anche se presentate come una ricerca commissionata da enti non bene identificati.

La prima preoccupazione é riassumibile nel timore di una “unintended escalation” russa contro gli USA e il documento N1 ( Operational imperative) cerca di attirare l’attenzione suggerendo la stravagante ipotesi di un attacco a una base USA oltremare. Lontana dal territorio degli Stati Uniti.

Immagino che si sia trattato dei risultati del colloquio avvenuto in Turchia tra i capi dell’intelligence russo e quello americano: nessuno colpirà il territorio dell’altro per evitare “ uncontrolled escalation.” In realtà, si tratta di un tentativo di sviare una rappresaglia dagli USA e servirebbe solo a rinsaldare i paesi satelliti attorno alla nave ammiraglia in cerca di finanziamenti e protezione. Il documento dispensa infatti consigli vecchi di mezzo secolo sulla creazione di ostacoli passivi in cemento e hangar a orientamento variabile per evitare ad aerei attaccanti di colpire più mezzi con un solo passaggio aereo.

Poiché un blitz armato non potrebbe comunque sostanziarsi in un colpo mortale e definitivo, credo che i russi dovrebbero porsi come obbiettivo strategico non tanto la distruzione di beni materiali quanto la distruzione del prestigio degli Stati Uniti in misura uguale o maggiore dei colpi inferti alla Russia con gli attentati al ponte di Crimea o a basi interne al territorio moscovita in analogia all’attacco alle due torri di Manhattan ( World trade Center) dell’11 settembre 2001 effettuato da Osama Ben Laden con il solo sacrificio materiale di venti uomini.

Non vorrei passare per il basista di un’azione di questo tipo, ma se dipendesse da me, manderei un paio di navi mercantili e disarmate, cariche di cemento precompresso, nel canale di Panama all’altezza delle chiuse dove potrebbero scontrarsi o comunque autoaffondarsi bloccando il passaggio nevralgico tra le coste est ed ovest degli Stati Uniti per un tempo da definire, ma congruo.

Un tiro mancino del genere, inferto, senza sparare un colpo, creerebbe un ostacolo strategico tra la flotta Atlantica e quella del Pacifico, tra le basi di Norfolk e quella di San Diego, obbligherebbe gli Stati Maggiori a rivedere una montagna di calcoli.

Il baricentro strategico passerebbe nelle mani della Marina e costituirebbe un fiero colpo al prestigio politico e militare degli USA specie nei confronti del mondo latino americano e quello medio orientale, sensibili ai coups d’eclat dando una boccata di ossigeno agli alleati europei sottoposti finora a incessanti pressioni da uno stato maggiore che, oggi, ha come unico focus la questione ucraina e domani dovrebbe decidere come far riacquistare la flessibilità operativa strategica al suo strumento di dominio principale e con quali tempi.

Più articolato e interessante il secondo documento (avoiding a long war) col quale si vuole rispondere con argomentazioni strutturate al grido di dolore che da tante parti del mondo si alza ormai contro la guerra che ha già dimostrato di essere a lunga durata. Questo mia risposta serve a dimostrare che la risposta é meno strutturata, logica e realistica di quel che appare a una lettura superficiale o non competente.

Innanzitutto, quando si affronta un tema gremito da – lo riconosce anche la RAND- stakeholders, bisogna esaminare le posizioni e il peso di tutti. Errore grave, da matita blu, per chiunque abbia velleità di suggerire strategie globali, ignorare parti del problema sperando nessuno se ne accorga. Nel documento non si citano , nemmeno di sfuggita, la Cina e l’Unione Europea. Il termine “NATO” viene usato per mascherare le scelte degli Stati Uniti e la posizione subordinata della Unione Europea spesso citata come ” alleati”. Ma le posizioni dei vari alleati sono variegate e spesso contrastanti anche se, per ora, coperte da dichiarazioni ambigue e ringhi a mezza bocca. Mi viene a mente l’espressione “ Drowsy dog” termine con cui la NATO indicava esercitazioni improvvise fatte a mò di cani ancora sonnacchiosi ma già ringhianti.

Alcuni punti fermi condivisibili sono: il fatto che con la dichiarazione del 21 settembre e il richiamo alle armi di 300.000 uomini, Putin ha dato il segnale che la guerra si sarebbe prolungata, che i negoziati segreti tra le parti per fermarsi prima dell’irreparabile sono cessati a maggio e che il possibile fronte di guerra si estende per mille km.

A questi vanno aggiunti quattro dei cinque punti di valutazione che cito in inglese per evitare equivoci:

1possible Russian use of nuclear weapon

2Possible escalation to a Russia-NATO conflict

3Territorial control

4Duration

5War termination

COMMENTO PERSONALE

Il grosso dell’argomentazione americana del punto 1 si aggira attorno al possibile uso di armi nucleari ricorrendo alla distinzione tra armi nucleari strategiche e tattiche e il tema si confonde col punto 2 circa una possibile escalation del conflitto tra la Russia e la NATO.

Entrambe queste argomentazioni servono ad affermare l'”ubi consistam” degli USA nell’alleanza ( il nucleare) e a creare l’abitudine a considerare come luogo privilegiato del conflitto, il Continente Europeo, sviando l’attenzione dal più vulnerabile territorio americano.

La Russia ha oltre 17 milioni di chilometri quadrati di territorio e un maggior numero – rispetto agli USA- di città industriali con uno/due milioni di abitanti. Gli USA hanno metà superficie ( 9 milioni ) e quindici grandi città che costituiscono il nerbo finanziario e industriale del paese. Distrutte – in tutto o in parte- queste, degli Stati Uniti resterebbe, al più, una flotta imponente senza territorio in grado di chiamarsi Patria.

La teoria MAD ( mutually assured destruction)risale agli anni 80 ed é una teoria americana che mirava a proteggere proprietà, industrie, infrastrutture e banche private. Valutazioni non tutte valide per la Russia e certamente non valide per una Russia portata alla disperazione.

Il punto 3 “territorial control” non vale proprio la pena di soffermarcisi per la non necessità di territorio dei russi e la strumentalità delle argomentazioni moralistico-giuridiche. Nel 2012 o 13, fui in Russia e venni interpellato da un Think Tank con cui ero in rapporto, circa la possibilità di recuperare o vendere le industrie ucraine definite “improduttive e obsolete”. Risposi dicendo che il solo asset che potevano trarre era la popolazione acculturata, vista la decrescita demografica in atto in Russia. Mi pare che abbiano tratto le stesse conclusioni.

Sulle considerazioni umanitarie, giuridiche ed etiche, ripeto che non vale la pena soffermarsi data la strumentalità dell’argomento e dell’uso che se ne fa in questo documento.

Nel caso della crisi e successiva guerra di Serbia e la creazione del protettorato USA del Kosovo ( che peraltro quasi nessuno ancora riconosce come stato), gli USA si comportarono esattamente come russi con l’Ucraina, quindi considero le argomentazioni moralistiche come una boutade buona per i governanti di complemento raccattati per l’occasione: le varie Liz, Annalena, Giorgia, Sanna, Ursula Rishi e Guido il laureato.

Non riuscendo a sostenere decentemente “l’interesse degli USA” (lo definisce così il documento in più di un punto) senza mentire o omettere, gli estensori se la cavano citando una frase di Biden e prevedendo, invece di una lunga guerra, ” una durata media”.

Nei documenti Usa si evoca spesso la sostituzione di Putin al potere e mai il fatto che l’anno prossimo é un anno elettorale negli Usa e che i bookmaker danno Biden perdente netto e – altro fatto incontrovertibile- che gli apparati di sicurezza di matrice comunista non hanno mai subìto un colpo di stato ( Da Menghistu a Fidel Castro).

In tutta questa analisi, la Cina si fa finta che non esista ( mentre in caso di scambio nucleare sarebbe la sola vincitrice e in caso di scontro “tradizionale” sarebbe l’arbitro della partita) e sul finire appare il solo innegabile vantaggio per gli USA: ” Allies ( leggi EU) may further reduce Energy dependance on Russia and increase spending on their down Defence” con la spiegazione ” the trend appear to be well established already”. Già, ma vorrei chiedere “for how long” comprimeremo la domanda per far funzionare le Sanzioni alla Russia e riempire i forzieri dei petrolieri USA.

La guerra durerà fintanto che la popolazione europea non inizierà a dimostrare di essere stanca e fintanto che il Papa, forte di questo primo successo di opinione non deciderà di passare dalla predicazione all’azione, magari attraendo attorno a sé tutti gli amici della pace e usando la minaccia della scomunica ai cattolici guerrafondai: non si può servire ad un tempo Dio e Mammona. E molti dei 470 deputati europei citati da ” Avvenire” di avant’ieri che hanno respinto una mozione ” invitante alla ricerca ANCHE di una via diplomatica”sono cattolici. E anche Biden é come un Doroteo veneto dei bei tempi: é sotto elezioni.

La vera guerra sta per iniziare adesso ed é tra chi vuole l’allargamento della guerra europea e chi vuole il negoziato. E siamo la stragrande maggioranza.

ANCHE IN ISRAELE MAGISTRATI ALL’ATTACCO DELLA POLITICA

ARIEH DERI CAPO DEL PARTITO “SHAS” PLURICONDANNATO PER CORRUZIONE NOMINATO MINISTRO, VIENE INTERDETTO DALLA SUPREMA CORTE.

Dopo il Libano e la Turchia, anche in Israele una delibera della Corte suprema rischia di mutare gli equilibri politico sanciti dal suffragio universale: Il capo del partito “ SHAS” , Arieh Deri, pilastro del nuovo governo Netanyahu e incaricato del dicastero dell’interno e della salute, ha visto scendere in campo la corte suprema che – con dieci voti contro uno- lo ha dichiarato “ indegno” di sedere al consiglio dei ministri.

Condannato per corruzione per ben tre volte, Deri é sfuggito a una quarta condanna impegnandosi al ritiro dalla vita politica.

Creatasi una nuova opportunità con la creazione del nuovo governo di ultradestra, ha rinnegato l’impegno, ma la magistratura ha reagito rendendo pubblica la situazione e ponendo Benjamin Netanyahu – lui stesso coinvolto in tre distinti processi per corruzione- di fronte alla “alternativa del diavolo” far cadere immediatamente il governo o essere condannato , sempre immediatamente, per “disprezzo della corte”.

La seconda alternativa, anch’essa amara, é se licenziare lui stesso Deri o riuscire a convincerlo a dimettersi spontaneamente.

Anche in questo caso, la posta in gioco é la sopravvivenza della coalizione….

In tutto il Levante ormai, la magistratura sta entrando a pié pari in politica, interdicendo dai pubblici uffici candidati troppo probabili alla presidenza ( Imamoglu in Turchia ) dichiarando illegale una coalizione ( Netanyahu e Deri in Israele) o mettendo in stato d’accusa un’intera classe dirigente ( Libano con inchiesta sullo scoppio del porto e sui comportamenti del governatore della banca centrale, Salamé) .

Questa tendenza a priorizzare l’aspetto legalitario é tipica della cultura anglosassone ed estranea alla cultura mediterranea in cui il potere politico ha sempre avuto la meglio sulle esigenze di giustizia.

Inizia il duello tra la coalizione Netanyahu che promette “ una riforma della giustizia” che salverà l’ex premier e Deri, da sicure condanne e la magistratura che si erge a baluardo democratico del paese.

Le conseguenze di politica internazionale non sono secondarie. Netanyahu lascia intendere che é ormai il momento di lanciare un raid sull’Iran prima che l’arricchimento dell’uranio giunga alla fatidica soglia del 90% oltre la quale l’impiego militare diventa possibile.

Un secondo conflitto legale con aspetti politici si é concretizzato due giorni fa, quando all’ambasciatore giordano in Israele é stato vietato accedere alla spianata delle moschee per pregare a Al Aksa.

La moschea, per trattato internazionale che Israele ha firmato e da cui dipende la pace, è sotto la protezione del re di Giordania che anche Israele riconosce come “ protettore dei luoghi santi dell’Islam “ e Al Aksa é il terzo luogo santo assieme a Mecca e Medina. Onore che fa gola alla dinastia saudita che si é impadronita con la forza dei primi due e vorrebbe Gerusalemme per completare la sua legittimazione agli occhi del mondo mussulmano.

TURCHIA: L’ATMOSFERA DELLE PRESIDENZIALI SI RISCALDA CON HDP CHE ROMPE LA SOLIDARIETÀ DEI SEI PARTITI D’OPPOSIZIONE.

IL PARTITO FILO CURDO PRESENTERÀ A METÀ’ GIUGNO UN SUO CANDIDATO INDIPENDENTE E PUNTA AD ESSERE DECISIVO AL BALLOTTAGGIO.

La corte costituzionale turca ha deciso: niente contributo statale all’HDP , il partito col 10% dei voti, accusato di essere la propaggine politica del PKK ( partito curdo dei lavoratori, classificato come terrorista dai governi turchi succedutisi dal 1987) e dall’UE, nonché dagli USA).

Un procuratore della Corte ha colto la palla al balzo chiedendo la messa fuori legge del partito che si vede negare il finanziamento statale di 29 milioni di dollari, un terzo dei quali avrebbe dovuto incassare il 10 gennaio. L’HDP ha trenta giorni di tempo per proporre appello.

Per completare l’accerchiamento, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, già incriminato per insulti alla Commissione Elettorale , si é visto recapitare un’inchiesta per corruzione per aver dato un incarico di lavori, senza gara, a una ditta quando era a capo di una circoscrizione della città. L’obbiettivo é interdirlo dai pubblici uffici dato che é considerato il candidato più papabile alla successione presidenziale.

La reazione politica dell’HDP non si é fatta attendere: ha annunziato di riprendere la sua libertà d’azione e rompere l’intesa con gli altri cinque partiti dell’opposizione “ parlamentarista” anche in risposta alla mancata solidarietà nella vicenda.

La ripresa della libertà di manovra apre nuovi scenari ai fini dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica che si terrà a metà giugno.

Finora, l’alleanza “a sei”- ma in particolare col partito kemalista ( CHP) che ha il 25% dei suffragi- aveva permesso alla opposizione di strappare all’AKP ( il partito di Erdogan) l’amministrazione delle principali città del paese ( Istanbul, Ankara, Smirne) , ma l’atteggiamento persecutorio del governo nei confronti del partito curdo e la mancata solidarietà dei partner dell’opposizione al commissariamento di una cinquantina di sindaci HDP ( accusati di filo terrorismo) ha spinto Hisyar Ozsoy, vice presidente del partito filo curdo a commentare la rottura che “non si può negare la solidarietà al partito e contemporaneamente aspirare ad assorbirne i voti.”

la nuova analisi politico-elettorale é che né il governo né l’opposizione raggiungeranno il quorum richiesto per l’elezione presidenziale e il 10% dei votanti dell’HDP saranno a quel punto decisivi per il ballottaggio.

Un’occhiata al profilo degli elettori del partito filo curdo mostra somiglianze con l’elettore tipo dell’AKP sia per fascia d’età che per tendenze conservatrici e nazionaliste, al punto che – in oriente tutto é possibile- si apre una prospettiva duplice di alleanza: i cinque dell’opposizione hanno già ripreso il corteggiamento interrotto, ma non é escluso che Erdogan promulghi una indulgenza plenaria nell’intento di assicurarsi il rinnovo, ma potrà farlo più facilmente se otterrà l’estradizione dalla Svezia della trentina di “terroristi” richiesti per dare via libera all’adesione svedese alla NATO che usufruirebbero anch’essi di provvedimenti di clemenza.

Le vie della Democrazia sono come quelle della Provvidenza: imperscrutabili.

TURCHIA: PAESE CHE VAI MAGISTRATO POLITICIZZATO CHE TROVI

IN VISTA DELLE DECISIVE ELEZIONI POLITICHE DI GIUGNO, CERCA DI METTERE FUORI LEGGE IL PARTITO KURDO HDP (10% DEGLI ELETTORI). MOSSA SUICIDARIA.

La catena televisiva AL JAZEERA ha informato gli ascoltatori giovedì scorso che , a seguito di una denunzia del partito AKP,( partito del presidente Erdogan che si ricandiderà alle presidenziali di giugno) presentata nel marzo 2021, la Corte Costituzionale turca ha disposto il blocco temporaneo dei finanziamenti pubblici del partito HDP – partito legale filo curdo- riservandosi una decisione definitiva entro il 10 gennaio p.v.

L’iniziativa del procuratore generale Bekir Sahin, mira a rendere illegale il partito, o almeno a privarlo dei circa 28 milioni di dollari annui di pubblico finanziamento, dopo che numerose cittadine dell’est del paese sono state commissariate e private dei sindaci HDP con l’accusa d’essere collusi con il PKK ( partito curdo dei lavoratori) che conduce la guerriglia antinazionale fin dal 1987 in chiave filo sovietica e anti NATO e che sopravvive ad onta della detenzione del suo capo ABDULLAH OCALAN arrestato in Italia e consegnato ai turchi dal governo D’ALEMA nel 1989.

Oltre alle ovvie implicazioni politiche e democratiche, l’eventuale conferma del sequestro ( e messa fuori legge) del partito curdo, ha un aspetto suicidario evidente al punto di sembrare una mossa degli avversari, ma come sappiamo, nessuno é al riparo dallo zelo dei cretini.

L’iniziativa del magistrato turco, fa seguito ad un’altra più grave decisione presa a carico del più qualificato avversario di Erdogan: Ekrem Imamoglu , sindaco di Istanbul ,membro del CHP ( partito kemalista), condannato, lo scorso dicembre, a due anni e sette mesi per “ offese a pubblici ufficiali” per aver criticato la decisione del Consiglio elettorale di Turchia ( YSK) che aveva invalidato la sua vittoriosa elezione a sindaco per pochi voti, sull’ex primo ministro Yildrim.

Replicate le elezioni, vinse con uno scatto di oltre mezzo milione di suffragi, ma rebus sic stantibus, non potrà candidarsi dato che come pena accessoria ha avuto l’interdizione dai pubblici uffici.

I cinque partiti principali del paese si sono coalizzati impegnandosi a concordare un candidato e a una riforma costituzionale in senso parlamentare.

Tra due giorni scopriremo la decisione della Corte Costituzionale e lo stato di salute della democrazia in Turchia.

LA GUERRA IN UCRAINA: QUANTO SONO FONDATE LE SPERANZE DI PACE ?

LA PACE E’ POSSIBILE MA NON PROBABILE.

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