Dopo qualche tempo dall’invito iniziale, con il permesso di Antonio, intervengo, con questa breve nota, sul dibattuto problema della identità italiana. Mi ha spinto ad intervenire la lettura di un libro, che come tanti altri, ha seminato un ragionevole dubbio su quella che é la vulgata ufficiale su come ci sia arrivati alla unificazione italiana.
Qual’ é la versione ufficiale , ufficiosa e politicamente corretta di questo processo ?
Riassumendo ,un po’ semplicisticamente, tale versione ufficiale, riesumata in occasione delle rievocazioni e della retorica del 150° anniversario,é che l’unificazione é stata l’epilogo di una lunga marcia ineluttabile scritta nei destini della storia.
Poiché é risaputo e purtroppo tante volte confermato che la storia viene scritta dai vincitori, cosi’ i vincitori- l’oligarchia liberale sabauda ed altri ad essa assimilabili- hanno scritto questa storia .
Ma non fu cosi. L’unificazione fu una tragedia per i popoli italiani ed un inganno (ricordate Il gattopardo?).
Gli italiani non volevano essere unificati, di certo non in quella maniera.
La maggior parte di essi vivevano , sia pure modestamente, serenamente e in pace ,nei vecchi stati preunitari che non erano affatto quei mostruosi regimi bieco-reazionari descritti da tanti storici.
Si pagavano poche tasse e non c’era la leva obbligatoria; alcuni di essi erano moderatamente progrediti e di certo meglio organizzati del Regno di Sardegna.
Comunque la scrittura della storia non é sempre imparziale e contro testi,diciamo cosi’ «revisionistici» vedi ad esempio «L’altro Risorgimento» di Angela Pellicciari, ce ne sono tanti che documentano che comunque l’unita’ italiana fu buona cosa.
Fu davvero buona cosa ?
Sottoponiamo ai lettori due fatti incontrovertibili :
Primo ,l’Italia non é ancora unificata, il Sud soffre tuttora del trauma della brutale annessione del 1860.
Secondo : l’unificazione fu una vera tragedia e provoco’ il dramma della emigrazione massiccia di milioni di italiani, che senz’altro non erano molto contenti di come si viveva nel neoploclamato Regno d’Italia.
Dal “Rapporto Italiani nel mondo” pubblicato ogni anno dalla Fondazione Migrantes apprendiamo che nel 1861, prima dell’unificazione ad opera della monarchia sabauda ,l’Italia, nell’insieme dei vari stati, aveva 22 milioni di abitanti e all’estero risiedevano solo 180.OOO italiani.
Nei 150 anni trascorsi da allora ad oggi ben 30 milioni di abitanti della penisola italiana hanno lasciato il loro paese.
I cittadini di origine italiana residenti nei vari Stati, anche se non esistono dati certi, sono stimati in circa 100 milioni.
Oggi gli italiani all’estero , con passaporto italiano e regolarmente inscritti all’AIRE, sono quasi 4 milioni e mezzo e continuano ad aumentare.
Lo stato italiano, sia esso monarchico fascista o repubblicano, non ha dato prove edificanti: emigrazione massiccia spesso indotta, miseria dilagante, spedizioni coloniali improvvide ed infine due guerre mondiali in cui i popoli d’Italia sono stati trascinati senza motivo e che potevano facilmente essere evitate.
Malgrado tutto questo esiste un forte sentimento identitario fra gli italiani e questo é fortemente percettibile fuori d’Italia . In tante parti del mondo l’Italia e gli italiani sono ben presenti ;potremmo dire che esiste una grande Italia fuori d’Italia.
L’Italia percepita non è la repubblica (uscita dalla resistenza, che si é data una costituzione(!!!) che non suscita interesse, ma l’Italia millenaria che esiste dai tempi di Roma, che é stata scelta come sede alla Chiesa universale, nel Medioevo ha dato avvio alla rinascita dell’Occidente, con i liberi comuni , le repubbliche marinare, le città stato e che è stata la culla di tutte le arti e le scienze.
Nel Medio Evo é pure nata la grande letteratura italiana , grazie a Dante, Petrarca Boccaccio ed altri un “volgare” ha assunto la dignità e il valore di una lingua classica.
Dal ‘500 questa lingua si è diffusa in tutta la penisola , nel Mediterraneo ,nei Balcani e in tanta parte dell’Europa, dando a tutti i suoi parlanti una precisa identità culturale,un senso di appartenenza al di là dei confini.
C’era chi la parlava bene, secondo i canoni emersi dalla tradizione letteraria e chi si arrangiava senza tanto curare la forma .
Gli italiani fin dal ‘500 hanno usato, oltre al dialetto, una lingua comune, basata sul fiorentino con la quale comunicavano fra di loro al di fuori dei confini provinciali , con i portatori di una cultura superiore , come notai,preti ,scrivani e con gli stranieri.
Non é vero che l’Italiano parlato fra italiani sia un prodotto dell’unificazione, gli italiani già si esprimevano nella lingua comune, in varie occasioni ed hanno continuato a parlare fra di loro in casa , con i vicini e nel loro spazio regionale in dialetto fino all’avvento della televisione, negli anni ’50 del ‘900.
Quanto detto sulla lingua é scritto e documentato in un libro “ L’ Italiano nascosto” del quale qui di seguito daremo una breve sintesi.
Mi rendo conto di avere divagato; se si trattava di dare una risposta alla questione: esiste una identità italiana ?
La risposta é SI, l’identità italiana é molto forte, MALGRADO la repubblica Italiana.
RECENSIONE DE “L’ITALIANO NASCOSTO”
In questo volume, di un interesse straordinario viene messo in evidenza un fatto molto importante: cioè che la lingua italiana cominciasse ad essere parlata da gran parte degli italiani fin dagli inizi del’500.
La lingua naturalmente non era quella letteraria erede dei grandi autori del ‘300, limitata ad una cerchia ristretta di fruitori ed utilizzatori, né era uno dei tanti dialetti di cui facevano uso, per le comunicazioni familiari ed in ambito locale .
Si trattava di un italiano standard usato nelle relazioni con italiani al di fuori dalla propria regione, con gli stranieri che avevano altre lingue materne, nelle prediche in chiesa e nei rapporti fra i meno colti ed i ceti istruiti.
L’interpretazione prevalente della storia dell’italiano si è per molto tempo fondata sulla contrapposizione tra lingua letteraria e dialetti: da un lato raffinati eruditi della pagina, dall’altro una schiera di rozzi interpreti degli idiomi locali, incapaci di esprimersi nelle lingua comune.Si é a lungo dissertato sul fatto che solo dopo l’unità si é cominciato ad usare un italiano standard grazie alle scuole del nuovo Regno dItalia.
Utilizzando studi recenti e commentando numerosi documenti, anche inediti o rari, questo libro propone una visione radicalmente diversa e prospetta l’esistenza, nel corso dei secoli, di una terza componente: un italiano di comunicazione dalla vita nascosta, privo di ambizioni estetiche ma utile a farsi capire.
Uno strumento linguistico spesso trasandato che, basato su una forte stabilità di strutture e su un’identità di lunga durata, ha permesso, sotto la spinta di bisogni primari, il concreto definirsi di rapporti tra scriventi (e parlanti) di luoghi e statuti sociali diversi.
Per definire questo inconsueto quadro linguistico e culturale sono citati e numerose testimonianze di personaggi, infimi e noti: streghe e servitori, mezzadri e parroci di campagna, mercanti, scrivani, interpreti e pescivendoli, mugnai e sovrastanti, briganti e soldati, ma anche catechisti e maestri d’abaco, monache, vescovi e santi insieme a famosi letterati che, nel disbrigo delle loro faccende quotidiane, non esitano a ricorrere a una semplicità comunicativa contigua al mondo subalterno.
Un’avventura o percorso nella storia della nostra lingua che consegna al lettore un panorama complesso e iridescente, ricco di forme intermedie e in chiaroscuro.
Approfondendo questo argomento si arriva alla constatazione che contrariamente a quanto si é a lungo creduto la bipartizione fra italiano letterario scritto e dialetto parlato va sostituto con una tripartizione che mette in evidenza una terza forma espressiva: un italiano orale che permetteva la comunicazione interregionale, non solo fra tutti gli abitanti degli stati italiani , ma anche fuori d’Italia nel Mediterraneo.
I preti predicatori venivano esortati ad fare uso, nelle prediche, né della lingua nativa, che sarebbe il dialetto, né del “fiorentino” che sarebbe la lingua letteraria ma della lingua comune, italiana, al di sopra delle tante altre in uso nella penisola.
L’autore citando varie fonti fa notare come fosse questo italiano standard, né dialettale, né fiorentino, diventato,dal ‘500 al ‘700 la lingua intermediaria in tutta l’area del Mediterraneo.
L’!taliano colto veniva usato nella diplomazia per la sottoscrizione di trattati internazionali,in cui nessuno dei firmatari era di lingua italiana; veniva pure usato dalla corte ottomana per comunicare con tutte le potenze europee.
L’ italiano era la lingua che i dracomanni- interpreti ufficiali nelle corti turche ed arabe, dovevano conoscere.
Tuttavia accanto all’italiano colto e letterario entrato nell’uso diplomatico prosperava nella vasta area che comprendeva la penisola italiana, i balcani e la sponda sud del maditerraneo un italiano standard sovra regionale usato non solo dagli italici ma da tutto un vasto mondo di commercianti navigatori marinai , scribi e militari, operatori i vari per il quelle era lo strumento indispensabile per comunicare con chi parlava un’altra lingua.
Proprio come l’inglese oggi.
Enrico Testa
L’italiano nascosto
Una storia linguistica e culturale
Piccola Biblioteca EINAUDI
Torino 2014
Su questo stesso argomento, oltre ai recenti post sulla identità italiana, vedere il post “salvate il soldato Alighieri” ( inserite questa frase nel “cerca” in cima alla testata.)
Commenti
Le “dizioni” che arricchiscono e costellano i testi musicali, tipo “presto” “lento” “con passione” “forte o fortissimo” etc sono sempre scritte in “italiano”. Ma “tdentità italiana” forse é altra cosa. GiC
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