Oggi 12 Marzo, a mezzogiorno, nelle principali città della Turchia ci saranno manifestazioni di protesta contro il governo per la morte di un giovane manifestante di quindici anni Berkin Elvan morto ier l’altro dopo 269 gioni di coma, a seguito di un colpo alla testa ricevuto da una bomba lacrimogena sparata durante le manifestazioni di Taksim, dello scorso giugno, mentre stava andando a comprare il pane e che paralizzarono il governo di Tajip Erdoghan per la prima volta dopo una serie ininterrotta di successi politici ed economici.
Da allora, tutto parve andare per il verso sbagliato: dopo la precedente crisi del MAVI MARMARA che guastò i rapporti con Israele, l’acuirsi della crisi siriana, lo scontro con la fazione Gulen della maggioranza di governo, il ricorso giudiziario delle Forze Armate contro le condanne inflitte a quasi trecento ufficiali accusati di golpismo, il no della NATO all’intervento difensivo automatico ( art 5 del trattato di Washington) in caso di attacco siriano alla frontiera, la scoperta che il famoso giacimento di gas “Leviathan” non rientra nelle acque territoriali turche, la Tangentopoli turca che ha costretto alle dimissioni tre ministri ( e in galera i pargoli) e che lambisce anche il Premier e suo figlio, la lotta politica per la supremazia nel Levante con un rinnovato Egitto che rivuole il suo posto, la svalutazione della lira turca, il fermo dell’economia, il mancato accordo col PKK ( partito curdo dei lavoratori) di Abdullah Ocalan nonostante sia suo prigioniero da anni.
E il 30 marzo ci sono le elezioni amministrative in tutto il paese.
Durante le scorse manifestazioni di giugno, molto dure, si mobilitò tutta la gioventù turca che non intendeva subire il clericalismo del partito di governo inteso a riportare indietro ai tempi del sultanato il calendario.
Oggi a questi ormai decisi avversari del regime clericale islamico, si aggiungono i militari ( che già simpatizzavano), il mondo degli affari ( rappresentato dalla famiglia Koc la prima holding industriale del paese con oltre 7 miliardi di dollari annui di fatturato) che si è fermato o quasi, i rigoristi che vedono gli illeciti arricchimenti dei dirigenti politici, i nazionalisti umiliati dalle vicende frontaliere coi curdi iracheni e siriani, con gli israeliani, con Cipro ( per i giacimenti).
Dall’andamento delle manifestazioni, dalla capacità del Partito Repubblicano – erede dei Kemalisti – di far durare l’unrest fino alle elezioni e dall’affluenza della gente nelle città feudo del governo ( come Istanbul) potremo capire quanto riuscirà ancora Erdoghan a esorcizzare il fantasma di Ataturk e quello del Capo di Stato Maggiore Ilter Basbug esonerato e messo sotto processo per un colpo di stato mai fatto. Adesso si vocifera da più parti che il generale sarà candidato alla Presidenza della Repubblica.
Se sarà così, avremo “il colpo di stato in carta bollata” e il ritorno allo spirito laico nel paese.
Che la gravità della situazione non sfugga a Erdoghan e al suo partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) è dimostrato dalla mossa ” disperata” di valorizzare nuovamente i militari ( un sottomarino e un caccia a scortare le prospezioni petrolifere nelle acque di Cipro) e amnistiare alla chetichella e alla spicciolata numerosi se non tutti i militari condannati lo scorso anno. Il premier può però contare solo sulla polizia e su frange della magistratura che teme la vendetta dei militari.
Il tentativo che sta attuando in articulo mortis consiste nel ricreare antagonismo tra la casta militare e il movimento religioso fondamentalista Gulen che in passato fu più volte bersaglio di repressioni kemaliste miranti a mantener fede all’impegno di mantenere laica a tutti i costi la società turca.
Al momento, entrambi i movimenti appoggiano la manifestazione il cui oratore ufficiale sarà fornito dal Partito Repubblicano e le elezioni sono tra diciassette giorni.
In Italia la manfrina degli opposti estremismi magari funzionerebbe ancora. In Turchia la cosa viene vista come una ammissione di debolezza e i funerali che si tengono oggi nel quartiere di Omeydani ci dirà quanto tempo ha ancora Erdoghan prima di cedere – dopo undici anni di regno – al fantasma di Kemal Ataturk e ai suoi nipotini modernisti.