IL SIGNIFICATO DEL VUOTO DI POTERE NELLO YEMEN. di Antonio de Martini

Con le dimissioni del presidente della Repubblica Abd Rabbo Mansour Hadi e del primo ministro Khaled Baha si realizza nello Yemen – una prima nel mondo arabo – un vuoto di potere senza la solita ressa di candidati alla successione.
La stasi politica è tale che anche i combattimenti contro Al Kaida della penisola araba ( nome della filiale yemenita) stanno subendo un momento di calma innaturale, un po’ come accade in mare nell’occhio del ciclone.

La stessa base militare di Al Annad da dove gli USA sorvegliano tutto il paese, è ferma in attesa di decifrare il da farsi.
Trascrivo, per riassumere l’accaduto, quanto ho raccontato a Gic che chiedeva lumi un paio di giorni fa in una risposta che certamente molti non hanno letto:

“Lo Yemen, nelle quattro provincie orientali sta meditando, nemmeno nascostamente, la secessione come già avvenuto una volta. È terra di Al Kaida.
Quando il presidente Salah fu spinto a lasciare il potere dagli USA lasciò il vice presidente Hadi che era sempre stato un numero 2, appunto…..
Gli houtis, incoraggiati e armati dall’Iran ( sono una setta a metà tra sunniti e sciiti) e non più tenuti a freno da Salah che li aveva bastonati per bene, si sono messi in moto per rivendicare autonomia ( nel nord dove vivono) e per protestare contro la deportazione di molti dei loro in altre zone.
Senza il polso di ferro di Salah, questi scoprirono di potersi espandere anche oltre la zona tradizionale .

Salah, tornato dagli USA dove era in cura, li ha aiutati grazie al fatto che molti militari gli sono rimasti fedeli e non si sono opposti ai ribelli. Questi hanno ” occupato” alcuni ministeri chiave della capitale, pur senza prendere il governo. Poi hanno intimorito Hadi a colpi di cannone e questi è fuggito. Ora stanno trattando col primo ministro guidati da un capo carismatico.
La maggiore attenzione dei media verso lo Yemen è dovuta al fatto che OBAMA lo ha citato come un caso di successo (!!!) e serve anche a distrarre da quel che accade in Arabia Saudita dove per la prima volta viene proclamato re, il Crownprince senza il coinvolgimento formale e attivo della famiglia e col coinvolgimento di internet….
Questo ha messo fuori gioco i clericali del clan nel processo di scelta reale ed essi cercheranno di far sentire la loro voce altrimenti.
Il re è malandato e avremo presto un altro passaggio di potere.

Muqrin aveva preparato la successione a Abdallah ( che forse è morto qualche giorno prima) e per ora ha sistemato le cose dando il ministero della Difesa al figlio del re e la carica di ” principe ereditario del principe ereditario” a Mohammed Ben Nayaf che regge, come suo padre, l’interno.
Adesso il paese è in mano al quadrunvirato che si completa con Mishaal comandante della guardia nazionale.
E con questo credo di aver risposto anche all’altro quesito.

Con un linguaggio un po spicciativo, tipico delle risposte ai commenti, credo di non aver tralasciato nulla di importante. il fatto saliente è rappresentato dalla eterna interconnessione tra Arabia Saudita e Yemen.
Anche il principe ereditario saudita Muqrin , che tradizionalmente agisce da primo ministro, è l’ultimo (35) figlio del fondatore della dinastia ABD EL AZIZ AL SAUD e di una schiava Yemenita – scelto per governare la transizione senza poter giungere al trono perché non di intero sangue reale.

Torniamo alla calma irreale in quella che era l’Arabia Felix.

Dietro i successi politici e militari degli Houtis c’è l’ex presidente Salah e i militari che in gran maggioranza gli sono ancora fedeli. Il suo successore Hadi, che ne conosce il temperamento vendicativo, ha capito l’antifona e si è chiamato fuori dal gioco, assieme a Baha, suo collaboratore.

Gli Houtis temono di perdere l’appoggio che li ha resi vittoriosi e non tentano di conquistare il governo pur avendo occupato i ministeri e la sede fisica della presidenza. Aspettano.
Salah sa che se conquistasse il potere affacciandosi alla ribalta senza l’asse so degli USA subirebbe la vendetta in primis degli uomini dell’intelligence cui lui attribuisce la perdita della presidenza tre anni fa.
Nessun altro si candida per non finire sbranato tra il leone yemenita e le tigri houtis.
Lo staff della CIA in loco e in gran parte lo stesso che ha seguito la situazione finora.
Salah aspetta che lo chiamino. È un inguaribile romantico che dopo trenta anni di potere crede che costoro possano accettare di rovinarsi la carriera rimangiandosi quattro anni di rapporti in senso contrario.
Hanno incastrato il presidente Obama facendogli citare il caso Yemen come un successo durante il discorso sulla Stato dell’Unione. Difficile adesso tornare indietro. La carriera è salva.
Si temono adesso attacchi a cittadini e basi USA. L’ambasciata ha chiuso fino a nuovo ordine.

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