SENTENZA FULMINANTE DEL GIUDICE CIVILE A NAPOLI: IL REDDITOMETRO NON E’ SOLO ILLEGALE, MA NULLO. CONTRASTA CON LA COSTITUZIONE ITALIANA E CON L’ORDINAMENTO EUROPEO. di Antonio de Martini

In assenza di un giudice a Berlino, ci accontentiamo di un magistrato napoletano.

Il giudice Antonio Lepre di Pozzuoli, sollecitato da un ricorso dell’avvocato Roberto Buonanno contro il redditometro, ha ingiunto all’Agenzia delle Entrate ” di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza o utilizzo dei dati, di cessarla se iniziata e di distruggere i relativi archivi, se già formati”. Il decreto ” è radicalmente nullo e fuori dalla legalità costituzionale e comunitaria”.

La sentenza riposa sui principii costituzionali dei diritti delle persone riconosciuti sia dalla Costituzione in vigore, sia dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea. Non credo utile scomodare la Carta delle Nazioni Unite, ma, volendo ci possiamo sbizzarrire anche in quella direzione.

Il giudice ha altresì condannato la confusione fatta tra dati della Agenzia delle Entrate e i dati statistici dell’ISTAT che non possono avere la stessa forza di evidenza probatoria ( senza contare la promessa formale ISTAT DI NON DARE I DATI A NESSUNO, RICORDATE IL MODULINO ?).

Il decreto inoltre, nega il diritto del contribuente al contraddittorio, è eminentemente inquisitorio e sanzionatorio ed esiste anche un “conflitto di interessi perché l’Agenzia delle Entrate è anche socia dell’Agenzia di riscossioni forzate ” essendo normalmente vincolata al raggiungimento di obiettivi di evasione da recuperare e dunque avendo filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi”.

Interessante anche il fatto che mentre questo metodo induttivo-pasticcione fosse già altre volte stato respinto dal CSM per calcolare la produttività dei magistrati, ci sia ancora chi pervicacemente ( e senza sanzioni) cerca di applicarlo ai fatti privati dei cittadini senza che nessuno nel resto d’Italia si ribelli.

Non si può non vedere come il criterio del conflitto di interesse non possa essere parimenti applicabile anche alle partite IVA ed alle piccole imprese che vengono sanzionate arbitrariamente – con i cosiddetti “studi di settore”- da funzionari interessati a percepire premi anche se angariano i contribuenti, dato che non subiscono conseguenze nel caso abbiano violato i diritti fondamentali in teoria difesi dalla Costituzione.

Non è vero che siamo in uno stato di polizia tributaria come dice Berlusconi: questo è terrorismo fiscale e prima o poi farà le sue vittime anche dall’altra parte. Anche le pecore sono capaci di mordere.

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