TRA USA E RUSSIA SI STA VERIFICANDO UNA INVERSIONE DEI RUOLI AVUTI NELLA PRIMA GUERRA FREDDA. UNA RIPETIZIONE A ROVESCIO SAREBBE GROTTESCA. di Antonio de Martini e Massimo Morigi

Col proposito di fornire il quadro economico che aveva fatto da sfondo allo  scoppio della prima guerra mondiale, nel 1915 Lenin iniziò a scrivere “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”.

Al capitolo VII, “L’imperialismo, particolare stadio del capitalismo”, si presta sia al commento della crisi Ucraina dopo che il referendum ha ricongiunto la Crimea con la Russia sia a riflessioni teoriche, di natura politica e geostrategica,  che investono in pieno il ruolo che deve svolgere il repubblicanesimo geopolitico nell’attuale fase.

Dal capitolo VII dell’ “Imperialismo fase suprema del capitalismo”:

“[…] Quindi noi […]dobbiamo dare una definizione dell’imperialismo, che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè: la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di una oligarchia finanziaria; la grande importanza acquisita dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.”

Dal punto di vista dell’analisi, queste parole di Lenin come rappresentano una pietra miliare per inquadrare la situazione geoeconomica che preluse allo scoppio della prima guerra mondiale, sembrano anche descrivere l’attuale situazione di scontro multipolare, con particolare riferimento alla vicenda Ucraina.

Una vicenda, quella Ucraina, in cui come in nessun altra crisi è apparso chiaro il terribile ed immenso sforzo delle potenza imperialistica egemone di accaparrarsi  con tutti i mezzi, in primo luogo tramite le immense risorse del capitalismo finanziario, quest’area vitale per la permanenza della Russia nel novero delle grandi potenze e per la possibilità di contrastare la potenza statunitense.

Generalmente, quando si parla delle “inframmettenze” statunitensi in Ucraina, se si possiede un po’ di memoria storica ci appaiono alla mente fra i principali missionari dell’esportazione della  democrazia marca USA nella terra di Gogol la figura di quel singolare personaggio che va sotto il nome di Gene Sharp e del suo Albert Einstein Institute.

Fosse o no un agente della CIA o emanazione più o meno diretta di qualche altro agente od ente strategico statunitense,noi – non necessitati alle  semplificazioni propedeutiche alla mobilitazione delle masse contro il nemico ma non per   questo non consapevoli che in politica i progetti segreti esistono – ci limitiamo a dire che per essere al servizio di un qualche agente strategico non è necessario esserne direttamente e consapevolmente al soldo.

Sharp è autore di un libro “From dictatorship to democracy. A conceptual framework for liberation” (per chi vuole consultarlo nell’originale versione in inglese all’indirizzo http://www.aeinstein.org/wp-content/uploads/2013/09/FDTD.pdf ) che, sotto il pretesto di essere semplicemente una guida per combattere regimi dittatoriali sotto qualsiasi forma si presentino è storicamente risultato, a tutti gli effetti, non essere altro che un manuale scritto con pretta mentalità organizzativa militare per abbattere tramite la mobilitazione delle masse i regimi invisi agli Stati Uniti.

Un progetto simile ha avuto pieno successo in Serbia,  dove l’applicazione delle istruzioni del manuale di Sharp ( con Otpor) sono state fondamentali per la deposizione di Milosevic ed ha avuto poi una ancora più vasta applicazione su scala globale con il CANVAS (Center for Applied Nonviolent Action and Strategies), una diretta emanazione dell’ Otpor, che invece che sulla Serbia ha messo il suo zampino in tutte quelle aree, Ucraina compresa, dove gli Stati uniti hanno applicato le loro procedure di strategia del caos  quando attuati attraverso mezzi di intervento non diretto ma, piuttosto, di sobillazione  delle masse eterodirette e più o meno non violente (vedi ruolo del CANVAS anche nelle primavere arabe).

Più che la stretta elencazione di questi agenti, se vogliamo comprendere quanto nella situazione ucraina (e quindi anche nelle altre aree di crisi dove queste quinte colonne hanno avuto la possibilità di agire) abbiano contato le oligarchie finanziarie indicate da Lenin per tentare di accaparrarsi quest’area geopolitica, è ancor meglio ascoltare le parole pronunciate pubblicamente dall’assistente segretario di stato per gli affari europei ed euroasiatici Victoria Nuland.

Ebbene il 13 dicembre 2013, in una conferenza tenuta a Washington,  Victoria Nuland ha affermato che a partire dal 1991 in Ucraina gli Stati uniti hanno finanziato organizzazioni politiche e non governative per un ammontare di 5 miliardi di dollari (“Since Ukraine’s independence in 1991, the United States has supported Ukrainians as they build democratic skills and institutions, as they promote civic participation and good governance, all of which are preconditions for Ukraine to achieve its European aspirations. We’ve invested over $5 billion to assist Ukraine in these and other goals that will ensure a secure and prosperous and democratic Ukraine”).

Chi si vada a leggere il testo integrale di questa conferenza ( per il quale si rimanda al  sito del Dipartimento di stato Americano all’indirizzo    http://www.state.gov/p/eur/rls/rm/2013/dec/218804.htm), potrà avere contezza non solo di queste “candide” affermazioni che ci fanno capire quanto in Ucraina – e di riflesso negli altri paesi che rifiutano il Washington consensus – sia stato immenso l’apporto di risorse che, attraverso il capitale finanziario, gli agenti strategici della principale potenza su piazza hanno riversato sulle quinte colonne alla Otpor o alla CANVAS per sovvertire “pacificamente” i governi che si volevano opporre agli Stati Uniti.

Si potrà anche vedere il grado di arroganza usato dagli Stati Uniti contro i governanti ucraini per costringerli all’adesione all’Unione europea e per accettare gli aiuti del Fondo monetario internazionale ( sempre citando dalla conferenza di Victoria Nuland: “As you all know, and as I’m sure you just heard from Anders and other colleagues, Ukraine’s economy is in a dire state, having been in recession for more than a year and with less than three months worth of foreign currency reserves in place. The reforms that the IMF insists on are necessary for the long-term economic health of the country. A new deal with the IMF would also send a positive signal to private markets and would increase foreign direct investment that is so urgently needed in Ukraine. Signing the Association Agreement with the EU would also put Ukraine on the path to strengthening the sort of stable and predictable business environment that investors require. There is no other path that would bring Ukraine back to long-term political stability and economic growth”).

Se fin qui l’analisi leniniana sulla situazione che fece da sfondo allo scoppio della prima guerra mondiale si rivela fondamentale per fotografare non solo la dinamica degli agenti strategici  e finanziari operanti in Ucraina  ma più in generale su tutto lo scacchiere internazionale, l’esperienza storica sta però a dimostrarci – al contrario di quanto sperava il marxismo ed in genere tutti i movimenti ad alto tasso di millenerarismo –   che la speranza nelle  “ultime fasi”,  oltre a essere strettamente collegata ad una mentalità propensa al totalitarismo, è  anche una previsione del tutto sbagliata (e di questo Lenin ne era anche inconsciamente  avvertito: se il titolo del suo libro richiamava la fase terminale del capitalismo, nel titolo del  capitolo da noi citato, l’imperialismo veniva degradato a “fase particolare” del capitalismo).

Detto in parole semplici e tradotto ad uso del repubblicanesimo geopolitico:

1) L’attuale sconfitta che gli agenti strategici statunitensi stanno subendo nella loro strategia del caos attuata attraverso la leva del capitale finanziario e l’impiego sul campo delle masse eterodirette dallo smart power delle NGO modello Otpor o CANVAS non prelude affatto ad una loro uscita di scena non prelude cioè, ad una loro “fase finale” ma semmai ad un rimodulazione del loro modus operandi, con un possibile ritorno a pratiche destabilizzanti  muscolari dell’era Bush.

Il sistema è congegnato comunque in modo da fruttare qualcosa in ogni contingenza, ad esempio , in questa, ha fruttato una compattazione ( finta) dei paesi della UE, spacciati come gli antagonisti di Putin mentre sono in realtà ” nemici riluttanti”.

2) Se nel suo vedere la “fase finale” del capitalismo Lenin dovette pagare il pegno al profetismo marxista, la sua mentalità strategica, o meglio geostrategica, comprese benissimo che la  lotta contro i monopoli poteva avvenire ed avere successo in quei paesi che costituivano  “l’anello debole” di questa evoluzione del capitale finanziario.

Dimostrazione della correttezza di questa visione strategica leniniana di puntare sull’ anello debole delle nazioni capitalistiche per far vincere la rivoluzione (e con questo successo che però non poté tramutarsi nel sogno comunista ma nell’edificazione “solo” di una moderna superpotenza, l’Unione Sovietica, anche dimostrazione della successiva impossibilità storica e teorica di realizzare la rivoluzione proletaria) fu la Russia con  l’abbattimento dello zarismo ed il successo della rivoluzione bolscevica.

Certamente, alla luce del referendum che ha ricongiunto Russia e Crimea, un anello debole della strategia americana di invasione del mondo col suo capitale monopolistico si è dimostrata l’Ucraina. Ciò è certamente un punto segnato da Putin che, degno successore di Lenin, ha sempre dimostrato di sapere colpire al momento opportuno e con inusitata efficacia  gli “anelli deboli” della strategia del caos statunitense.

Il punto molto semplice è però che,  visto che  le  “fasi finali” delle transizioni da uno stato unipolare a uno multipolare – come quelle, per fortuna, del passaggio millenaristico e definitivo dal capitalismo al comunismo –  appartengono al mondo dei sogni e non alla realtà dello scontro fra agenti strategici,  gli spazi di libertà che sono la naturale conseguenza della messa in crisi della potenza ancora attualmente egemone non possono essere affidati  in un unico appalto a chi ora contesta, e con successo, questa potenza.

Qui sta il compito del repubblicanesimo geopolitico: alla luce di un quadro ormai brulicante di “anelli deboli”  del Washington consensus, diffondere la consapevolezza che un aumento degli spazi di prosperità e libertà dell’Italia e del suo popolo sia nell’accettare con coraggio la nascente fase multipolare.

E nell’altrettanto forte consapevolezza, che in definitiva ci viene proprio da Lenin, che nella scelta degli alleati, interni ed internazionali, che rendano possibile questo passaggio, le “fasi finali” appartengono al mondo delle fate o, per esprimerci in termini politici, a quello delle ideologie.

Proprio come stanno a provare nella loro pelle gli ingenui ucraini trattati come carne da cannone dall’ UE e dagli USA, nella scelta delle alleanze e dei compagni di viaggio di tutto abbiamo bisogno tranne che ripercorrere meccanicamente e solo in senso contrario quello che è già stato fatto negli ultimi cinquant’anni.

 

 

 

 

 

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Commenti

  • Roberto  Il marzo 26, 2014 alle 8:39 PM

    Questa analisi è improntata ad una profonda cultura politica di stampo novecentesco ma non contenendo ipotesi di complotto plutogiudaicomassonico è certamente sbagliata. Studiate Grillo e lasciate stare Lenin per favore….

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  • Anafesto  Il marzo 27, 2014 alle 12:04 am

    Credo che agli USA siano fumo negli occhi quei paesi che rifiutano, non il consenso, ma la dominazione di Washington, quindi direi che non è arroganza statunitense quella applicata in Ucraina, ma vero e proprio bullismo.
    Detto questo, possiamo notare, come in tutti i bulli, tendano a mostrare più i muscoli che il cervello e le faccende Siria e Ucraina ne sono la conferma.
    Gli stati europei, come tutti i cani da compagnia, o sarebbe più esatto dire da lecco, abbaiano all’intruso, pronti però a leccargli le mani se questo allunga qualche sostanzioso boccone.
    In questo scenario la carne da cannone non è solo quella degli Ucraini, ma anche quella degli europei, con unica eccezione l’inghilterra, geograficamente e spiritualmente separata dall’Europa, mentre Putin, come giustamente osservato, testa gli anelli deboli e si muove unicamente su quelli.
    Non credo sia in grado, ancora, di proporre mosse non asimetriche per ovvia disparità di forze, ma credo che continui a puntare su referendum del tipo di quello in Crimea, nelle regioni di Kharkov e Donetsk, sicuro tra l’altro di portare a casa il risultato e prima o poi Kiev su quelle regioni dovrà capitolare, ammesso che non capitoli direttamente Kiev dopo la cura di qualche semestre europeo.

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  • b1e2t3t4a1  Il marzo 31, 2014 alle 7:14 PM

    L’ha ribloggato su CI DISPIACE….MA VINCEREMO NOI!.

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  • robertobuffagni  Il marzo 27, 2015 alle 5:53 PM

    Ultima frase da scolpire, grazie mille.

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