PERCHE’ L’ORO BANKITALIA APPARTIENE AL POPOLO ITALIANO E NON ALLE “BANCHE PARTECIPANTI. ( prima parte) di Mario Esposito”

Pubblichiamo la prima parte di un intervento ben argomentato di Mario Esposito, avvocato, professore straordinario di diritto costituzionale presso l’Università del Salento. La parte successiva ( l’ingresso del nostro paese nel SEBC)  seguirà domani.

Con un linguaggio professorale, ma senza peli sulla lingua, il professor Esposito ci spiega pazientemente e con serene argomentazioni quale sia la natura della Banca d’Italia e le caratteristiche proprietarie del deposito dell’ oro Bankitalia. L’articolo riprodotto è tratto dalla rivista ” LA FINANZA”  redatta da specialisti di dodici grandi università sparse per il mondo e coordinati dal prof Vittorangelo Orati rettore dell’International  Institute of Advanced Economics and Social Studies.

Come ha rammentato su queste pagine Giorgio Vitangeli, nel 2009 Claude Trichet allora Governatore della Banca Centrale Europea si domandò se essa non appartenesse al popolo italiano piuttosto che all’Istituto centrale.La suggestione merita di essere attentamente considerata sub specie juris allorché si vanno ripetutamente diffondendo tra i quotisti della Banca di via Nazionale, ma con il conforto di autorevoli economisti( v. il documento a firma Fulvio Coltorti e di Alberto Quadrio Curzio apparso sul SOLE24ORE del 5 settembre 2013), propositi diversamente declinati, di far leva sulla ( almeno apparente ) sussistenza di un diritto domenicale di Palazzo Koch sulle riserve auree, al fine di giungere ad una corrispondente rivalutazione delle loro partecipazioni.

Tali propositi trovano  generoso terreno di coltura nelle incertezze, sempre perduranti, intorno alla natura della Banca d’Italia, sospesa tra diritto privato ( per la struttura organizzativa e, più ancora, per la natura dei soggetti che al suo capitale partecipano) e diritto pubblico ( per le funzioni e per i mezzi di loro espletamento, tra i quali si annoverano poteri discrezionali di tale latitudine da sconfinare nella normazione, per non dire dei c.d. poteri di moral suasion del Governatore, sciolti da specifici parametri di legittimità, pur essendo suscettibili di produrre conseguenze di rilevantissimo impatto sull’indirizzo politico nazionale.)

Non per caso, sul sito istituzionale della Banca è recentemente apparsa una nota di chiarimenti che dovrebbe essere intesa a tranquillizzare in ordine alla natura pubblica dell’ente, che non potrebbe essere compromessa, o esposta a conflitti, per la qualità privata della maggioranza dei c. d. quotisti.

Eppure, la stessa Banca d’Italia ha già nominato un comitato di esperti incaricato di effettuare una valutazione delle quote di partecipazione al proprio capitale  ( v. Il SOLE24 ORE del 20 settembre 2013, nonché gli ampi servizi apparsi in proposito sull’inserto Affari & Finanza de La Repubblica del 30 settembre) e nonostante le rassicurazioni fornite in proposito dal direttore Generale di Bankitalia, Salvatore Rossi,  ( v. intervista apparsa  su Il Sole 24 ore del 6 settembre 2013) sono forti e razionali i dubbi  che, sotto la spinta della pressione ( almeno) di quei quotisti che già hanno riportato nei propri bilanci stime della loro partecipazione nella Banca centrale comprendenti anche le riserve, si giunga ad approvare una qualche disposizione di legge che legittimi tale condotta.

Il punto è certamente del più grande rilievo: e ce ne vorremmo occupare in uno dei prossimi numeri della rivista ( LA FINANZA ndr) con più ampio corredo di istruttoria e di motivazione.

Qui ci si limita , intanto,  a qualche cenno sulla natura giuridica dell’oro, iscritto nel patrimonio della nostra Banca centrale: un tema, a quanto consta, poco esplorato persino nelle trattazioni che direttamente concernono la Banca d’Italia.

Si tratta di una questione che può essere utilmente avviata a soluzione  seguendo l’evoluzione delle funzioni  dell’Istituto di via Nazionale.

Le proposte volte a disporre delle riserve auree fanno quasi sempre leva sull’assunto secondo cui essendo venuta meno la funzione  di emissione monetaria per l’innanzi confidata ( ma si dovrebbe aggiungere , non a titolo originario, almeno all’indomani dell’affermazione costituzionale del principio di sovranità popolare) a Bankitalia, queste non sarebbero più assoggettate a nessun vincolo pubblicistico se non a quello, generale e quindi non ad esse specificatamente attinente, derivante dalla loro inclusione nel patrimonio della Banca centrale e, dunque, dalla complessiva finalizzazione dell’attività dell’Istituto al perseguimento di interessi pubblici ( recte: pubblico-comunitari): ma si tratterebbe di elementi fungibili, non potendosi, appunto, più ravvisare un nesso di corrispondenza  con il potere di battere moneta.

Si tratterebbe, insomma, di beni suscettibili di atti di disposizione della Banca d’Italia indirizzati al soddisfacimento di interessi propri dei quotisti, i quali trarrebbero ovviamente vantaggio qualora il valore della propria partecipazione nella Banca centrale potesse essere stimato includendo le riserve auree: ma ciò postulerebbe, appunto, la loro appartenenza alla Banca d’Italia a titolo di “privata proprietà”.

Tale assunto sembra però non considerare che, anche allorquando la Banca d’Italia era investita, per delega statale, della funzione monetaria, le riserve auree venivano costituite per conto dello Stato ( funzione che fa riferimento ad un assetto statuale non più sussistente): se poteva sostenersi che, fermo restando che tale obbligo di costituzione era imposto dalla normativa statale ( r. d.  n. 204/1910; r.d.  n.2325/1927;  r.d.l. n. 812/1926) la proprietà delle riserve  – pur sottoposta a un vincolo di pubblico interesse – spettasse all’Istituto di emissione, in quanto soggetto privato, nessun dubbio può nutrirsi in proposito successivamente alla trasformazione della Banca d’Italia  da società anonima a istituto di diritto pubblico ( r.d.l.  375 /1936 che conteneva, tra l’altro, una disposizione, l’art 21, inforza della quale e in conseguenza del nuovo ordinamento pubblicistico, ai soci della anonima veniva rimborsato” il valore delle azioni in misura fissa per ogni azione, rappresentante sia il capitale versato, sia la quota di riserva afferente a ciascuna azione”.

Ne induce a diverse conclusioni la reiterata adozione, in epoca repubblicana, , di norme che autorizzavano la Banca d’Italia a computare al proprio attivo le disponibilità in metallo ( ad es. legge n. 14/1960; legge 867/1976): al contrario  – e lasciando da parte le ulteriori finalità di simili previsioni – la necessità di un titolo statale di abilitazione appare semmai quale indice sintomatico della non appartenenza delle riserve auree alla Banca centrale.

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Commenti

  • ray.issa  Il gennaio 13, 2014 alle 10:32 am

    Il linguaggio professorale fa che ha annegato il pesce e non si e capito niente. Eppure la domanda era simplice a chi appartiene l’oro della banca d’Italia? Agli quotisti, allo stato o alla BCE? e chi ne decide?

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    • antoniochedice  Il gennaio 13, 2014 alle 11:12 am

      Leggi l’articolo di continuazione di oggi. L’oro è del popolo italiano, la Banca d’Italia ha perso il diritto a disporne e le quattro principali Banche quotiste hanno abusato violando la legge e il principio di parità nell’esercizio del credito.
      Fino a qui il professore.
      Aggiungo io che hanno corrotto il governo anticipando il pagamento delle tasse.
      Il classico caso di cessione di un diritto per un piatto di lenticchie.

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  • antoniochedice  Il gennaio 10, 2015 alle 8:19 am

    L’ha ribloggato su IL CORRIERE DELLA COLLERAe ha commentato:

    RIPETERE FINO ALLA NOIA CHE L’ORO DELLA BANCA D’ITALIA È NOSTRO. DIMOSTRARLO. DIFENDERLO.

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