pubblico, lasciandogliene l’intera responsabilità, la fosca ma minuta descrizione del degrado di una istituzione a cura di un collaboratore della prima ora che ci spiega come e perché la istituzione degrada fino a morire: vogliono morire abbracciati alle poltrone.
E mi autorizza a mettere la sua firma in esteso solo a fine post.
La libera, sicura circolazione dei capitali si restringe; le imprese si arrestano nel dubbio del dì dopo: il consumo e la produzione vanno scemando: crescono soltanto, indizio tristissimo, gli arretrati delle tasse.
E un’altra piaga, pessima tra tutte cresce gigante:l’immoralità. Il presentimento di inevitabili mutamenti, l’opinione diffusa che ogni cosa è provvisoria, il senso di un avvenire imminente e mal noto, suscitano l’egoismo e il desiderio di provvedere a se fino alla colpa, prima che giunga il naufragio.
Atti nefandi trapelano dalle alte sfere, dove l’instabilità del potere genera l’avidità; e il veleno filtra dalle alte alle inferiori; l’esempio dei capi è raccolto dalla turba dei subalterni che hanno famiglia da nutrire e magro stipendio.
Le colpe avverate fanno facilmente credere a ogni accusa. La diffidenza di tutti e di tutto diventa condizione normale al paese. Tra le colpe e le calunnie il senso morale si sperde: i vincoli tra i cittadini si allentano e minacciano di rompersi.
Tutto questo è conseguenza logica , inevitabile dell’esistenza violenta della istituzione che ha inalberato il vessillo della resistenza al potere a tutti i costi dopo aver diviso in due campi ostili la Nazione e il Governo.
Ma una istituzione non può vivere di resistenza e di immoralità. E l’istituzione, ormai condannata, scivola di illusione in illusione, d’errore in errore, di colpa in colpa, giù giù in un abisso, dove ogni sua difesa si converte in pericolo, ogni gesto offre un’arma ai nemici, dove ogni difesa viene definita persecuzione tirannica, ogni concessione viene considerata paura. Tutto le nuoce.
Accusata dagli uni per ciò che fa e dagli altri per ciò che non fa, essa perde ogni giorno un seguace.
Il malcontento si diffonde in tutte le classi……….seguono esempi (ndr)
Quando le cose sono a quel punto, suonano per l’istituzione gli ultimi tocchi dell’agonia. L’ultimo affannoso alito della consunta sua vita dipende da un sùbito momento di saggia audacia negli uomini della istituzione futura, da un lieve errore che essa sarà trascinata a commettere.
I prudenti dovrebbero, per riguardo a se stessi, allontanarsi da quel letto di morte. I buoni dovrebbero, per amor di Patria, dichiarare apertamente che l’istituzione è morente. I credenti nell’avvenire dovrebbero, per onore e dov tra la morente e la nazione, la bandiera della nuova vita.ere, affrettarsi a chiudere ogni varco all’anarchia, sollevando tra la morente e la nazione, la bandiera della nuova vita.
L’autore è Giuseppe Mazzini, lo scritto è del 1870, il titolo “L’agonia di una istituzione”.
Per non rendere immediatamente riconoscibile il testo ho sostituito una serie di locuzioni con altre “moderne” ( es ” l’affetto fidente tra i cittadini si allenta e minaccia di rompersi, con “i vincoli tra i cittadini si allentano e minacciano di rompersi.”), ma mantenendo inalterato il senso del testo, tratto da ” Scritti politici di Giuseppe Mazzini” a cura di Terenzio Grandi e Augusto Comba. ed UTET)
Chi desiderasse leggere l’intero testo del saggio ” L’agonia di una istituzione”, mi mandi il suo indirizzo e lo riceverà gratuitamente assieme all’indice dell’intera opera ( solo l’indice….).
Commenti
145 anni passati invano, ma -giurabacco- passati. E siamo qui.
Mi pare un cupo e inutile pessimismo. Non é così che si superano le difficoltà. Non cieco ottimismo, ma senso della realtà. In quei 145 anni non sono mancati momenti buoni e persino gloriosi o almeno “normali”. Coraggio e fede e soprattutto intelligenza e impegno. Che i vecchi vadano a dormire e che i giovani si sveglino. GiC
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Appunto. Il vecchio Mazzini aveva visto e previsto. Nessuno ne ha tenuto conto. È il presidente della Corte dei conti, scopre la corruzione. Dopo essere arrivato.
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Giuseppe Mazzni, anima candida della preistoria nazionale, parlava del disastro morale dell’epoca. Tinte fosche, accenti tragici, funeste previsioni. Ma erano squarci di malcostume letti con gli occhi d’una coscienza votata a nuovi ideali di nobile eroismo. Vivesse oggi, Giuseppe Mazzini avrebbe il volto d’un qualsiasi italiano rassegnato alla tragica evidenza della necrosi ideale e morale d’ogni più interna cellula del corpo della nazione. Non LE singole istituzioni in disfacimento ma LA istituzione statuale putrefatta. Non sdegno e speranza di riscatto ma resa all’inesorabile dissolvimento. La corruzione a questo conduce. Non soltanto corrotti e corruttori ma oppressione definitiva d’ogni barlume di rinascita. Morte e disperante assemza di futuro.
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A meno che non intervengano gli uomini del l’istituzione futura a ” innalzare la bandiera della nuova vita”.
Singolare come molti colgano accenti di disperazione ( che non vedo) e nessuno le indicazioni di speranza è riscatto. Che vedo.
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@buscemi. IL LETTORE BUSCEMI HA CHIESTO UNA COPIA DEL TESTO DI MAZZINI. L’INDIRIZZO FORNITO RISULTA INESISTENTE. PREGO CONTROLLARE.GRAZIE
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