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Tre teocrazie classiche si interessano degli avvenimenti del Levante e tra queste, la più debole è la casa reale saudita che dispone di immense ricchezze , è la custode dei luoghi santi della religione mussulmana ed esercita influenza su un miliardo e trecento milioni di mussulmani sunniti.
Evidentemente non gode di divino afflato perché da un certo numero di anni a questa parte non ne sta azzeccando una e credo che le fortune della giovane ( dal 1927) dinastia siano ormai agli sgoccioli.
L’altra teocrazia è quella concorrente rappresentata dall’Iran Sciita e Persiano che è in sorprendente rimonta da quando pochi mesi fa ha mostrato solidità istituzionale cambiando, senza scosse, regime , dotandosi di un nuovo Presidente Hassan Rouhani appoggiato dall’Ayatollah Ali Khamenei che rappresenta la continuità religiosa e statuale con grande compostezza ed è il leader di 200 milioni di sciiti nel mondo: il nuovo governo ha aperto all’occidente e ha intavolato trattative che possono allentare le tensioni internazionali in quasi tutte le aree a rischio del pianeta e sta dimostrando di non essere interessato alle armi nucleari. Non così l’Arabia Saudita.
Intanto, sia il re Abdallah AL SAUD BIN ABD EL AZIZ che il suo principe ereditario Salman ( bin Abd el Aziz) sono con un piede e mezzo nella fossa a causa dell’età e delle malattie ( il principe ereditario 87 anni è affetto da demenza senile da almeno un lustro, il re ha 90 anni ed a al suo attivo la sopravvivenza a quattro o cinque gravi operazioni chirurgiche).
Sul piano religioso i sauditi con le aggressioni successive all’Algeria e poi a tutte le altre nazioni islamiche hanno esasperato le divisioni di tipo teologico tra sunniti e sciiti facendone motivo di guerre e lotte interne all’islam. La Fitna che il profeta Maometto ha sempre considerato l’abominio principale e il peccato da non perdonare. Il rischio è quello di trasformare il mondo islamico in due tronconi e dare corpo ad un emirato sciita guidato dall’Iran e , per forza di cose, alleato con tutte le minoranze religiose asiatiche inclusi i cristiani.
Sul piano politico, stanno andando peggio.
Quella del “Crownprince” è una carica che non consente in realtà un automatico accesso al trono – questo viene assegnato da un Consiglio di famiglia finora egemonizzato dai “saudari seven” i sette figli di Hassa la moglie preferita del fondatore della dinastia Abd el Aziz – ma fa funzione di primo ministro finché vive chi lo ha nominato.
Quindi le due principali cariche del regno – re e primo ministro – sono in mano a personaggi più di la che di qua e la governance futura non è assicurata da un meccanismo dinastico automatico.
Per un recente conflitto istituzionale tra appartenenti alla nuova generazione reale, si è anche creato un vulnus alla effettiva autorità del “Consiglio di famiglia” che ha visto il ministro dell’interno – figlio d’arte – ( Mohammed Bin Nayef bin Abd el Aziz) nominarsi da solo il viceministro dell’interno ( unico – altra novità pericolosa- non appartenente alla famiglia in tutto il governo) senza passare né dal Consiglio di famiglia ( che non avrebbe gradito un estraneo) e nemmeno dal Consiglio dei ministri.
Dunque anche il governo regolarmente insediato non gode ormai del prestigio necessario ad assicurare un’attività di governance fluida, figuriamoci in periodo di passaggio dei poteri e durante cinque crisi internazionali che dovrebbe saper tenere a bada.
La cessazione contemporanea, non appena avverrà, della influenza dei saudari seven che egemonizzavano il Consiglio, del re che va spegnendosi, la messa fuori gioco del Crownprince, creeranno un vuoto di potere che sarà colmato dall’alleanza di due delle tre forze armate interne al regno, coalizzate contro la terza: la Guardia nazionale, il ministero della Difesa e quello dell’interno. Il vincitore si farà formalmente incoronare dal Consiglio di famiglia in cerca di un altro gruppo forte che lo domini e garantisca agli oltre cinquemila parenti la prosecuzione dell’era di prosperità senza precedenti che stanno vivendo dal 1974 e che dal 1979 vedono insidiato dall’Iran Sciita e Persiano, sia sotto il profilo petrolifero che religioso.
Tra i membri della nuova generazione in cui si dovrà scegliere, i figli di alcuni tra i saudari seven sono in pole position e tra tanti il figlio di Salman che comanda la guardia nazionale e il già nominato Mohammed bin Nayaf, ma la fluidità della situazione consente le più pazze ambizioni anche a Bandar Bin Sultan – oggi a capo dell’intelligence e molto amato negli USA – benché sia figlio di una inserviente analfabeta e quindi non abbia i quarti di nobiltà richiesti, anche se tiene a ricordare che era il nipotino preferito di Hassa la moglie -madre dei sette fratelli egemoni nel Consiglio durante gli ultimi trenta anni.
Ogni principe che aspiri al trono o alle sue vicinanze , si adopera per acquisire meriti di fronte alla famiglia e usa la parte di potere a sua disposizione snobbando ove possibile gli uffici del Crownprince, e le norme scritte e no del codice di buon governo. Un disordine pericoloso per la pace nel mondo e nel mondo arabo in specie.
Tutto quel che ne è disceso, è una sequela di le crisi internazionali ognuna delle quali ha il potenziale per far saltare il sistema. Vediamole iniziando da quelle interne:
a) Situazione sociale ai limiti della intollerabilità per la politica razzizsta ( privilegiano cinesi e coreani e filippini per controllare eventuali nascite dal colore), mentre i maschi tollerano con piacere i loro accoppiamenti con donne provenienti dal corno d’Africa, ma di recente circa quindicimila donne eritree sarebbero state rimpatriate per cause non ancora note.
b) Gli sciiti della zona est del regno – la più ricca di petrolio. Gli abitanti sono suscettibili di dare ascolto a sirene persiane e il ministro dell’interno MBN ha insediato un cugino occupando la porzione di territorio meno abitata ma più ricca e presidiata.
c) Ai limiti del folclore le iniziative “democratiche” inscenate per far credere che prima o poi le donne avranno qualche forma di parità ( diritto alla guida, di voto ecc.)
Ben più gravi sono le situazioni alle frontiere:
YEMEN A seguito del tentativo di primavera araba per defenestrare il Presidente Salah – al potere da oltre un trentennio – la situazione si è così evoluta : Salah ha accettato di andare negli USA a curare i postumi di un attentato ai suoi danni a condizione che rimanesse in carica il suo vice e che un suo parente mantenesse il comando di un reparto decisivo ai fini del controllo della capitale. nel frattempo, Al kaida si è inserita nell’area in cui nacque Ben Laden ed ha impegnato l’esercito in vere e proprie battaglie campali. Al Nord – al confine con L’Arabia saudita – le tribù Houti , tradizionalmente riottose hanno trovato conveniente accordarsi con l’Iran , farsi armare e infiltrarsi nel regno. La confusione è generale ed è incrementata da attentati e rapimenti di “diplomatici” che i vari servizi segreti mettono in scena per pompare fondi ai rispettivi centri. Lo Yemen controlla la porta sud del mar rosso nota come Bab el mandeb ( porta del lamento).
BAHREIN dalla parte opposta della penisola, l’isoletta di Bahrein non viene nominata volentieri dai media, perché è il mini viet nam dei sauditi che portarono un “aiuto fraterno ” di settanta carri Armati al re ( l’unico che nel golfo ha questo titolo) e matengono un ordine precario. La causa del contendere è il fatto che il re è sunnita mentre tutta la popolazione è scita e – presumo sobillata dall’Iran – cerca di affrancarsi. Mission impossible poiché è anche la base della VI flotta USA e, dopo un breve entusiasmo per la richiesta di democrazia mostrato dal Dipartimento di stato, vige la regola del silenzio su tutta quanto avviene.
GIORDANIA è il paese che assieme al Marocco ( entrambe le famiglie regnanti discendono , annacquatissime, dal profeta, ha scelto di ottenere il maggior numero di fondi e siuti possibili . La Giordania scatola di sabbia donata dagli inglesi alla famiglia Hashemita cacciata dalla Mecca a cura dei sauditi, ospita una serie di profughi: palestinesi, Irakeni, Siriani, ciascuno col suo carico di drammi e necessità peculiari. Gli USA nel 2013 hanno pompato in Giordania un miliardo di dollari e il resto lo mette l’Arabia saudita., che però non può dimenticare che il legittimo erede della custodia della Mecca e Medina è proprio il re di Giordania. Vicino al portafoglio, ma non al cuore.
IRAK L’A. Saudita ha finanziato con 30 miliardi di dollari la prima guerra del Golfo del 1991 ed anche la successiva spedizione del 2003.
Gli USA si sono insediati in quell’occasione ( 1991) in una serie di basi saudite che – come aveva previsto l’attuale re all’epoca contrario alla concessione , ma non regnante – non hanno più lasciato. Per dare credibilità democratica all’attacco all’Irak ” in cerca di armi di distruzioni di massa ” gli USA pensarono bene di spodestare i sunniti che da sempre dominavano la Mesopotamia e la maggioranza scita ( 70%). Questo atteggiamento ha dato fiato alla guerriglia preorganizzata del partito Baath che non accenna a diminuire e che adesso – essendo sunnita – viene finanziata dai sauditi in funzione anti Iran.
La maggior influenza acquisita dagli sciiti ha rafforzato enormemente l’influenza iraniana tra il Tigri e l’Eufrate benché gli occidentali avessero covato con cura in Inghilterra l’Ayatollah Al Sistani che nei loro calcoli avrebbe dovuto sradicare il partito Baath ( ateo socialista) e contrastare l’influenza del Moussa Sadr jr. legato alla Persia.
L’abilità del premier Nouri Al Maliki mantiene al potere gli sciti, si è liberato delle truppe USA che aspiravano a stazionare in loco ( adesso si parla di addestrare l’antiterrorismo irakeno in basi estere ) e il numero dei morti si mantiene sui settanta giornalieri. accettabile. Anche qui l’Iran è a ridosso della frontiera saudita mentre prima ( 2003) non c’era ed era in guerra con L’Irak.
SIRIA: è l’ultima iniziativa congiunta americano-saudita in ordine di tempo. E’ costata tre anni e un numero imprecisato di morti ( non i centomila sbandierati da un “osservatorio” basato a Londra) ed è l’avventura che ha costretto gli USA a rivedere la loro strategia interventista in tutta l’area. La guerra presumibilmente non cesserà, ma diminuirà di intensità e si troveranno altre occasioni per una tregua d’armi. scambi di prigionieri o evacuazioni di civile dalle aree non sicure dell’uno o dell’altro. Fallisce con questo, il tentativo di far cadere un altro regime Baathista ( laico e socialista) e la situazione avrà conseguenze anche sulla situazione libanese dove abbiamo un corpo armato italiano a disposizione dell’ONU per presidiare il confine israeliano che è il solo silenzioso in tutta l’area.
IL LIBANO Per contrastare la deriva verso la Siria, l’Arabia saudita è stata costretta a stanziare 3 miliardi di dollari affidando alla Francia il compito di riarmare e riorganizzare l’esercito libanese ( 30.000 uomini già armati dagli americani). Una scusa evidente e un indennizzo per la guerra di spie che si svolge sul loro territorio a colpi di attentati.
EGITTO assentatosi dalla scena politica internazionale per inseguire chimere occidentalistiche, l’Egitto si è visto sottrarre la leadership politica e morale del mondo arabo con la sostituzione nella posizione egemonica tradizionale in seno alla Lega Araba e la rappresentanza del mondo arabo al G20 a vantaggio dell’Arabia Saudita. Tornato alla stabilità secolare e laica assicurata dalla classe militare, L’Egitto adesso ottiene aiuti illimitati o quasi da coloro che lo hanno prima messo in difficoltà: Americani e Sauditi, ora interessati a ridurre l’influenza dei Fratelli Mussulmani.
L’Egitto non dimentica che un secolo e mezzo fa , sotto la guida del grande Mohammed Ali ha risolto il dilemma wahabita con una spedizione militare e l’impiccagione del re Saudita dell’epoca. Ora l’Università di Al Ahram tornerà ad assumere la leadership morale dell’Islam che non ha mai perso ma che era attutita dalla crisi politica e istituzionale.
KATAR anche col katar naacono problemi di compatibilità dopo un triennio di cordiali canagliate a danno di terzi. Il Katar ha cambiato governo in maniera radicale e però ha mantenuto l’appoggio ai fratelli mussulmani – specie egiziani – che adesso i sauditi contrastano.
Da nessuna di queste aree di crisi l’Arabia saudita può ragionevolmente pensare di uscire vincente o almeno con un pareggio, anche se avesse due cose che ha ormai perduto: la stabilità istituzionale, e l’appoggio incondizionato americano.
Il flirt con Israele completa il quadro di isolamento in seno al mondo arabo di quelli che Bin Laden definì i principati ereditari. a meno che Israele non si decida a concludere la pace con i Palestinesi il quadro di isolamento politico e militare di quella che fu la dinastia per anotnomasia non potrebbe essere più completo.
A Nord si prepara la successione anche per la parte petrolifera. Il 1 febbraio una fregata turca ha bloccato una nave norvegese che stava facendo prospezioni di gas nelle acque di Cipro per conto della Total. I concessionari sono la Noble Energy ( USA) Una società sud coreana ( kogas) e i francesi di Total. Hanno fretta.
Commenti
Perché quando ci si rivolge all’Iran o alla Siria si parla di “regime”? Il regime sta in Italia.
Dunque, se ho ben capito, quando qualcuno non si sottomette al potere occidentale si dice regime, mentre i governi pecoroni che si sottomettono sarebbero democrazie.
Si dice regime un sistema di governo che non ha alternative.
In Siria e in Iran non si contemplano alternative.
In Italia si dice che non vi sono alternative, specie quando vi sono.
In Bahrein dovrebbe esserci la V Flotta US, la VI dovrebbe essere dislocata nel Mediterraneo (soprattutto in Italia). Articolo davvero interessante, grazie.
Corretto. Ho sbagliato a scrivere? Mi spiace.
L’ha ribloggato su IL CORRIERE DELLA COLLERAe ha commentato:
LE GUERRE SI SA COME COME COMINCIANO, MA NON COME FINISCONO. L’ANNO SCORSO CREDEVANO DI CONTROLLARE LO YEMEN. ORA….