I PAESI ARABI FRANCOFONI INIZIANO A CONTRASTARE IL RECLUTAMENTO DI VOLONTARI PER LA GUERRA IN SIRIA. I PAESI ARABI ANGLOFONI CONTINUANO. È UN NUOVO CAPITOLO DELLO SCONTRO TRA CATTOLICI E PROTESTANTI. NEL LEVANTE URGE UNA INIZIATIVA ITALIANA, MAGARI ANCHE NON GOVERNATIVA. di Antonio de Martini

Gli algerini hanno capito, I marocchini pure, la Mauritania arranca ma cerca di arginare, insomma il Maghreb francofono si va organizzando affinche’ quello che e’ accaduto in Tunisia – Libia – Egitto, grazie a Qatar e Sauditi Wahabiti, non accada anche a casa loro e in Siria a dispetto degli accordi di Parigi tra Al-Thani e François Hollande.

Il mondo Anglofono (tranne Israele che e’ stato il primo ad accorgersi e adesso sul Golan prende i ribelli a cannonate) continua a sostenere (armi, soldi, logistica e appoggio politico) i ribelli siriani in cambio della promessa di qualche affaruccio post bellico.

Il quotidiano algerino Essharouk ( l’Oriente) Il 18 aprile ha dato la notizia che i servizi di sicurezza algerini hanno arrestato quattro persone appartenenti alla Islamic Salvation Army ( AIS, considerato il braccio armato del FIS Fronte islamico di Salvezza, il partito religioso ) nella provincia di Chlef con l’accusa di reclutare Jihadisti destinati al fronte siriano.

Singolare, ma mai fatto notare dai media,

il fatto che i nomi di queste organizzazioni siano ormai in inglese con tanto di acronimi in stile evangelista che ricordano il folcloristico Esercito della Salvezza noto in occidente per le sue crociate musicali immortalate nei film di Hollywood.

L’accusa è di aver reclutato cittadini algerini per conto di Jabhat al Nursa , la più sanguinaria delle bande straniere che infestano la Siria e che dichiara essa stessa di essere legata ad Al Kaida, filiale irakena..
La rete di reclutatori, che il giornale assicura essere stata decapitata, si era specializzata nel ripescaggio di reduci della guerra civile algerina dello scorso decennio, anch’essa finanziata dai sauditi.

La tecnica di adescamento – basata su versetti e Hadith del Kur’an che elogiano la jihad- fu inaugurata dagli italiani nel 1936 durante la campagna etiopica per reclutare yemeniti, particolarmente adatti a resistere in condizioni climatiche estreme, per attraversare il deserto dancalo e prendere alle spalle l’esercito etiopico schierato sul fronte dell’Ashanghi. L’operazione riuscì. Il reclutatore, un certo Shaker arruolato in una camera di sicurezza di Asmara dove soggiornava per prossenetismo, è sopravvissuto all’impero e ancora a fine anni cinquanta prosperava in Dancalia come rispettato e colto Imam.

Tornando a bomba, l’inchiesta ha appurato che il reclutamento avveniva dopo un aggancio via Internet ed ha interessato ben sette provincie oltre ad Algeri: Ghardaia ( centro religioso al confine con la Tunisia) Tebessa, Tlemcen, Oued Souf, Djelfa, Tiaret, Biskara e Illizi.
La filiera era la stessa illustrata nel post della scorsa settimana sulla Libia: Tunisia, Libia, addestramento e partenza per il fronte.

Il quotidiano libanese Al Dyiar ha valutato in diecimila il numero di algerini ” volontari” in Siria, ma tutti gli osservatori considerano fortemente gonfiata questa cifra.
Mentre si sta mettendo in opera un coordinamento di intelligence tra Marocco, Algeria e Mauritania – con interesse anche tunisino – per bloccare questo afflusso, i paesi anglofoni ( Arabia Saudita, Irak, Giordania, Egitto) e Turchia non solo non fanno nulla per impedirlo, ma offrono appoggio politico, logistico e formativo o lo tollerano se praticato dagli inglesi che sembrano sempre più in cerca di una rivincita per il conflitto irlandese coi cattolici, durato oltre venti anni.
L’Italia è la grande sconfitta di questa situazione creatasi nel Mediterraneo: tutti i paesi in crisi attualmente ( Libia, Egitto, Libano, Siria) erano nostri partner economici privilegiati e per un motivo o per l’altro, c’è li siamo visti sfilare dal protagonismo britannico a caccia di affari per salvare la propria economia o dall’irruenza americana che se ne infischia delle conseguenze delle proprie scelte sulla economia degli alleati.
Se esiste un magistrato coscienzioso a Roma, dovrebbe mettere sotto inchiesta l’operato degli ultimi due ministri degli affari esteri e gli autori della riforma del SISMI che hanno lasciato l’Italia in braghe di tela per assumere una serie di figli di VIP dei media, della politica e – appunto – magistrati.

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Commenti

  • antoniochedice  Il agosto 3, 2014 alle 8:36 am

    L’ha ribloggato su IL CORRIERE DELLA COLLERAe ha commentato:

    Scritto ad aprile 2013

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  • Marzio  Il agosto 4, 2014 alle 12:20 am

    Una domanda,che forse non c’entra niente, ma si ricollega all’ultima parte dell’articolo riguardante la politica estera dell’Italia. L’Etiopia puó essere un patner importante per l’Italia?Leggevo l’altro giorno di importanti investimenti cinesi e Turchi nel paese, mentre un membro del governo etiope si lamentava per il poco interesse a investire nell’ area del governo e degli imprenditori italiani.Potrebbe essere un buon mercato per le imprese italiane?Siamo ben visti o no, da ex coloni ?Scusi se approfitto delle sue conoscenze,grazie

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    • antoniochedice  Il agosto 4, 2014 alle 8:21 am

      Siamo molto ben visti dalla popolazione e i meno giovani parlano italiano. In Addis Abeba esiste un circolo italiano dagli anni trenta. La burocrazia etiopica è purtroppo come quella italiana con un tocco di ingenuità in più. La ” Gursha” ( mazzetta) è praticamente obbligatoria per qualsiasi cosa. Nei villaggio dell’interno capitava ancora pochi anni fa di incontrare italiani , specie meccanici, che gestivano i generatori di corrente nelle zone non elettrificate. Coltivano il pomodoro, ma non hanno fabbriche di conserva che importano. Si dia da fare e se ha bisogno di aiuto, mi faccia segno.

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  • Marzio  Il agosto 4, 2014 alle 6:42 PM

    Grazie mille,sto studiando una idea di business applicabile all’ Etiopia .Se questa idea,dopo appurate ricerche,dovesse rivelarsi valida e avessi bisogno di aiuto le faró sapere.

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  • Marzio  Il agosto 5, 2014 alle 8:55 am

    Ho apprezzato il suo suggerimento sulla conserva di pomodoro.Ho trovato anche un PDF dell’ambasciata etiope con una specie di business plan. Sembra peró molto costoso e fuori dalla nostra portata(mia e del mio socio), a meno che non si incominci con una produzione di conserva piú piccola.Non ho trovato dati sul consumo pro capite di passata di pomodoro da parte della popolazione etiope, ho visto peró che la produzione di pomodori non é tanto alta. La nostra idea verteva su tutt’altro, ma adesso ci interesseremo anche a questo settore.Comunque, se ha altri settori validi da consigliarci per investire, ne saremmo contenti.Noi pensavamo al teff,il problema (che potrebbe non esserlo) é che il governo ha smesso di esportarlo per far fronte alla domanda interna.Il teff é fondamentale per la cucina etiope ,l’equivalente del nostro pane, é il governo pensa,giustamente, alla domanda interna della popolazione, mediamente molto povera.Come sicuramente saprà il teff é senza glutine,mercato questo in grande crescita.Grazie ancora

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  • Marzio  Il agosto 5, 2014 alle 8:56 am

    “e il governo pensa” senza accento,maledetto correttore.saluti

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