Chiariamo subito una cosa: le dittature sono inaccettabili. Anche le dittature “borghesi” o quelle collettive di una oligrarchia. Quando però si cominciano a scegliere le dittature da abbattere e quelle da risparmiare, mi viene a mente la scelta dei magistrati di Milano che nella campagna di Tangentopoli colpirono i socialisti e i comunisti miglioristi ( tranne Napolitano che rimase il solo della sua corrente a piede libero) , senza sfiorare altri o addirittura , assolvendo preventivamente i sindacati a patto che uscissero dai consigli di amministrazione degli enti previdenziali nei quali avevano pascolato fino al giorno prima. La democrazia ha un prezzo e bisogna pagarlo.
Se poi il prezzo della democrazia lo pagano altri, in paesi apparentemente lontani, la cosa può sembrare accettabile , ma non è così. Si sostituisce una dittatura individuale che vessa gli singoli che possono fuggire , con una dittatura tra nazioni, ineludibile. Per liberarsene, invece di una ribellione, diventa necessaria una guerra.
Come in Italia con Tangentopoli è stato vulnerato il comune senso della giustizia, così il mondo intero con la vicenda libica ha percepito che il diritto internazionale è una burla ipocrita che serve allo sceriffo per far fuori in serie i “cattivi del film” e come in ogni western che si rispetti, il soggetto non cambia, si cambiano solo i cavalli.
Uno stato sovrano riconosciuto da tutti, è stato aggredito, una sua fazione è stata armata ed avanza appoggiata dall’aeronautica della coalizione, in una spartizione razzista dei compiti: a noi gli omicidi tecnologici , a loro la bassa macelleria.
Negli ultimi quaranta anni ho girato e vissuto nel Levante ( e in Africa) in lungo e in largo e non ho mai incontrato una associazione di osservatori o difensori o amanti dei diritti umani, non ho mai letto un loro comunicato stampa e nemmeno trovato un manifestino abbandonato nelle toilettes.
Ora non passa giorno in cui non si vedano in TV esperti di Medio Oriente ( chiamiamolo Levante come si è sempre chiamato, cominciamo a combattere con le parole), esperti di diritti umani, testimoni oculari dei crimini di Gheddafi, di Mubarak, di Ben Alì e presto di Assad jr.
La sceneggiatura è sempre la stessa: notizie di manifestazioni di piazza, Agenzie che danno notizie , in esclusiva, di rappresaglie crudeli ; commenti diversificati in cui il presidente americano non parla più di economia e truffe bancarie. Fa un appello ” alto” alla pace ed alla non violenza, fa inviti a non usare le armi, ascolta appelli di attivisti dei diritti umani.
Poi gli alti gradi alleati si scambiano le parti: il poliziotto buono dice che non attaccheranno e quello cattivo dice che si dovrebbe ma serve il viatico di una delle sigle internazionali di stati all’ingrosso . Questa ordina un intervento umanitario consistente nel proibire al dittatore di turno di uccidere in maniera artigianale i suoi sudditi . Interviene l’alleanza a farlo industrialmente. In Irak, dai duemila ammazzati di Saddam/anno, si è passati ai centomila/anno. A bocce ferme si conteranno i morti di Gheddafi e quelli dalla coalizione. Vedremo a chi fare le congratulazioni.
Adesso il vento della libertà sta soffiando verso la Siria con furore crescente. Strano, in Giordania il vento è q.b. ( come nelle ricette della nonna), per non destare sospetti di collusione. Eppure il numero di sudditi giordani e palestinesi ammazzati da re Hussein è largamente superiore a quello dei siriani ammazzati ( intendiamoci, è certo che ci sono anche questi, sto solo facendo una macabra contabilità ) .
La difesa che ” li ha accoppati re Hussein , il figlio, re Abdallah II non c’entra”, è applicabile anche a Bashar al Assad. Anche lui aveva un papà manesco, ma lui, il figlio, non ha avuto il tempo di fare granché. Se non ci sono giustificazioni da dare all’opinione pubblica mondiale, poco male, non si danno. La stampa soprassiederà. Soprassiede sempre.
L’odore di polvere da sparo, è arrivata al naso fine di Tajep Erdoghan, il premier turco, che ha subito dichiarato che la Turchia è la meta a cui tendono tutti i paesi dell’area che si sono battuti e aspirano alla democrazia: dialettica dei partiti, elezioni periodiche, marcia costante verso gli standard europei di rispetto dei diritti umani. Erdoghan ha anche messo le mani avanti dicendo che era preoccupato per la sorte dei siriani coi quali sono imparentati ( leggi abbiamo i curdi in comune sulla frontiera) e invitato Assad a concedere le libertà democratiche o ad affrontarne le conseguenze ed ha anche ricordato che Turchia e Siria ( al nord) hanno 800 km di frontiere in comune. L’esercito ha fortificato il sud dove confina con Israele, ma al nord è scoperto.
Assad padre si salvò alleandosi agli USA nella prima guerra irakena del 1991, cui partecipò con un battaglione. Vedremo se Tajep Erdoghan sarà altrettanto fortunato o se coi dieci piccoli indiani d’arabia, c’ é nel menù anche un turco.
L’Iran si trova adesso con centomila soldati americani per parte già schierati sulla frontiera irakena e su quella Afgana. Sarà quello l’ultimo boccone?
Commenti
sono molto d’accordo con questa analisi lucida e sostanzialmente esatta!
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Grazie per le gentili parole. Anche eventuali collaborazioni sono benvenuto
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analisi perfetta!!!! purtroppo i media credeno alle balle dei giornalisti lecchini….
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Articoli originali e con parecchi spunti condivisibili. In ogni caso è presente una analisi degli
interessi nazionali italiani che è totalmente scomparsa dal bagaglio della comunicazione poli
tica. Certo i patrioti arabi debbono sempre spiegare, soprattutto a sè stessi, perchè dalla loro Lampada non si sprigiona mai un Giuseppe Mazzini. Saluti, Mario Maldini
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Caro Mario, La risposta e’ semplice: i patrioti arabi si sono rifatti semplicemente a … Giuseppe Mazzini! Prendendo esempio dall’ Itala dove il Risorgimento parti’ dalle caserme ( i tenenti Morelli e Salviati, il colonnello Pepe ecc) si costituirono leghe di ufficiali che presero il nome di “Giovine Egitto”, “Giovine Siria” e “Giovani Turchi” richiamandosi apertamente a Mazzini anche nella attenzione alle esigenze sociali dei rispettivi popoli. Perfino in Indonesia il presidente Sukarno (padre dell’attuale presidentessa) recito’ a memoria interi brani di Mazzini a uno stupefatto Enzo Biagi che lo racconta nei suoi scritti. Solo in Italia non si studia Mazzini, ma Marx.
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sarebbe interessante leggere un commento sulla annunciata indipendenza del Sudan Meri-
dionale. Qualche anno fa,l’Amministrazione Comunale di Ravenna ” purgò ” una strada cittadina intitolata a Romolo Gessi per dedicarla a Raoul Gardini. Gessi, garibaldino e patrio-
ta ottocentesco, figlio di un ravennate e di una armena, combattè fino alla morte lo schiavis-
mo nel Sud del Sudan anglo-egiziano; se questo nuovo Stato nascerà, fra i suoi antesignani
ci sarà di sicuro Gessi. Forse avremo Gessi Mall a Giuba, possibile capitale dello Stato.
Ennesima dimostrazione che l’Italia ha respirato e ” fatto tendenza ” con Mazzini e Garibaldi. Un saluto cordiale, Mario Maldini
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Non sono cosi’ addentro alle vicende toponomastiche ravennati. Posso solo dire che l’unico suicida cui intitolerei una strada e’ Catone uticense. Dubito che il governo del Sud Sudan voglia intitolare una strada al Gessi, come la Grecia non ha intitolato nulla a Santorre di Santarosa , la Francia ai volontari di Digione o l’ Algeria ad Alfredo Morea. In cambio a citta’ del Messico c’e’ piazza Garibaldi anche se li’ il nostro non c’e’ mai satato.
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L’ha ribloggato su IL CORRIERE DELLA COLLERAe ha commentato:
29 Marzo 2011. Leggendo la mano di Erdoghan ho visto…..
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Garibaldi personalmente non andò in Messico numerosi garibalbini però combatterono
prima con Juarez poi nel 1911
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Ahh
http://www.contropiano.org/esteri/item/9718
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