I GIORNALI ITALIANI DICONO CHE HOLLANDE MINACCIA LA GUERRA PER ( O IN ?) UCRAINA. MA SA COSA È LA GUERRA? di Gianni Ceccarelli

Nei giorni scorsi, il Presidente socialista della Repubblica Francese, commentando i colloqui da lui avuti, insieme con la Cancelliera tedesca Merkel, col Presidente Putin, ha affermato che si trattava di “une des dernières chances de trouver un accord, sinon c’est la guerre”.
Non è male, credo, ricordare a tutti gli europei, che sembrano aver dimenticato cosa sia “la guerre” la descrizione che un tedesco – Winfried Georg Maximilian Sebald – ha fatto nel suo “Storia naturale della distruzione”

(uscito in Germania nel 2001 e da noi nella Biblioteca Adelphi tre anni dopo) di un bombardamento nel corso della II guerra mondiale. Si tratta del bombardamento di Amburgo della notte del 28 luglio 1943.

“Durante l’attacco, che iniziò all’una di notte, furono sganciate diecimila tonnellate di bombe dirompenti ed incendiarie sulla zona residenziale a est dell’Elba, zona densamente popolata … Nel giro di pochi minuti, sui circa venti chilometri quadrati dell’area attaccata, scoppiarono ovunque giganteschi incendi e si propagarono così rapidamente che, già un quarto d’ora dopo la caduta delle prime bombe, l’intero spazio aereo divenne –a perdita d’occhio- un unico mare di fiamme.

E in capo ad altri cinque minuti, all’una e venti, si scatenò una tempesta di fuoco così tremenda che nessuno mai, fino a quel giorno, l’avrebbe creduta possibile. Il fuoco, levandosi nel cielo in vampe alte duemila metri, attirava a sé l’ossigeno con una violenza tale che le correnti d’aria raggiunsero la forza di uragani e rintronarono come poderosi organi nei quali fossero stati tirati all’unisono tutti i registri. L’incendio continuò così per tre ore.

Giunta al culmine, la tempesta prese a sollevare i cornicioni e i tetti delle case, fece mulinare nell’aria travi e intere file di pannelli pubblicitari, sradicò alberi e trascinò con sé esseri umani trasformati in fiaccole viventi. Dietro le facciate che crollavano, lingue di fuoco alte come palazzi salivano al cielo: simili a una mareggiata, si riversavano nella strade a una velocità di oltre centocinquanta chilometri all’ora, come rulli di fuoco rotolavano con ritmo animalo su piazze e luoghi aperti. In alcuni canali ardeva anche l’acqua.

Nella carrozze dei tram si scioglievano i finestrini, mentre nelle cantine delle pasticcerie le provviste di zucchero entravano in ebollizione. Chi era scappato dai rifugi cadeva adesso, in grotteschi contorcimenti, sull’asfalto liquefatto che si gonfiava in grosse bolle. Nessuno sa con certezza quanti abbiano perso la vita quella notte o quanti siano impazziti prima di essere colti dalla morte.

Al sopraggiungere dell’alba, la luce estiva non riuscì a fendere la cappa di piombo che sovrastava la città. Il fumo aveva raggiunto gli ottomila metri di altezza e lassù si era allargato in un gigantesco ammasso nuvoloso e cumuliforme, simile a una incudine.

Vampe di calore, che i piloti dei bombardieri raccontavano di aver avvertito attraverso i loro apparecchi, continuarono a levarsi per un pezzo dagli ammassi di pietre che ancora ardevano fumanti. Quartieri residenziali con un fronte su strada di ben duecento chilometri furono distrutti … ovunque corpi orribilmente dilaniati. Su alcuni, guizzavano ancora le fiammelle azzurrognole del fosforo; altri bruciando avevano assunto un colore bruno o purpureo e si erano ridotti a un terzo della loro grandezza naturale.

Giacevano contorti nelle pozze del loro grasso in parte già solidificato. …. [In seguito] all’interno di quel perimetro di morte vennero trovate persone che, stordite e uccise dal monossido di carbonio, erano ancora sedute al tavolo o con la schiena contro la parete. M si rinvennero anche ammassi di carne e di ossa o intere montagne di cori, lesati nell’acqua bollente che era schizzata fuori dalle caldaie esplose; altri ancora furono scoperti ormai carbonizzati e ridotti in cenere a causa del calore c he aveva superato i mille gradi, sicché per rimuovere i resti di inter e famiglie bastava adesso un semplice cesto della biancheria.”

Naturalmente non è l’unico resoconto del genere, e il libro ne cita e ne riporta parecchi altri sui quali, prima di esprimersi come ha fatto Monsieur Hollande, bisognerebbe a lungo meditare.
GiC, 83 anni, feb 2015

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Commenti

  • robertobuffagni  Il febbraio 9, 2015 alle 9:10 am

    Amburgo, patria di Thomas Mann, teatro de “I Buddenbrook”. Mann, espatriato in America, non disse nè allora nè mai una parola su questo bombardamento. L’unico commento che fece, fu che i tedeschi se l’erano cercata. Anche questa è la guerra.

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  • Anafesto  Il febbraio 9, 2015 alle 9:37 am

    Il libro dovrebbe essere recapitato ai responsabili di queste nuove carneficine, anche se dubito, con le teste che si ritrovano possa servire minimamente.
    In Ucraina qualche “democrazia” occidentale ha “investito” 5 miliardi di dollari per un golpe di chiara matrice nazista.
    Era o no prevedibile che, anche a distanza di 70 anni, un popolo che aveva già sperimentato sulla sua pelle certe ideologie potesse impugnarle?
    Dopo i fatti di Odessa credo che la previsione non poteva che tramutarsi in certezza, tuttavia 5 miliardi non possono essere liquidati con un: ci eravamo sbagliati, quindi perché non far entrare nella mischia le colonie europee?
    Credo che la stupidità e la leggerezza con cui l’impero tenta di rallentare l’inevitabile decadenza, insita proprio nella sua stupidità, debba veramente far riflettere, anche le colonie!
    Kiev si trova, dopo la certezza di potersi imporre col terrore (shock and awe), si ritrova esattamente in una situazione oscillante tra la disfatta militare e quella economica, con i sobillatori della faccenda disposti, forse, a fornire solo aiuti militari, mentre anche all’interno dell’area golpista i malumori cominciano a palesarsi a dispetto del terrore squadrista; in questa situazione solo stupidità e la demenza di fanatici fondamentalisti può continuare a remare verso la radicalizzazione della soluzione militare.

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  • abrahammoriah  Il febbraio 9, 2015 alle 11:04 am

    9 febbraio 2015

    Due “minima moralia” sulla bellissima (e atroce) citazione di Gianni Ceccarelli “Storia naturale della distruzione” di Winfried Georg Maximilian Sebald. 1) Ricordate la retorica europeista che ad nauseam ha sempre ripetuto che l’Europa unita veniva costruita per evitare le guerre del passato? 2) Come la mettiamo, alla luce della vicenda Ucraina e delle dichiarazioni di Hollande, dei luoghi comuni ideologici che le democrazie non sono guerrafondaie e, verità empiricamente ancor più solida, che, comunque non fanno la guerra fra loro? (volendo rispiarmarmi, per pigrizia, di rispondere ad eventuali repliche che la Russia di Putin non è una democrazia, affermazione sulla quale posso anche concordare, pongo, almeno per me, la domanda retorica: quella che noi chiamano democrazia è veramente una forma di governo, comunque la si declini nei vari paesi che formalmente si riconoscono in questo principio, il cui scopo è regolare e rendere effettivo nelle decisioni il potere del popolo? E per ultimo, sempre a causa della mia pigrizia ed anche irritabilità, chiedo venia per questa ulteriore richiesta: non sarebbe male si venisse risparmiati dalla citazione storica, molto di voga in questi giorni presso i grandi organi di disinformazione di massa, che l’odierna situazione in Europa, qualora si cedesse alla Russia, ricorda Monaco 1938: quando è troppo è troppo…).

    Massimo Morigi

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    • antoniochedice  Il febbraio 9, 2015 alle 11:10 am

      @morigi. Finora il binomio democrazia-benessere aveva resistito benissimo e quindi le democrazie non avevano bisogno di andare a pescare nei mari altrui.
      Adesso che è sorta una penuria che rischia di trasformarsi in carestia mi sembra ” naturale” che l’istinto del cacciatore riaffiori.
      È sempre successo nella storia dell’umanità .

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  • Francesco Venanzi  Il febbraio 9, 2015 alle 12:43 PM

    Perchè per le province orientali ucraine non si pensa ad una soluzione tipo DeGasperi-Gruber per l’Alto Adige? Tutto sommato ha funzionato.

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    • antoniochedice  Il febbraio 9, 2015 alle 5:49 PM

      Nel primo post scritto sull’argomento mi pare che qualcuno lo accennò. Il problema per la Russia è strategico e di vicinanza a Mosca.
      Per gli ucraini dell’est è di farsi mantenere da Mosca una industria obsoleta, per gli ucraini di Kiev é di mercanteggiare con la UE onde ottenere il massimo vantaggio.
      Tutti sono interessanti solo fino a che la crisi è in atto.

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  • abrahammoriah  Il febbraio 9, 2015 alle 4:31 PM

    @antoniochedice

    Non poteva essere meglio espresso. Massimo Morigi

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  • gicecca  Il febbraio 9, 2015 alle 8:55 PM

    A Buffagni ricordo che lo stesso Sebald fa notare come i Tedeschi in genere, salvo pochissime eccezioni e a distanza di moltissimi anni non hanno mai detto o scritto nulla sui bombardamenti cui furono sottoposti durante la guerra. In realtà é un fenomeno di rimozione che ho sperimentato anche nella mia famiglia per la Shoah; mia moglie, che ebbe molti scomparsi e uccisi a Austerlitz non ne voleva mai parlare (forse non riusciva a parlarne). Si riesce a parlarne, inutilmente, solo dopo molti anni e da parte di chi, in genere, “ricorda” in modo spesso diverso da come era. Poi, naturalmente, c’é anche chi riesce a farsi notare “ricordando”. GiC

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    • antoniochedice  Il febbraio 9, 2015 alle 9:52 PM

      Mi complimento per la partecipazione dei parenti di tua moglie alle campagne napoleoniche!

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  • gicecca  Il febbraio 10, 2015 alle 8:23 am

    La sera ragione meno del giorno, che già non è un gran che. Chiedo scusa. Tutti avranno capito egualmente, GiC

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    • antoniochedice  Il febbraio 10, 2015 alle 8:42 am

      Non è questione di ragionare è solo un lapsus ! Ci ridiamo su ed è finita!

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  • gicecca  Il febbraio 11, 2023 alle 4:30 PM

    Grazie per la citazione. Otto anni dopo GiC é ancora qui. Per la rimozione dei ricordi, di cui al mio commento qui sopra, confermo che si cerca di dimenticare; e forse, malgrado la spinte in contrario sarebbe tutto sommato meglio, visto che gli orribili errori del passato non ci esimono dal ripeterli, peggiorandoli. GiC

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