ODIO GLI ANNIVERSARI, MA FRANCESCO P. RICORDA LE FOIBE E DOPO TANTO SILENZIO, UN PO DI RICORDO E’ NECESSARIO.

esattamente un anno fa, il 9 Febbraio 2011, mi trovavo in Friuli.

In quelle terre la Giornata per la Memoria delle Foibe è molto sentita e se hai anche solo una minima inclinazione alla curiosità, puoi ascoltare storie che non si leggono nei libri o che non hanno avuto la risonanza che a mio parere meriterebbero.

Ancora oggi, sono pochi coloro che conoscono questa tragedia. Molti ne conoscono solo i commenti (talora di parte) o le interpretazioni (…). Vi sono molti bravi negazionisti, buonisti, simpatizzanti dei partigiani di Tito che con argomenti anche comprensibili, giustificano gli atti di incredibile violenza perpetrati sulla popolazione Istriana e Dalmata dal 1943 al 1945: sintetizzati appunto con il sinistro termine “Foibe”.

Poi, ascolti le voce dei parenti delle vittime, dei rari sopravvissuti, dei testimoni; un’altra storia.

Dalla gente semplice ma con buona memoria ho ascoltato anche la storia dei cosacchi in Friuli, che vennero stanziati in Carnia nel 1943 dalle truppe tedesche, forse un ringraziamento a spese delle popolazioni del luogo, in altre parole il baratto per una speranza di sopravvivenza, considerato l’aiuto prestato alla Wermacht durante la guerra in Russia.

Di sicuro, nel 1945 dopo averli cacciati in Austria (ben sapendo a cosa li si condannava), dei Cosacchi ne è sopravvissuto solo qualcuno, della loro storia, poche tracce.

Anche oggi, la mia riflessione è incentrata sull’attualità di quei fatti, sulle similitudini con questi momenti e su come tutto sia cominciato: era il giorno 8 Settembre 1943, con prodromi chiarissimi già dal 25 luglio 1943.

La disgregazione della struttura dello Stato in quei caotici giorni, la scomparsa (uccisione) degli uomini che rappresentavano ed erano essi stessi le Istituzioni, (podestà, carabinieri, insegnanti, servizi civili) giocarono allora un ruolo determinante. Le popolazioni prive di figure di riferimento e di difesa, rimasero inermi di fronte agli avvenimenti: non più Leggi, non più una Nazione, finita la sicurezza per la famiglia e per la stessa vita, se non con l’odioso (per molti) schierarsi con i più forti.

Le bande di titini scesero in quei giorni dalle colline nella più completa tranquillità; Lo Stato Italiano non c’era più, quindi i suoi cittadini erano stati condannati automaticamente ad essere privati di ogni diritto.

Molti ricordano le Foibe come qualcosa successivo alla fine della guerra (aprile 1945), dovuto alla occupazione jugoslava delle terre appartenute fino ad allora all’Italia. Pochi sanno che tutto iniziò due anni prima. Troppi, sfortunatamente, non hanno la più remota idea di cosa sia accaduto.

Ancor meno è noto il fatto che a portare ai poveri Italiani una temporanea tregua, realizzando una parziale quanto fragile forma di ordine furono le sempre odiate truppe tedesche, inviate in quei luoghi un mese dopo; già nell’autunno del 1943 si riesumavano le prime vittime delle Foibe.

Tornando ad un anno fa, in quei giorni di febbraio 2011 infuriava la cosiddetta primavera Araba, con la rivolta tunisina ed egiziana; solo una attenta analisi avrebbe consentito di prevedere per la Libia qualcosa di analogo o peggio, come poi inevitabilmente avvenne.

Insomma, anche per quelle popolazioni era scoccato un loro peculiare 25 luglio (e su questa lunga giornata non è ancora sceso il tramonto), mentre da noi alcune forme di protesta nei confronti dell’allora governo Italiano assumevano toni drammatici e di grottesca teatralità, irresponsabile gioco di chi voleva muovere torme di giovani ad un ipotetico “sbarazzarsi” delle figure Istituzionali ed ho percepito quanto fosse simile e non lontana anche per noi una condizione di pericolo, di incertezza, di svuotamento del significato dello Stato con tutto quel che ne sarebbe potuto conseguire.

Come al risveglio da un incubo, riflettere sulle Foibe e su come in poco tempo prese forma e si realizzò quella immensa tragedia, mi mostrò il più ampio significato di quegli avvenimenti.

I Balcani sono a pochi chilometri, eppure anche lì, in poche settimane, accadde l’impensabile.

Eppure non se ne parla mai abbastanza. Quale scarsa visione d’insieme caratterizza l’informazione. Quante menzogne.

In questi giorni il nostro Presidente non era in Italia ma all’estero; non poteva mancare all’appuntamento di Helsinki ed ha fatto giungere a chi ha commemorato La Giornata della Memoria solo la sua voce; tuttavia, il Corriere della Sera, puntuale, riporta che a Maggio Napolitano si recherà a Porzus, un malga nei pressi di Attimis in Friuli, luogo di un eccidio e parola tabù della Resistenza: venti partigiani bianchi furono infatti assassinati da altri partigiani appartenenti ai Gap comunisti il 7 febbraio del 1945. Nulla a che vedere con le Foibe a dire il vero (un tentativo di compensazione? per cosa? si potrebbe dire: excusatio non petita …), anche se il significato di una tale visita sarebbe altamente simbolico.

Le Foibe sono purtroppo solo uno tra gli infiniti tragici avvenimenti Europei di cui non riusciamo ad elaborare una analisi coraggiosa e condivisa ma che pongono in evidenza come non si possa dimenticare per non sbagliare ancora.

Ed anche quest’anno, io non dimentico e grazie a te, Antonio, spero di aiutare qualcuno a ricordare.

Di queste storie vi lascio delle tracce che ho trovato leggendo l’ampia, oggettiva, cruda ma tuttora sconosciuta letteratura, basata spesso su testimonianze oggettive. Non ho il mestiere dello scrittore e pertanto affido a chi lo desidera il compito di indagare autonomamente sulla nostra storia.

Testimonianze:

“Quando arrivarono i cosacchi tutti avevano paura e si tappavano nelle case, ma invano…loro erano i padroni ed avevano ottenuto dai tedeschi carta bianca.
Senza fare molta confusione essi si stabilirono nelle case dei contadini con le relative famiglie. La lunga fila dei carri ricordava i pionieri… portavano con loro, oltre ai familiari, masserizie, animali (mucche, cavalli di scorta, ecc.). Quando entravano nelle case, con un pò di timore, chiedevano se c’erano partigiani. Naturalmente i partigiani vivevano preferibilmente nella macchia.
Questi cosacchi, circa duemila tra soldati e famiglie, non vivevano come noi: si trattavano fra loro e con gli altri in maniera brusca.
La famiglia non si poteva dire unita perché non si sposavano, ma avevano rapporti molto civili con i rimanenti componenti del gruppo. Erano molto più religiosi di noi. Si riunivano in un solo grande gruppo in municipio o in altre case e cantavano assieme al vescovo, il quale rubava le uova a una amica di mia zia. Erano molto più timorosi di noi quando gli inglesi bombardavano il paese. Quando fu firmato l’armistizio scapparono in piena notte.
Di tutti i cosacchi che partirono dalla Carnia, circa i tre quarti furono uccisi al confine con l’Austria. Gli altri, quelli che riuscirono a sfuggire al massacro, si rifugiarono chi in Francia, chi in America, chi in Australia, e ci fu chi andò a vivere a Bari.
I moltissimi cavalli morti di fame o di malattia, vennero squartati dai paesani i quali, con molta avidità, riempirono molte ceste di carne, usata come bistecche (col pericolo di pigliarsi la malattia per la quale erano morti i cavalli).
I tedeschi arrivarono sulle soglie del paese la mattina presto e si appostarono a bloccare tutta la popolazione. Quando si fece giorno i tedeschi cominciarono i rastrellamenti e se qualcuno, preso dalla paura, si metteva a correre, anche se non era partigiano, lo ammazzavano come un cane.
Per non permettere ai partigiani di sparargli contro, prendevano come ostaggi i contadini, che venivano ammucchiati fuori del paese. Intanto loro saccheggiavano l’intero paese…qualunque cosa piacesse loro, la prendevano. Gli ultimi tedeschi a passare di qua furono le S:S. che cercarono di distruggere più che potevano i paesi o comunque qualsiasi cosa fosse stata utile agli alleati che avanzavano.
Fecero saltare un grande deposito di munizioni che, siccome era scavato nella roccia, esplodendo ridusse la campagna di Cavazzo in un grande pietraio.
Ancora oggi, quando si arano i campi in prossimità della polveriera, si possono trovare bombe inesplose o cartucce.”

(Michelli)

da “Tempo di cosacchi”, Pietro Menis, Buttazzoni 1949

“In molti centri della pedemontana i tedeschi avevano dislocato forti nuclei di cosacchi, gente con tutte le caratteristiche delle tribù nomadi.
Di loro si faceva un gran parlare: i nostri li chiamavano la V UNO, l’arma segreta che la Germania diceva di tenere pronta per la vittoria delle sue armate.
Avevano commesso ogni sorta di violenza e rapine a danno delle popolazioni spesso abbandonate alla loro discrezione.
Si diceva che erano comandati da un principe antibolscevico, alto e maestoso che cavalcava come un cavaliere mitico, severo nella sua divisa nera, chiusa da alamari dorati.
Nella zona di Gemona c’era un vescovo, accomodato sotto una tenda sbrindellata, con una croce pettorale d’oro che luccicava sulla povera veste lisa e sudicia; in una cassetta aveva i vasi sacri, i libri santi ed i paramenti per le cerimonie del culto.
L’odissea dei cosacchi dura da tre anni; raccolti nel Kuban ed in altre regioni della Russia occupate dalle truppe di Hitler, furono incamminati verso l’occidente promettendo loro assistenza ed aiuto, un luogo di soggiorno lontano dai Soviet, una terra promessa dove rifare le proprie tende in un mondo nuovo.
Li fermarono in Ungheria, in Austria, in Germania ed ora in Italia: in tutti questi Paesi doveva essere per loro l’ultima tappa, ma la guerra continua spietata.
Capiscono di essere stati ingannati, che un oscuro domani grava su di loro…vedono nella dura lotta che ogni giorno le loro fila si assottigliano… tutti i giorni qualcuno cade…”

“Corri Katinka”

Il dramma della tragica fine dei Cosacchi in una rappresentazione scenica a

Dellach-Valle del Gail (Austria) dal 19 al 28 luglio 2002

..nel maggio del 1945, a seguito all’avanzata degli alleati, i cosacchi lasciarono la Carnia, in lunghe colonne con famiglie, carri, bestiame attraverso il passo di Monte Croce Carnico, e passarono in Austria dove li attendeva un tragico destino.
Lungo la Valle del But gli abitanti osservarono il passaggio delle carovane, alcune persone dicono di aver visto il sangue lasciato dagli animali sulle tracce degli zoccoli.
Giunsero nella Valle del Gail, dopo aver sostenuto diversi combattimenti coi partigiani, dove confidavano di trovare la nuova patria. Invece, a seguito degli accordi di Jalta fra le forze alleate dovevano essere rimpatriati. Per gli ufficiali si prospettava l’esecuzione e per decine di migliaia la deportazione in Siberia.
Drammatiche scene si ebbero al momento della consegna dei cosacchi da parte degli occupanti inglesi: la disperazione li portava a preferire la fucilazione alle torture dei campi di Stalin, donne che si buttavano nella Drava dopo aver ucciso i propri figli.
Dunque vi fu inutile violenza verso uomini inermi, a guerra già conclusa? Sulla questione è stato celebrato un processo negli anni ottanta in Inghilterra ed alti ufficiali poterono giustificarsi dichiarando di avere eseguito gli ordini.

Foibe, la storia tragica di Norma Cossetto, nel Giorno del Ricordo

Questa è la storia di una ragazza, la cui unica sfortuna fu quella di essere italiana. Norma Cossetto era una ragazza di 24 anni di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l’università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell’Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo “L’Istria Rossa” (Terra rossa per la bauxite). Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani (titini – n.d.r.) irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici.

Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, ubriachi e esaltati. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udí, distintamente, invocare la mamma e chiedere da bere per pietà. «Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l’abbiamo trovata: mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoci da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all’addome…. Solo il viso mi sembrava abbastanza sereno. Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente; sono convinta che l’abbiano gettata giù ancora viva. Mentre stavo lì, cercando di ricomporla, una signora si è avvicinata e mi ha detto: “Signorina non le dico il mio nome, ma io quel pomeriggio, dalla mia casa che era vicina alla scuola, dalle imposte socchiuse, ho visto sua sorella legata ad un tavolo e delle belve abusare di lei; alla sera poi ho sentito anche i suoi lamenti: invocava la mamma e chiedeva acqua, ma non ho potuto fare niente, perché avevo paura anch’io”»

…. Licia, ancora all’oscuro di tutto, venne convinta dalla madre a fuggire, dapprima a piedi, poi incontrò dei soldati tedeschi che le diedero un passaggio su un camion. Proprio in quel momento Giuseppe Cossetto (Podestà), informato dell’arresto della figlia, si stava dirigendo a Santa Domenica, dove i partigiani lo rassicurarono sulla liberazione di Norma. A sera però cadde in un agguato, assieme a Mario Bellini, suo parente (invalido di guerra, sposato da un anno e in attesa di un figlio), che non voleva lasciarlo solo in quei difficili momenti. Una scarica di mitraglia ruppe il silenzio: il Bellini morì all’istante, mentre Giuseppe Cossetto rimase ferito, fu raggiunto e pugnalato più volte da un uomo di Castellier a cui, per ironia della sorte, egli stesso aveva salvato qualche mese prima la vita, portandolo di notte con la propria automobile all’ospedale di Pola per un intervento urgente.

I Tedeschi rioccuparono la zona, costringendo i titini a rifugiarsi nelle loro tane tra i monti. Informati da Licia, arrestarono alcuni guerriglieri, dai quali seppero la verità su Norma, il padre e Bellini. Racconta Licia: «Tornai a Santa Domenica quando vi si insediarono i Tedeschi. Eravamo ancora senza notizie di mia sorella, la mamma era disperata. Poi, ricordo un particolare agghiacciante: una notte mi svegliò dicendomi che aveva sentito la voce di Norma che la stava chiamando. Era convinta fosse sotto casa. Più tardi apprendemmo che proprio in quel preciso istante mia sorella veniva gettata nella foiba».

(Dal racconto di Licia Cossetto, sorella di Norma).

Dopo le violenze fu quindi gettata nuda nella foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani.

Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, recuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati. La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier.

Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l’ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell’attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all’alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra. Norma riposa assieme al padre nel cimitero di S. Domenica di Visinada, una frazione di Visignano.

Il 22/12/2005 Il presidente Ciampi ha concesso l’onorificenza alla ragazza istriana barbaramente trucidata dai titini.

Articolo correlato 10 febbraio, il Giorno del ricordo, in memoria delle vittime delle foibe – data pubblicazione: 10/02/2011

La memoria di Norma

Fu subito la Repubblica di Salò ad impossessarsi del martirio di Norma facendone un’eroina. Nacque un battaglione femminile della Rsi titolato a Norma Cossetto e la sua barbara morte fu più volte ricordata nel ’44 fino alla fine della guerra in chiave anticomunista e antislava.

Nell’aprile del ’49 Norma ricevette, su proposta del prof. Concetto Marchesi dell’università di Padova (importante esponente dell’antifascismo e del Pci), la laurea honoris causa in Lettere. Motivazione: “morta per la difesa della libertà”.

Invece il rettore di Padova nel nov. ’47, avviando la pratica per riconoscere gli studenti uccisi durante il secondo conflitto per mano nazifascista, aveva scritto che Norma era stata “uccisa dai partigiani slavi”.

Due anni dopo scompare la dicitura “uccisa dai partigiani slavi” e compare la più innocua frase “morta per la difesa della libertà”.

Ma non è finita: nell’atrio dell’Università c’è una lapide che ricorda gli studenti che sono stati uccisi da tedeschi e fascisti: c’è anche Norma Cossetto!

Nel 2006 i familiari di Norma ricevettero dal presidente Ciampi la Medaglia d’oro al Merito Civile.

La menzione così recita:“Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata da partigiani slavi, veniva lungamente seviziata violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amore patrio”

Fonte: “Foibe rosse” di Frediano Sessi, Marsilio, 2007

FRANCESCO .

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Commenti

  • Avatar di Mario Maldini Mario Maldini  Il febbraio 13, 2012 alle 2:15 PM

    A un certo momento, accadde che una nave scaricò centinaia di profughi prove-
    nienti da Pola nel porto di Ancona: caricati su un treno che si dirigeva verso To-
    rino, dovevano fermarsi a Bologna per essere soccorsi e rifocillati, molti di loro
    essendo feriti,sofferenti, denutriti, e tutti traumatizzati. I ferrovieri comunisti della
    ” dotta ” presero il treno a sassate, minacciando una strage se si fosse fermato
    nella rossa terra della giustizia, così il convoglio dolente proseguì verso città più
    ospitali.

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  • Avatar di adamo adamo  Il febbraio 13, 2012 alle 5:11 PM

    seguo da tempo il sito, e con interesse. le analisi di de martini le trovo convincenti e condivisibili, tuttavia il testo relativo al ricordo delle foibe non è all’altezza delle consuete analisi, se non addirittura incerto e privo di un baricentro.
    soprattutto, si esclude (dalla memoria) l’opera di italianizzazione coatta e violenta della popolazione istriana da parte del fascismo, comprendente anche il ricorso alle foibe. questo farebbe comprendere, forse non del tutto giustificare, la vendetta degli jugoslavi dopo il ’43.
    per quanto riguarda le testimonianze delle vittime, va detto che anche gli istriani potrebbero fornirne altrettanti e parimenti toccanti, relative a vittime sofferte nella propria parte.
    (se ben ricordo il gen. maletti, padre del maletti attualmente “esule” nella repubblica sud africana, a suo tempo a capo delle operazioni militari in istria, era stato deferito dagli alleati alla corte di giustizia per i crimini commessi contro la popolazione locale. si dirà, è la giustizia dei vincitori, ma questo non cancella quanto commesso ed è elemento di comprensione di quanto accaduto in seguito nei medesimi territori.)
    la memoria dei singoli non è sufficiente né a fare la storia, né a dare una visione esaustiva dei fatti storici, soprattutto quando si è ancora troppo legati al proprio passato.

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    • Avatar di Francesco Francesco  Il febbraio 13, 2012 alle 5:38 PM

      Per questo Le Giornate della Memoria andrebbero celebrate meglio e ricordate di più; non sono infatti Giornate degli Italiani scampati ai Titini, ma: Giornate della Memoria.
      Anche gli Italiani macchiati di crimini andrebbero condannati, non i civili inermi, di nessuna nazione.
      Ogni persona dotata di baricentro e certezze storiche, dovrebbe ricordare quanto possibile gli avvenimenti a chi non è in possesso delle nozioni storiche contemporanee, con testimonianze, discussioni e critiche, purchè lo faccia.
      In Friuli la gente è legata al proprio passato, come in ogni altro luogo del mondo.
      Tacere è dimenticare.
      Un sincero Grazie per del commento.
      Francesco

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    • Avatar di antoniochedice antoniochedice  Il febbraio 13, 2012 alle 7:26 PM

      Il generale Maletti padre del generale attualmente in Sud Africa e’ morto in Libia nel 41 o 42 quindi non puo essere stato contemporaneamente nei Balcani.
      L’analisi sulle foibe non e’ mia.
      Le mail ti raggiungono ovunque con BlackBerry® from Vodafone!

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      • Avatar di adamo adamo  Il febbraio 14, 2012 alle 11:07 am

        Dott. de Martini,
        mi debbo scusare per l’imperdonabile errore commesso nel mio commento di ieri.
        Ho fatto uno scambio di persona: l’ispettore di PS ettore messana <> (G. Casarrubea, Storia segreta della Sicilia, 2005, pag.42), con il gen. pietro maletti, distintosi, alle dipendenze di graziani, come autore della strage dei religiosi di Debrà Libanos, Etiopia, 27 maggio 1937. “In conseguenza miei ordini generale Maletti oggi at ore tredici habet fatto passare per le armi duecento novantasei monaci compreso vice priore et altre ventitré persone complici”. firmato graziani. (v,. anche A. del Boca, Italiani brava gente?, 2005 pag. 217-220).
        Capita talvolta di imbrogliarsi tra i criminali istituzionali vari di cui è costellata la storia d’Italia, recente o contemporanea.
        cordialmente
        adamenzo

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      • Avatar di antoniochedice antoniochedice  Il febbraio 14, 2012 alle 11:26 am

        Che Graziani fosse un poco di buono è evidente. Che sia stato “incentivato” dalle logiche fascite dell’epoca che ebbero inizio col bombardamento di Corfù(1922) è ovvio. Che Maletti abbia fatto quella stupida e inutile rappresaglia è possibile. Dubito che fosse già generale, perché significherebbe che non trasse alcun profitto da quel delitto. Lo storico Del Boca non è comunque attendibile sulla guerra di Etiopia. Per sua stessa ammissione in una recente intervista, ha ammesso di aver forzato la mano in piu punti e mi risulta anche personalmente.

        Da:

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  • Avatar di Carlo Cadorna Carlo Cadorna  Il febbraio 13, 2012 alle 6:14 PM

    Il presupposto della democrazia è che vi sia un’alternanza di forze che si rispettano: ma non vi può essere rispetto senza verità!
    Gli ex fascisti hanno chiesto pubblicamente scusa condannando inequivocabilmente il loro passato.
    Non altrattento hanno fatto i comunisti: hanno cercato di sabotare la Grande Guerra, pagati dai tedeschi; hanno provocato direttamente o indirettamente l’eliminazione di numerosi avversari politici durante la Resistenza; hanno tramato per quarant’anni, finanziati da Mosca, contro la NATO; si sono infiltrati negli apparati dello Stato (magistratura) e li hanno usati per fini politici e di potere. Oggi hanno cambiato nome ma sono ancora tutti lì, nella direzione del PD: non una parola di pentimento. Speriamo che vengano presto eliminati dagli elettori (ecco perchè non vogliono le primarie) affinchè la sinistra sia finalmente rappresentata da un partito democratico di fatto.
    Nel frattempo l’unico che ha fatto e fa qualcosa nella giusta direzione è il Presidente Napolitano: glie ne va dato atto!

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    • Avatar di antoniochedice antoniochedice  Il febbraio 13, 2012 alle 7:17 PM

      Ormai, dopo la designazione del marchese Doria a Genova come ” Rifondazione Comunista” ( dopo Napoli, Cagliari, Puglia) il tempo de PD e’ arrivato.
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      • Avatar di Francesco Francesco  Il febbraio 13, 2012 alle 7:56 PM

        Appare estremamente chiaro, amici del blog, quanto dobbiamo ad antoniochedice (corriere della collera) ed alla sua capacità di elaborare un blog in cui si può scrivere e discutere, portare testimonianze ed esprimere pareri democraticamente (parola desueta), cosa che in pochi paesi del mondo è attualmente possibile.
        Il tratto più costruttivo, divertente ed innovativo del/dei blog è che tutto si commenta comunque da sé.
        Francesco

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  • Avatar di Adalberto de' Bartolomeis Adalberto de' Bartolomeis  Il febbraio 14, 2012 alle 2:36 PM

    Il triste problema delle foibe sarà sempre un problema per chi, anche non avendolo vissuto direttamente quell’ evento, continua, ugualmente, ad esserne suggestionato, semplicemente, perchè o è un giuliano, oppure è un profugo. Chi vi scrive, all’ età di 16 anni viveva a Trieste e, frequentando il liceo, con un compagno di classe più anziano, solo perchè era stato bocciato due volte, un giorno, in automobile, mi portò a Basovizza e successivamente nelle vicinanze di Fernetti, in una dolina carsica. Il giovane compagno di scuola, per passione, aveva svolto un corso da speologo ed in classe mi replicava in continuazione che a lui piaceva “andar zo per doline”. Io, lì per lì non capivo molto, anche perchè provenivo da Venezia. Non ne conoscevo il significato orogenetico e poi pensavo che costui fosse un po’ matto. In triestino dire matto o tara, significa che la persona non ha tutti i numeri giusti! Ogni volta che mi parlava di foibe sembrava come fosse un mistero, da non parlare ai quattro venti. Insomma, andare su questi argomenti era come se, improvvisamente, si dovesse sentirsi timorosi di qualcosa. Un certo giorno mi riuscì a convincere: era un sabato pomeriggio di fine aprile del 1976. Risalimmo la via Giulia, facemmo la strada in direzione della Grotta Gigante, ad un certo punto, a qualche centinaia di metri dal confine di Stato fermò la macchina in una strada sterata. Conosceva il posto, gliela aveva detto suo nonno. Lì, tra erbusti e rovi intravvidi una specie di grotta, un crepaccio, la cui cavità aveva una profondità di circa 200 metri. Vedevo buio nella sua profondità e mi faceva impressione avventurarmi là dentro, con il rischio di rimanerci. Lui sapeva che in questa buca avrebbe trovato dei resti umani, perchè suo nonno sapeva, ma preferiba tacere, credo per paura. Fu così che, calandomi sopra un declivio, non tanto difficile da scendere in basso, scivolai tra dettriti e terriccio su resti di un arto superiore umano. Poi altre ossa spuntarono dalla pietraia e così, spaventosamente impressionati, facemmo quello che forse non avremmo mai dovuto fare: andammo dai carabinieri della stazione di Villa Opicina e siccome eravamo degli studenti il maresciallo della stazione ci fece una sonora lavata di capo, non tanto per la bravata di avere ficcato il naso dove non dovevamo a quell’ età, ma per il rischio che potevamo correre di farci del male. Nel giro di qualche giorno venimmo a sapere che lì, in quella fossa erano stati scaraventate 6 persone. Erano trascorsi 31 anni dalle azioni commesse dai titini e credemmo che una simile scoperta potesse destare clamore, invece il “Piccolo” non diede neppure risalto, non un rigo per quello che avevamo trovato. Soltanto dopo diversi mesi uno scarno trafiletto commentò il fatto, attribuendo il vanto della scoperta alla Benemerita. Ricordo solo tanti rimproveri dai miei genitori per l’avventurato rischio e due esami di riparazione a settembre. Ecco, solo chi vive tra Gorizia e Trieste sa cosa è significata quella tragedia, ma non ne parla ami con tono di polemica, perchè, per buon senso, non sente alcun motivo di attribuirci un peso ideologico. Purtroppo la guerra ha alimentato odi interminabili, profonde ferite che hanno acceso un cumulo di polemiche assurde e strumentali, di fronte a nefandezze i cui morti infoibati dovrebbero avere rispetto, al pari di tutte le vittime di atrocità commesse, purtroppo in nome di ideologie contrapposte.

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  • Avatar di Adalberto de' Bartolomeis Adalberto de' Bartolomeis  Il febbraio 14, 2012 alle 2:50 PM

    Aggiungo ancora che il problema degli infoibamenti non fu solo perpetrato dai nazisti e poi dai titini, ma anche da diverse formazioni di partigiani comunisti, cosiddetti “cani sciolti” che, sempre dopo la resa incondizionata, nell’aprile del 1945, solo perchè appartenevano nella schiera dei vincitori, andarono alla ricerca di fascisti e di chi avesse collaborato con loro. Fu un massacro! Quanti ricordano il Bus della Lum sull’ altopiano del Cansiglio? Là c’è una foiba e nella prima deca di maggio del 1945 ci finirono dentro oltre 300 italiani, “colpevoli” ,forse, di essere stati appartenuti alla parte sbagliata. Dopo lo spegnersi dei bollenti spiriti di faide vendicative, con il concorso delle amministrazioni comunali del luogo iniziarono ad esumare i corpi, o meglio, quella che restava di questa gente, ma per imposizione di Stato, diciamo meglio, per una certa volontà politica, non tutti ebbero una sepoltura dignitosa, per cui temo che ancora altri se ne trovino in questa fossa. L’ omertà uccide l’uomo da vivo!

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  • Avatar di Esule Esule  Il agosto 8, 2012 alle 8:43 am

    I NAZISTI NON HANNO MAI INFOIBATO NESSUNO. LE FOIBE SONO STATE UN MEZZO PER ELIMINARE GLI ITALIANI DA PARTE DEI COMUNISTI SLAVI DI TITO ED I COMUNISTI DI TOGLIATTI.

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    • Avatar di antoniochedice antoniochedice  Il agosto 8, 2012 alle 8:59 am

      I comunisti infoibavano perché slavi primitivi e ” agricoli”. I nazisti ” industriali” usavano sistemi coordinati di logistica e siderurgia.
      La differenza la si vede dai numeri.

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