DONNE E MEDITERRANEO

QUANTO E’ REALE LA LOTTA PER IL PROGRESSO/EGUAGLIANZA DELLA DONNA? PIACE AGLI ANGLOSASSONI CHE LA PRATICAVANO GIA AI TEMPI DI CESARE, MA A NOI MEDITERRANEI?

E I DANNI SOCIALI PROVOCATI DAL CONSUMISMO DIPENDONO DA QUESTI “PROGRESSI”’?

Questi undici anni di vicissitudini sulla sponda sud del Mediterraneo hanno provocato un aumento di curiosità nei confronti dei nostri vicini ed il confronto di usanze diventa inevitabile.

Come accadde  prima e durante il Rinascimento, invano contrastate da Dante, Boccaccio e Pico della mirandola,   intervengono timorose forze politico-culturali estranee, per seminare zizzania per precisi fini di propaganda.

Oggi noi italiani siamo tentati nuovamente da una supina adesione alle mode estranee  e caricaturiamo le usanze mediterranee, inconsapevoli del fatto che riescono a sopravvivere anche storpiate  da noi perché sono frutto di esperienze di secoli che è vano dimenticare.  

Anche questa è una forma di disinformazione con obbiettivi politici precisi.

Servirebbe ricordare che alcune usanze “made in USA” adottate nell’immediato dopoguerra,  come il pane bianco, le lucky strike, il chewing gum, il burro di arachidi,  si sono rivelate letali e la dieta mediterranea  e l’olio di oliva  sono stati adottati anche in America, persino dalla autorità sanitarie.      

 Della serie non sempre chi vince militarmente si impone anche in termini di civiltà e non sempre chi vince militarmente cancella il vinto se trova una identità culturale solida.

Negli scambi di persone e di usanze che le due sponde del mare nostrum  hanno avuto nei secoli, molte  – magari le più ragionevoli – non si sono consolidate o sono andate perdute per varie  cause , in particolare religiose, e alcune andrebbero ripescate.

Un “progresso” che gli arabi non hanno mai voluto accettare, nemmeno  gli arabi cristiani o gli ebrei, è dare fiducia alle donne o rinunziare al dogma della   consacrata supremazia maschile.

La recente uscita del Presidente turco Tajip Erdogan su questo tema ha alimentato la benzina che la propaganda mette sul fuoco. Tanto il turco non lo sa nessuno.

Giulio Cesare nel suo De Bello Gallico descrive come stravaganze le usanze dei Britanni e dei Germani in tema di rapporti con le donne con una punta di divertita curiosità circa la loro libertà sessuale, il loro ruolo nella società e l’attribuzione della paternità.  Non siamo cambiati. Né noi, né loro.

DUE ESEMPI:

Nel mediterraneo turchi e greci, arabi o spagnoli, israeliani e siciliani, francesi del sud e slavi,  hanno in comune il credo di una qualche forma di supremazia maschile.

 Ogni altra idea in proposito è di importazione.            

Quando quattrocento milioni di persone mantengono una usanza per quaranta secoli e si rifiutano di cambiarla ad onta di periodiche campagne di propaganda, troppo facile liquidarla con una definizione manichea di primitività.

Un detto veneto  fa pensare  che noi italiani siamo d’accordo anche al nord, perché  così declamiamo le qualità della sposa perfetta:” che la piasa, la tasa e la staga in casa”. Quanto alla supremazia del maschio,  quando l’uomo calabrese  vuole troncare una discussione proclama: ” capo vascio” !( testa bassa) e ho scoperto che anche a  Brescia dicono ” co bass” che ha  esattamente lo stesso significato e finalità. Lascio la responsabilità di questa ultima locuzione all’on Castagnetti ( ex PRI) che me l’ha raccontata.

In questo campo, ammettiamolo, c’è un po di silente invidia da parte nostra per la conservata egemonia  virile della sponda sud e una certa nostalgia per l’ossessione delle corna – di origine biblica –  che noi abbiamo imparato a portare con una certa disinvoltura, anche se ogni tanto qualche coltellata ancora ci scappa.

Gli arabi, hanno gli stessi nostri problemi di supremazia con le proprie donne , con la differenza che non avendo avuto  una economia  essenzialmente agricola  come da noi  ( piuttosto pastorizia) ed avendo una separazione netta tra casa e lavoro ,  hanno riconosciuto alla donna la supremazia tra le mura domestiche, mantenendo  così  – almeno per gli “estranei” – il controllo degli affari esteri della famiglia.

Le case del nord Africa  hanno ingressi molto bassi perché, leggenda vuole che l’uomo sia costretto a inchinarsi entrando,  come omaggio alla padrona di casa. Se non è vera , è ben trovata.  Un uomo non si azzarderebbe mai ad arredare o a scegliere  la stoffa di un divano o un tappeto. Molti invece vanno a fare la spesa al suk posto in cui le donne hanno ” troppe occasioni di contatto con estranei”.

Nello stesso campo,  il divorzio,  crudele istituzione con cui si è costretti a troncare un rapporto che si è evoluto invece di mantenerlo adattandolo,  viene visto in Europa  come estremo rimedio contro l’accettazione della poliginia.

In teoria, ma la giurisprudenza di tutti i paesi mediterranei non lo consente, i mussulmani  che possono permetterselo  – fisicamente, per censo e saldezza di nervi  – potrebbero avere  più di un legame in contemporanea.  In pratica, non ne ho mai incontrato uno. A noi europei, in teoria è vietato, anche se praticato con mille sotterfugi.

La conseguenza, in Europa, è che tutti hanno l’amante ( non conosco nessuno che non l’abbia, l’abbia avuta o speri di avercela), con la conseguenza che una delle due ( o più)  donne rischia di restare senza diritti  – o con diritti reali  limitati –  per se e/o per la prole.  Si pensa con ossessiva sospetta insistenza ai diritti delle coppie omosessuali, ma nessuno che protegga lo status delle amanti o compagne che dir si voglia. Ci si è limitati a riconoscere l’eguaglianza tra figli naturali e legittimi, ma la donna viene ignorata.

Credo sarebbe più semplice e meno ipocrita riconoscere la naturalezza dell’impulso  di chi ( maschio o femmina ) ne senta il bisogno  ed abbia poliforme capacità di amare .

Unica zona del pianeta in cui anche l’amante ha uno status e uno statuto che tuteli lei e la prole e le garantisca una residenza e un reddito separato- in genere é la segretaria o una collega di lavoro- é lo Zaire , ossia Repubblica Democratica del Congo specie nella capitale.

Personalmente penso che gli uomini italiani siano dei monogami seriali e che alla base di questo comportamento acquisito (e non innato) vi siano molti accadimenti boccacceschi e di cronaca nera, provocati dalla cocciutaggine di mantenere rigida una istituzione  che fa a pugni con la natura e che fu codificata quando la speranza di vita di una persona non superava i 40 anni.

In  campo matrimoniale, gli arabi mussulmani hanno  da secoli un’ istituzione cui potremmo interessarci,  magari studiando qualche adattamento dettato dalla esperienza: il matrimonio a tempo (  in arabo, mutaa: è una  costumanza, erroneamente attribuita agli sciiti, ufficialmente meno usata dai sunniti e che  si traduce letteralmente in  “il piacere”).

Si trattava di un matrimonio  di durata predeterminata,  celebrato davanti all’autorità, con corresponsione di dote, impegno al mantenimento,  determinazione della dote di divorzio e piena legittimità dei figli eventualmente nati dall’unione.

Questa usanza, caduta in desuetudine con l’avvento del trasporto aereo e resuscitata di recente dagli sceicchi petroliferi, pare essere nata quando i  mercanti  si incamminatisi sulla via della seta  – attraversando zone sciite come l’attuale Iran  –   potevano restare lontani da casa per anni e spesso essere bloccati a lungo da una guerra  in uno stesso luogo.

Di recente,  è stata riesumata e  sono nate  distorsioni grottesche  fino a rendere “legittime” forme di prostituzione interpretandole  come “matrimonio a tempo” per la durata di una settimana, molto praticata dagli sceicchi sauditi e del golfo in gita in Egitto in cerca di bambine ( 13/15 anni) povere.                In collusione con parenti nel  complice silenzio delle autorità.

L’istituzione del mutaa  serviva – ai tempi andati – ad assicurare la tranquillità sociale del villaggio ospitante e la  serenità sessuale dell’ospite forzato nell’attesa della ripartenza.

Si salvava anche il sacro principio del dovere di ospitalità  anche se protratta.

La donna  a fine esperienza, rientrava a testa alta nella sua comunità assieme ad eventuali figli e , grazie alla ” buonuscita” ,  poteva aspirare – se lo voleva –  anche a un marito stabile.

Una deputata austriaca a capo di un partito  ( di cui disgraziatamente non ricordo il nome)  ha proposto pochi anni fa che il matrimonio “occidentale” – come tutti i  contratti – abbia una durata  massima di sette anni , rinnovabile ,  invece di essere a durata indefinita come sancito dal concilio di Trento ( quando la speranza di vita era attorno ai 35 anni)  e recepito nelle legislazioni del mondo occidentale.

Con la durata media  attuale di tre anni per i matrimoni della nuova generazione italiana, sarebbe un bel passo avanti, come lo sarebbe il poter  rinnovare la promessa periodicamente piuttosto di lasciar morire fatalisticamente  il rapporto in una stanca ripetizione di ritualità imposte dall’abitudine.

Nei fatti il matrimonio a tempo già esiste in Italia, con la convivenza. La differenza è nei diritti che non vengono riconosciuti se non a fatica, nel caso in cui il rapporto non sfocia nel matrimonio classico. Hanno codificato solo la restituzione dell’anello di fidanzamento….

Un altro campo in cui ci starebbe bene una riforma per noi Europei, è il mercato, inteso come luogo degli acquisti.  Nei paesi arabi l’istituzione del Suk ( o nell’altopiano  turco-iranico Bazar) è ancora ben salda come da noi cinque secoli fa:  a Roma esiste ancora nella toponomastica : via dei sediari, dei giubbonari,  ecc.

In Oriente, in  una stessa strada si trovano ancora tutte le produzioni di una stessa mercanzia  ( sedie , cinture, scarpe, frutta, dolciumi ) in maniera che il consumatore possa in un batter d’occhio verificare tutte le tipologie merceologiche  di un prodotto ed i relativi prezzi.

I negozianti – costretti dalla vicinanza – sorvegliano prezzi e qualità .   Da noi accade l’esatto contrario ed è un inno alla stupidità del consumatore/trice: i supermercati offrono una falsa scelta ( speso solo un paio di marche di un prodotto di cui una è autoprodotta) .

Sui prezzi  si confondono le idee con “offerte speciali”  i consumatori vengono attratti da prezzi civetta su prodotti poco richiesti o allettati con promesse di regalie.

La  grande varietà delle offerte  ( ma se guardate meglio non ci sono mai tutte le marche di un prodotto)  spinge all’acquisto di prodotti non indispensabili, con azioni dettate più dall’impulso e dall’emulazione  che dalla necessità.

In una frase, il supermercato è il regno di chi vende, mentre il Suk/Bazar è il regno di chi compra. 

Non sarebbe meglio  ristudiare costumi e situazioni  invece di baloccarsi con slogan cretini e critiche legate a dichiarazioni mal tradotte che mirano a mettere in cattiva luce il machista di turno, il suo paese e le sue politiche ?

Il vero schiavista delle donne non è forse rappresentato dalle esigenze del commercio che vuole acquirenti-prede, che è  capace di sfruttare il sesso  ed i suoi impulsi naturali per spingere ad acritici acquisti? Per cianciare di indipendenza ? Per contrapporre e sfruttare la frustrazione conseguente? Per pubblicizzare deodoranti e creme e pannolini con cui si sono costruiti imperi fondati sul senso di inadeguatezza femminile promosso dalla pubblicità?

Vive la difference e abbasso il marketing.

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