diciotto luglio 1936 , Addis Abeba. Etiopia.

 

Il sergente maggiore Francesco de Martini si vide convocato al quartier generale di Addis Abeba conquistata da appena cinque settimane.

Il Generale Italo Gariboldi, Governatore di Addis Abeba, gli affidava il compito di proteggere la ritirata delle truppe italiane con la sua banda irregolare appena costituita con elementi della ex guardia imperiale di cui era stato per anni il comandante prima della conquista italiana.

Gli etiopici, che non avevano abbandonato le armi, stavano investendo la città con quasi cinquemila uomini e il generale Gariboldi aveva deciso di evacuare per evitare rappresaglie sui “nazionali” in caso di protrarsi dei combattimenti.

Con 500 uomini appena reclutati e i due cannoni rimasti in Addis, mio padre si mise al lavoro.

Fece mettere in abiti ” civili” una ventina dei suoi ascari più fedeli e li spedì nella zona di Addis Abeba già occupata dai ribelli:

Atteggiandosi a messaggeri del comando etiopico, gridarono a tutti i nuclei di soldati che già stavano dedicandosi al saccheggio, che bisognava addossarsi alle pendici del monte Entotto ( che sovrasta la Capitale etiopica),
La manovra riuscì.

Mio padre, assecondato da un brigadiere del CC , Antonio Cambule, un sardo dal cuore generoso che era rimasto con l’amico, iniziò un intenso bombardamento a distanza ravvicinata delle posizioni etiopiche

Disorientati dalla gragnola di proiettili gli etiopici si videro assaliti dalla baionetta dai loro vecchi commilitoni e si ritirarono.

Il brigadiere Cambule inforcò la motocicletta e raggiunse la colonna in ritirata per richiamarla. Sulle prime rifiutarono di credere alla vittoria.

Poiché il regime fascista non poteva ammettere che un mese dopo la proclamazione dell’impero stavano per perdere la Capitale e l’avevano recuperata grazie a truppe indigene, si mise la sordina all’episodio.

A mio padre – che aveva già in corso una proposta di promozione a ufficiale per merito di guerra, diedero una medaglia d’argento ” sul campo”, ma non altro.

C’era infatti una relazione dei CC che lo definiva negativamente, ” moralità indebolita da anni di vita in Colonia”) definiva la famiglia di mia madre ( all’epoca fidanzata e definita una poco di buono che aveva una relazione con mio padre) come antifascista e riferiva di tre etiopici che sarebbero stati alleggeriti da pochi talleri dai suoi ascari vittoriosi. La relazione concludeva dando anche parere sfavorevole alla promozione a ufficiale.

Mia nonna fu deportata vicino Lagonegro in Calabria e il solo vantaggio che mio padre ebbe dal suo status, fu di farla fermare a Napoli ” temporaneamente per accertamenti”. Li nacqui io quattro anni dopo.

Poco dopo il viceré Rodolfo Graziani diede ordine di trasferire l’ingombrante de Martini, perché alla domanda ” Lei che conosce il paese, come le sembra che io stia facendo” mio padre rispose ” continui così e le faranno la pelle”.

A Novara – al 31 carri della Centauro- fece amicizia con un altro sottufficiale che meritò anch’egli una medaglia d’oro al Valor Militare in Africa settentrionale : Pietro Mittica.

Anche Cambule fu decorato con la Medaglia d’argento al  V. M.  Concluse poi la carriera come Capitano e presidente della Associazione Carabinieri della Sardegna.

A far tornare in Africa  mio padre aspettarono che Graziani se ne andasse e  la vigilia della guerra.

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Commenti

  • Poi Valerio  Il luglio 19, 2017 alle 11:01 am

    Grazie per aver voluto condividere un ricordo così personale, ma anche così importante per la Storia del nostro Paese.

    Lei non può non essere orgoglioso di Suo Padre.

    Cordialmente.

    Valerio Poi

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    • antoniochedice  Il luglio 19, 2017 alle 1:43 PM

      Dica piuttosto che non posso essere orgoglioso del mio paese, con una famiglia che ha dato tre suoi membri alla Patria per poi vederla in questo stato.

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  • gicecca  Il luglio 19, 2017 alle 3:01 PM

    Storia affascinante e tragica. Per il tuo commento, il succo sta nel fatto che siamo passati da essere una Nazione con la N maiuscola a un paese, come scrivi,, con la p minuscola. GiC

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    • antoniochedice  Il luglio 19, 2017 alle 3:05 PM

      Non intendevo trarre succhi. Ho commemorato il mio 18 luglio, anche per insegnare a mio figlio Francesco, fuori tempo massimo temo, a saper subire i capricci del potere.

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  • Marco Bellu  Il luglio 20, 2017 alle 7:52 am

    Grazie. Ha mai pensato di scrivere un libro su Suo padre? Lo leggerei molto volentieri.

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    • antoniochedice  Il luglio 20, 2017 alle 9:08 am

      Essere uno scrittore di libri è un dono che non ritengo di avere. Ogni tango, per ricordarlo, ricorrerò a un episodio della sua vita avventurosa dedicata alla Patria.
      L’ENI gli offrì ripetutamente stipendi molto lauti. Ha sempre rifiutato.
      Quando mi dimisi io dall’Esercito, mi disse.
      Fai come credi, ma ricorda che d’ora in poi non sarai più un uomo libero.

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  • Marco Bellu  Il luglio 20, 2017 alle 9:39 am

    Attenderò pazientemente i ‘nuovi episodi’, però, scusi se mi permetto di insistere, un libro ci starebbe veramente bene e credo che Lei abbia tutte le capacità per fare un ottimo lavoro. Le auguro di vivere 1000 anni ma sarebbe davvero un peccato se questa preziosa memoria andasse persa.

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  • antoniochedice  Il luglio 20, 2017 alle 4:47 PM

    ERRATA CORRIGE: LA DATA DELL’EVENTO è ERRATA: ERA IL 28 LUGLIO , NON IL DICIOTTO. MI SCUSO CON I LETTORI:

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