Pubblico, con un ritardo di cui mi scuso, un articolo che l’amico Venanzi stesso giudica pessimistico. adm
In un precedente scritto, attribuivo alla globalizzazione la causa profonda dell’attuale crisi. I bassi salari e l’inesistente, o quasi, sistema di welfare dei paesi emergenti, rendono fortemente competitiva la loro produzione industriale, che, sul piano qualitativo e tecnologico, non ha niente da invidiare a quella dei paesi occidentali di antica industrializzazione. Questi hanno perso competitività e la loro produzione industriale langue, mentre una parte cospicua e crescente dei loro consumi di beni, principalmente semidurevoli e durevoli, è soddisfatta dalle produzioni dei paesi emergenti.
Teoricamente, si vedono tre vie di riequilibrio: -la riduzione della forza competitiva dei paesi emergenti dovuta all’innalzamento dei salari e delle condizioni di welfare di quei paesi;
-la concentrazione delle attività economiche dei paesi di antica industrializzazione nei settori non esposti alla concorrenza dei paesi emergenti: cultura, turismo, nicchie del lusso e nicchie science-oriented (quali biologia, nuovi materiali e altre), nelle quali si possa vantare qualche anno di vantaggio rispetto agli emergenti;
-il recupero della forza competitiva dei paesi di antica industrializzazione mediante la riduzione dei salari, delle provvidenze di welfare e dei costi della pubblica amministrazione, e mediante il miglioramento delle infrastrutture che incidono sui costi.
Escludo a priori la quarta via che potrebbe essere quella del ritorno al protezionismo.
Nel precedente articolo, ho affermato che la prima via non può realizzarsi nei tempi utili per un riequilibrio nel breve o medio termine, e ho sottolineato che è necessario agire decisamente sulla seconda linea. Non ho discusso la terza linea, che invece si dimostra essere ormai inevitabilmente attuale, e che segnerà pesantemente i decenni a venire.
Ma non è affatto facile che questa terza via possa essere percorsa per ottenere un esito di vero e immediato recupero di competitività e di sviluppo industriale. Le difficoltà sono evidenti: tutte le misure necessarie sono politicamente negative e nessun governo sarà capace di adottarle e di farle passare nei tempi e con l’incisività di cui ci sarebbe bisogno. I livelli salariali saranno difesi strenuamente dai sindacati, mentre di fatto si è già realizzata la loro riduzione convertendo in lavoro precario grosse quote di lavoro fisso e ricorrendo alla manodopera degli immigrati sottopagati.
Le pensioni sono considerati diritti acquisiti intoccabili, mentre le riforme susseguitesi negli anni passati anno già ridimensionato l’entità delle future pensioni. Le strutture e i costi delle pubbliche amministrazioni sono ridimensionabili sostanzialmente solo riducendo il numero dei loro dipendenti, e questo provocherebbe una ondata di disoccupati. Insomma, in ogni caso verrebbe messa a repentaglio la coesione sociale.
Tutte queste misure non saranno dunque attuabili nel breve, così da dare alle attività industriali una concreta prospettiva di recupero della competitività internazionale e, quindi, provocare nuovi investimenti e nuova occupazione. Ci sarà invece un lungo e travagliato processo di ridimensionamento di salari e welfare sotto la spinta dell’esplosione di tanto in tanto di crisi finanziarie ed economiche, cosicché non si creerà affatto quella prospettiva di recupero della competitività che servirebbe per incoraggiare nuovi investimenti di sviluppo. Non si può escludere che il ridimensionamento di salari e welfare si realizzi attraverso un ritorno all’inflazione.
Questa sarà la sorte di tutta l’Europa, che si trascinerà per lunghi decenni con diversi andamenti di paese in paese. Alcuni paesi riusciranno a mantenere una certa competitività in specifici settori, (della moda, della meccanica, della farmaceutica, o altri); altri paesi godranno della tradizionale protezione accordata alle produzioni agricole; altri paesi godranno delle correnti di turismo alimentate dalle attrattive naturali e culturali;
altri paesi sapranno sfruttare a proprio vantaggio le arti della finanza internazionale, più o meno truffaldine. Ma sarà difficile che si realizzi una nuova fase di sviluppo; al contrario, si verificherà nei prossimi decenni un tendenziale declino in termini relativi rispetto alle altre aree geo-economiche, ma forse anche in termini assoluti.
Come sarà la società europea in questi prossimi decenni? Una popolazione demograficamente vecchia, con una quota crescente di immigrati e di figli di immigrati, decisiva nell’abbassare l’età media. La disoccupazione, specialmente tra i giovani di origini europee, sarà – latente lo sviluppo – tendenzialmente in aumento. Nel ridimensionamento del monte ore, ciò che non si riuscirà ad ottenere con la riduzione dell’orario di lavoro (praticamente fallita con l’esperimento delle 35 ore in Francia), si otterrà invece con quote di disoccupazione e/o di lavori precari intermittenti.
Con il ridimensionamento dei salari e delle future pensioni di vecchiaia, verrà a finire l’attuale capacità dei genitori lavoratori o pensionati di sostenere i figli, e quindi questi e i loro genitori avranno condizioni di vita più modeste e sarà sacrificata la manutenzione del patrimonio immobiliare privato. La quota di popolazione proveniente dall’immigrazione – appartenendo ad un’altra cultura e avendo radici in altri paesi – non saprà apprezzare i beni culturali, storici, artistici di questa Europa e quindi non sarà disposta a pagare tasse per il loro mantenimento. Il degrado di quel patrimonio pubblico sarà così inevitabile.
Se l’ineluttabilità del declino economico non sarà compresa ed accettata dalla popolazione, la coesione sociale potrebbe venir meno in varie forme, contribuendo certamente all’aggravamento del declino. Quando oggi si continua a criticare i governi perché non fanno politiche di sviluppo, si mostra di non aver compreso che in questa fase storica per l’Europa c’è veramente poco da sviluppare. Mi piacerebbe che qualcuno indicasse una concreta linea di sviluppo percorribile.
F. Venanzi
Commenti
Non conosco l’amico Venanzi e non intendo essere polemico con nessuno. Ormai siamo alla squacquarella sociale. Non saranno intellettuali, economisti, magi e santoni a salvarci. Saranno gli italiani a salvarsi da soli, magari mandando a cagare tanti pseudo intellettuali che sanno sempre cosa fare, salvo poi non averci capito nulla. Intanto stiamo con i piedi per terra: in Italia sta per cambiare un epoca: se vince berlusconi si apre l’era dei barbari.se vincono i giudici gli italiani sapranno a chi obbedire e si apre l’era della dittatura.noi continuiamo ad aspettare l’era della civiltà e della repubblica.
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