ISRAELE-PALESTINA: LA STRATEGIA DELLA SVOLTA FINALE, NON UNA INTIFADA QUALSIASI. di Antonio de Martini

Nel primo biennio della seconda guerra mondiale, gli inglesi commisero – tra gli altri – un errore madornale, attribuendo alla contraerea tedesca Flak, molti degli abbattimenti notturni di aerei inglesi nei cieli tedeschi. Si trattava invece di una eccellente cooperazione tra i radar germanici e i piloti da caccia che venivano radioguidati sugli obiettivi.

Alla radice di questo errore, il complesso di superiorità britannico che li induceva a credere di essere i soli a possedere il radar ( di cui i tedeschi non avevano fatto parola con gli italiani che subirono la sconfitta navale di capo Matapan ignorando che gli inglesi “vedevano” al buio.)

Sottovalutare l’elettronica e le sue implicazioni è stato un errore anche italiano.  Attribuimmo la moria di piloti e la distruzione di aerei degli anni 60  a difetti del modello F 104 ( chiamati dai tedeschi” le bare volanti”). L’aereo era ottimo, ma i piloti non avevano dimestichezza e capacità di adattarsi al fatto che l’elettronica  richiede riflessi istintivi e non perdona gli errori.

Al minimo sbaglio, l’aereo uccideva. L’aeronautica ( e non solo la nostra) ha pagato un prezzo molto caro per acquisire la mentalità, la cultura e l’età dell’era elettronica e dare un peso molto maggiore alle attività addestrative.

Molte delle vittorie israeliane sugli arabi  specie egiziani, ( 56 e 67) sono dovute a un combinato disposto di bravura elettronica da una parte e inattitudine alle complessità dell’elettronica dall’altra. L’eta media di un pilota israeliano era 17 anni, mentre l’egiziano aveva 34 anni in media.

Questo elemento di vantaggio è stato trasformato in un senso di quasi “superiorità di razza” che i recenti scontri di Gerusalemme si stanno incaricando di smentire.

Gli israeliani stentano a rendersi conto del cambiamento e si illudono si tratti di una “terza intifada”. Si tratta invece del penultimo gradino dell’escalation massima possibile.  Il fenomeno va spiegato.

Un momento fondante sia della religione ebraica che di quella mussulmana è quello detto del sacrificio di Abramo. Gli ebrei celebrano lo scambio tra bambino e agnello ( ossia la rinunzia al sacrificio umano) e gli arabi ricordano l’evento rinnovandolo ogni anno.

Per un arabo, sgozzare l’agnello è una delle prime pratiche  e  un rito di passaggio da bambino a adulto.

Saranno le corride in Spagna, il rito sacrificale nel mondo arabo o il prurito alle corna in Italia meridionale, ma noi mediterranei abbiamo una certa pratica all’uso del coltello e per capire le difficoltà culturali che si incontrano con l’internet, basta vedere le mie lamentele periodiche.

Descrivendo una delle prime apparizioni del Daesch credo di aver scritto che il messaggio veicolato era più il coltello che la vittima.

Da anni nel mondo arabo si era consapevoli della inferiorità nel manovrare le armi moderne rispetto agli israeliani. Si diceva che – una volta creata l’unità di intenti tra gli arabi –  Israele avrebbe potuto essere liquidato all’arma bianca in una notte senza luna.

Il commento partito dai bivacchi settanta anni fa, sembra essere giunto a destinazione e, messi da parte droni, missili artigianali e kalasnikov, i palestinesi sono tornati ” back to basic” e il messaggio Daesch del brandire il coltello, comincia ad essere recepito.

LA STRATEGIA DELLA LAMA AFFILATA

  1. Contrariamente alle armi tradizionali ed elettroniche, quest’arma può essere usata da chiunque e contro chiunque in qualsiasi momento, clima, e ambiente. Il possesso di un coltello non può essere proibito in un paese di agricoltori e pastori, senza coprirsi di ridicolo e comunque non si ridurrebbe il rischio.
  2. Di conseguenza non esiste protezione possibile, dato che anche tutto l’esercito impiegato H24 non riuscirebbe a proteggere che una frazione della popolazione.
  3. Questa tattica diventa una strategia nel momento che fa la sua apparizione il fattore geopolitico demografico. La bilancia demografica di Israele è deficitaria nel rapporto immigrazione/emigrazione.  Gli abitanti emigrano verso Canada, Stati Uniti, Australia, mentre l’immigrazione che si verificava dall’URSS e paesi satelliti non c’è più e la stessa “importazione” di Falascià dal Sudan e dall’Etiopia si è interrotta.
  4. Una recente legge impone a questi ebrei di colore di scegliere tra il rinvio e l’arresto e ci sono stati moti e scontri con la polizia per le proteste dei malcapitati che ritenevano di essere cittadini di pieno diritto.
  5. Attualmente, il flusso migratorio viene presentato come “in ripresa” per via di una immigrazione temporanea dagli USA e del fenomeno della doppia cittadinanza.  Questo fenomeno ha trovato un appiglio anche nella politica degli insediamenti con questi cittadini part time che comprano a buon prezzo appartamenti in zone del west bank ( territorio palestinese).
  6. La grande campagna per la sicurezza che da decenni si svolge in tutto il paese, principalmente per sostenere le forze armate si sta adesso rivolgendo contro i suoi autori: l’acuto senso di insicurezza che ne è derivato gioca contro l’idea di stabilirsi in Israele, incentiva a fare piani di sistemazione altrove,  i contatti con la gioventù ebraica di altri paesi mostra quanto sia dolce vivere in luoghi in cui non si debba dormire col fucile sotto il cuscino e dietro una porta rinforzata o dove “l’allarme missili”sia sconosciuto.
  7. La nascita di questo nuovo – concreto e generalizzato – pericolo sta creando un senso di smarrimento nella popolazione, frustrazione tra i tutori dell’ordine e furore tra i governanti che vedono vanificati tutti gli sforzi per far sentire sicuri e protetti i cittadini. Mentre Israele doveva essere il posto in cui ogni ebreo poteva rifugiarsi, adesso è diventato l’unico posto al mondo in cui rischia la pelle con alta probabilità di perderla.
  8. Mentre a Gaza nella operazione “piombo fuso” il rapporto tra morti israeliani e arabi era di circa mille a uno ( e qull’uno era magari un druso appartenente alla brigata Golani), adesso il rapporto di ieri è stato di tre morti israeliani contro due palestinesi.
  9. Poiché scopo finale della operazione è aumentare l’insicurezza dei cittadini ebrei nei confronti del loro governo e del futuro in generale, l’attentato riesce anche se fallisce: se ne parla, anzi una vittima ferita in un attentato, diventa un media propagatore della politica palestinese.  Altro che tirare pietre alle auto della polizia.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Gli ultimi sei capi del Mossad e dello Shin bet ( il servizio di intelligence militare)  avevano avvertito il governo che l’unica soluzione al conflitto era politica e non militare e il capo del Mossad in carica si è dimesso dichiarando che “una guerra contro tutto il medio Oriente non avrebbero mai potuto vincerla”.                                                                                               Adesso Benjamin Netanyahu  comincia a capire cosa intendevano.                                                                                                                                              Farà ancora qualche tentativo da bullo incosciente come quello di rinchiudere i palestinesi in ghetti e poi avrà la scelta tra andare a chiedere scusa a John Kerry e dare le dimissioni, o di creare un regime di apartheid senza Mandela che contribuirà a consolidare la pessima fama di Israele a livello mondiale ( oggi, ne ha una opinione favorevole, secondo il sondaggio BBC nei venti principali paesi, solo il 20% della popolazione  del pianeta. Dopo un gesto così….).
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Commenti

  • abrahammoriah  Il ottobre 14, 2015 alle 2:26 PM

    14 ottobre 2015

    Tutto ciò che ha avuto un inizio storico, può anche finire e questa fine – come anche l’inizio di nuovi percorsi, sempre come insegna la storia, la biologia e la teoria delle catastrofi – può essere anche molto veloce. Un monito che, pur nella diversità delle loro specifiche situazioni, sia Israele che l’Italia dovrebbero tener sempre presente. Massimo Morigi

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  • abrahammoriah  Il ottobre 14, 2015 alle 6:08 PM

    Su un piano divulgativo della teoria del caos e/o delle catastrofi (piano divulgativo che, fra l’altro, è anche per il sottoscritto l’unico livello cui per somaraggine matematica è consentito accedere), significa che le situazioni dinamiche ( e definire ‘dinamiche’ le situazioni politiche dell’Italia e di Israele è veramente un eufemismo) hanno spesso dei punti di rottura generati anche da eventi apparentemente di scarsa importanza ma le cui conseguenze sono totalmente imprevedibili. Su un piano, invece, di sodo buonsenso politico, significa che le classi dirigenti dei due paesi in questione e i loro governati dovrebbero rendersi conto che se non si cambierà direzione nelle dissennate politiche fin qui praticate, anche uno stormir di foglie potrebbe avere conseguenze del tutto impreviste (ed imprevedibili), conseguenze che contemplano anche la scomparsa di questi paesi come organismo politico e statale. Insomma per Israele si fa sempre più difficile e pericoloso comportarsi come il bullo del quartiere e, al contrario, per l’Italia è sempre più pericoloso continuare ad essere la ridicola e pietosa ameba internazionale che la ha caratterizzata in questi ultimi anni( e, per inciso, è già stato in questo luogo affermato che l’unico percorso serio per uscire da questa deprimente condizione è una progressiva ma decisa assunzione di una sempre maggiore neutralità, indispensabile per sopravvivere in un contesto sempre più multipolare). Quindi se le differenze fra i due paesi sono di tutta evidenza, l’analogia consiste in una pericolosissima cecità della rispettive classi politiche a programmare il futuro. Insomma parafrasando il “Principe” di Machiavelli nel non saper “vedere discosto”… Massimo Morigi, 14 ottobre 2015

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    • antoniochedice  Il ottobre 14, 2015 alle 6:17 PM

      Ho capito! Insomma è la frase finale del “pezzo” di Giuseppe Mazzini ” l’agonia dell’Istituzione: ” è in balia di un menomo incidente che niuno può prevedere”

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  • abrahammoriah  Il ottobre 14, 2015 alle 6:54 PM

    E, infatti, Mazzini, deve essere profondamente riconsiderato: non tanto come il santino di quella che un partito oggi defunto chiamava “l’Italia onesta” (onestà che è ottima ed indispensabile dote ma che deve essere al servizio di una visione politica, altrimenti si tramuta in vuoto slogan e, quindi, in atto politicamente disonesto) ma come uno dei principali autori ed uomini politici italiani ispirati da un sano e ferreo realismo. Machiavelli e Mazzini, due giganti della nostra storia che, appunto, erano profondamente onesti ma non nel ridicolo senso ragionieristico – fra l’altro da loro mai praticato – che i partiti (ladri) della prima e seconda (e terza…) repubblica hanno voluto propalare come slogan elettorale, ma nel senso che incarnarono la consapevolezza (e la pratica) della profonda serietà e moralità dell’azione politica e quindi del realismo – unito alla tensione ideale – alla quale questa deve ispirarsi. Massimo Morigi – 14 ottobre 2015

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