DISTRUTTA LA GRANDE INDUSTRIA ITALIANA, VOGLIONO DISTRUGGERE ANCHE LAE PICCOLE IMPRESE SOFFOCANDO LE BANCHE COOPERATIVE DI TERRITORIO. di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

I due economisti autori dell’articolo forniscono una asettica descrizione del delitto che si vuole compiere, ma non forniscono il movente, ne riconoscono le colpe delle future vittime. Provvedo.
Certo le Banche Popolari sono delle sentine di affari ci poco puliti tra compari. Furti di caramelle rispetto ai su prime e il truccaggio degli indici LIBOR e consimili mascalzonate planetarie.
Spessissimo la dirigenza di queste banche si auto perpetua e si trasmette in via ereditaria. Tutte pecche rimediabili un limite di mandati e la proibizione di assumere parenti fino al quarto grado.
Ma si dimentica che da Ferrari a Della Valle sono tutti stati artigiani.

Alcune realtà sono cresciute troppo ( Banca Popolare Emilia Romagna per tutte) altre sono state infiltrate dalla politica( es: Banca popolare di Milano) .
Sono in realtà tutte pecche della Banca d’Italia che ha autorizzato fusioni e incorporazioni in maniera acritica ( anche per carenza di uomini adatti) e ha autorizzato politici trombati ad assumere cariche apicali .
Anche queste sono pecche rimediabili. Le grosse banche assorbite negli anni passati ( es Sicilia e Napoli) dissero che il credito non ne avrebbe sofferto. Andate a sud a chiedere……
Ecco il testo dei due autori.

Il sistema bancario dovrebbe essere l’ancella primaria dello sviluppo delle attività industriali e imprenditoriali dell’economia reale. Se così è, la riforma delle banche popolari parte purtroppo da una premessa sbagliata. Mira a soddisfare le esigenze della grande finanza invece di privilegiare le strutture del credito direttamente legate al territorio e alla sua crescita economica.

Secondo la succitata riforma, fatta con decreto e senza alcun coinvolgimento dell’Assopopolari, le 10-11 banche popolari con attivi superiori a 8 miliardi di euro dovranno essere trasformate in società per azioni. In quanto organismi di tipo cooperativo, gli attuali organi di gestione sono eletti con il voto capitario. Ogni socio può avere soltanto un voto.

Il cambiamento strutturale proposto dal governo viene motivato dal fatto che il voto capitario violerebbe il principio di democrazia penalizzando quei fondi che partecipano con ingenti capitali. Inoltre, si afferma che, aprendosi al mercato globale, esse potrebbero attrarre investimenti nazionali ed internazionali rendendole così più grandi e più competitive. A dir il vero, in questo modo le banche popolari diventeranno oggetto di scalate finanziarie e di attacchi speculativi che ne snatureranno la loro originaria funzione di sostengo allo sviluppo del territorio, delle pmi e delle famiglie.

Molto probabilmente diventeranno pedine locali delle grandi banche too big to fail.

È davvero sorprendente il fatto che in Italia ci si dia da fare per offrire le banche popolari in pasto agli squali della grande finanza.
Nel mondo bancario americano invece si riconosce che le dimensioni enormi delle banche globali sono il vero problema della stabilità finanziaria e sono state la causa delle passate crisi sistemiche.

Non si tratta soltanto di una decina di banche. Il nuovo approccio, secondo noi, prima o poi investirà l’intera struttura delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo (bcc). Le si ritiene evidentemente obsolete dal mondo della finanza globale.
Noi pensiamo esattamente il contrario. Non solo per il nostro Paese ma per l’intera Europa. Sono proprio le banche territoriali a sostenere la crescita e a fornire ossigeno al sistema produttivo italiano rappresentato, come noto, per il 95% dalle Pmi.

Negli ultimi anni la Bce ha messo a disposizione oltre mille miliardi di euro con operazioni di rifinanziamento a lungo termine (ltro) a tassi di interesse vicini allo zero nella speranza che questi soldi andassero a finanziare la ripresa. Finora però le grandi banche hanno incassato ma non hanno aperto i rubinetti del credito alle pmi. Nel nostro paese tra il 2011 e il 2013 le banche popolari hanno aumentato del 15,4% il credito offerto alle imprese e alle famiglie mentre le banche spa lo hanno diminuito del 4,9%.

È pur vero che le popolari nel 2013 hanno erogato il 15% del credito mentre le grandi banche ne hanno erogato il 75%.

Ma in Italia si ha una situazione del tutto particolare in quanto le banche di interesse nazionale sono state completamente privatizzate, perdendo così anche la loro storica funzione sociale e pubblica. Nel corso del 2014 le 70 banche popolari e le 381 bcc (che occupano 120.000 dipendenti) hanno insieme dato credito alle pmi per quasi 240 miliardi di euro con un aumento di ben 35 miliardi

Alle imprese esportatrici sono andati 50 miliardi. Nel periodo della crisi tra il 2008 e il 2014 i finanziamenti alle pmi esportatrici sono aumentati del 28%.

Esse hanno quindi svolto efficacemente un ruolo anticiclico favorendo la ripresa economica dei territori in cui operano.
Spesso si parla della tenuta esemplare del tessuto industriale tedesco, formato anch’esso dal mittelstand, la rete delle pmi in Germania, ignorando che la sua forza sta proprio nella rete capillare delle banche di credito cooperativo.

Secondo uno studio della Bundesbank nel 2008 vi erano oltre 1.200 istituti e 13.600 sportelli, regolati da principi mutualistici e di interesse sociale, con un bilancio aggregato di mille miliardi di euro, al servizio di 30 milioni di clienti. La società tedesca e molti economisti si sono mobilitati in difesa della rete di banche territoriali anch’esse sotto attacco da parte delle grandi banche tedesche, tra cui la Deutsche Bank e la Kommerzbank, e di quelle internazionali.

Un economista tedesco, Richard Werner, direttore del Centro Studi Bancari dell’Università inglese di Southampton, in prima fila nella difesa delle banche popolari e delle bcc in Germania e in Europa, ha scientificamente dimostrato che sono proprio queste banche, e non la Bce, le banche centrali e le grandi banche globali, il vero motore della creazione di credito produttivo e dell’ampliamento della base monetaria necessaria al sostegno della ripresa economica. Senza iattanza riteniamo che sarebbe opportuna una riconsiderazione della scelta governativa.”

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Commenti

  • abrahammoriah  Il febbraio 20, 2015 alle 10:57 am

    20 febbraio 2015

    IL giudizio – ed insieme piano operativo – dei grandi agenti strategici internazionali, politici, finanziari e militari (e dei loro servi, più o meno sciocchi, in loco) sul nostro paese: “l’Italia è il paese più bello del mondo, peccato solo che vi siano gli italiani ma a questo stiamo provvedendo”. Per farla breve: il tentativo di consegnare le banche popolari legate totalmente mani e piedi ai grandi gruppi finanziari non è altro che la ripetizione di quello che è già accaduto in tutti gli altri settori della vita nazionale – economici, politici, militari e culturali -, una rapina continua ed apparentemente inarrestabile il cui unico risultato concreto, desidero ricordarlo, non è altro che estromettere gli italiani da ogni decisione riguardo il loro futuro, non importa – anzi assai gradito effetto ‘secondario’ – se ciò comporta un diretto vulnus mortale delle possibilità non diciamo di ‘tirare a campare’ ma di sopravvivenza di quel popolo stesso. Rimedio a questo stato delle cose. Fare entrare nella testa dei poveri italiani che sperare, non si sa bene come e perché, in un ritorno ai mitici anni del boom economico, significa fare una fine ancor più miseranda di quella cantata da Po-Chu-i nella poesia “L’uomo che sognò le fate”. “Triste l’uomo che vide in sogno le fate!/ Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.”, recita il verso ma l’Italia, se continuerà a sognare le fate ideologiche, politiche e culturali materializzatesi dal secondo dopoguerra in poi non rischierà nemmeno di invecchiare ed avere sprecato tutta la sua vita in illusioni ma andrà addirittura incontro ad una fine prematura. Una prossima futura campagna a favore della neutralità dell’Italia tenga ben presente che l’alternativa alla fuoruscita dall’attuale sistema di alleanze occidentale è, solo nelle migliori delle ipotesi, quella mestamente cantata da Po-Chu-i. Massimo Morigi

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  • robertobuffagni  Il febbraio 20, 2015 alle 11:17 am

    Concordo con M. Morigi. L’idea è quella di rifare dell’Italia il paese del Grand Tour: meravigliose rovine, opere d’arte a ogni angolo di strada, cucina deliziosa, clima invidiabile, panorami sempre pittoreschi, abbondanza di lacchè e cortigiane d’ambo i sessi (a buon prezzo), un po’ di briganti a pepare la pietanza. La differenza: al posto di Goethe, ci verranno questi stronzi.

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  • gicecca  Il febbraio 20, 2015 alle 4:24 PM

    Non so nulla di banche, popolari o meno, ma a me pare che il vero problema, a volte già accennato qui, è che ormai in Europa e anche negli USA non é più votando che si definisce la politica che conta, economica,, estera, ma neanche sociale e etica. Ci siamo rinchiusi in un sistema bloccato che ha le sue regole decise altrove in base a criteri “tecnici” e di mercato. Non ci sono, anche se sembra persistano e siano virulenti, gli Stati Nazionali che abbiamo conosciuto e detestato, ma sui quali, alla fine, un minimo di azione il popolo poteva esercitare. Oggi non c’é più Nazione, come concetto. Ci sono gruppi di denentori (poco) autorizzati di poteri economici enormi, davanti ai quali non esiste Stato capace di opporsi anche se lo volesse. In un trimestre Apple ha fatturato oltre 74 miliardi dollari, quasi il PIL della Lituania. e questo vale per parecchie multinazionali, concetto che di per sè é antinazionale o almeno supernazionale. Bisogna rendersene conto. Anche quando si favoleggia di capitanare un esercito contro l’ISIS e persino quando si invoca una neutralità. GiC

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    • antoniochedice  Il febbraio 20, 2015 alle 5:16 PM

      Ci sono due strade per recuperare l’indipendenza è una è violenta. Continuo a ostinarmi a percorrere l’altra. Non continuare a scoraggiarmi….

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  • gicecca  Il febbraio 20, 2015 alle 7:59 PM

    Non sono olandese. giC

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